editoriali

Gli equilibrismi di Conte

di Franco
Ferrari

di Franco Ferrari – Intervenendo in Parlamento, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dovuto correggere la linea più netta che aveva assunto nelle settimane scorse sulle materie oggetto della difficile trattativa in sede europea. Dopo l’Eurogruppo, nel quale si era raggiunto un compromesso che aveva lasciato irrisolto il nodo principale, l’individuazione di uno strumento di intervento autenticamente europeo, aveva dichiarato che l’Italia non era interessata a ricorrere al MES, uno strumento ormai superato. Questa posizione aveva scatenato una violenta offensiva mediatica del fronte che invece richiede a tutti i costi l’indebitamento dell’Italia con il cosiddetto Fondo salva Stati (PD, renziani, Confindustria, Forza Italia).

Del MES abbiamo ampiamento trattato su Transform Italia. Si tratta di uno strumento che prevede una forma di indebitamento da parte di Stati che si trovino in difficoltà nell’accedere al mercato finanziario. In cambio sono previste le famose e famigerate condizionalità, ovvero quella lista di tagli che a suo tempo vennero chieste ai paesi “aiutati” dalla trojka (FMI, BCE UE). La proposta dell’Eurogruppo prevede che per spese legate all’emergenza sanitaria (dirette e indirette) non vi siano condizionalità. Alla fine della riunione i partecipanti hanno dato interpretazioni molto diverse su che cosa si intenda per spese “dirette e indirette”. Il ministro olandese ha fornito quella restrittiva, il presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Centeno, ha invece garantito che vale quella estensiva. Per capire chi abbia ragione bisognerà vedere l’eventuale sottoscrizione del “contratto” richiesto in caso di attivazione del prestito.

Al di là dei dettagli tecnici, pur importanti, resta il fatto che il MES è pienamente inserito nella logica delle politiche liberiste e di austerità che tanti danni hanno prodotto dalla crisi del 2008 ad oggi. Oltre ad essere ancora uno strumento che si muove nella logica dei rapporti fra Stati, Stati debitori e Stati creditori, con una struttura legale quasi privatistica. Ben lontano dall’idea si condivisione economica e finanziaria che dovrebbe essere propria di un visione europeista. Per questo dovrebbe sorprendere che coloro che più si definiscono “europeisti” spingano con tanta determinazione verso l’indebitamento nei confronti del MES. Più che argomentarne la sua utilità, sembra che venga richiesto a Conte  un “atto di fede” nei principi “ordo-liberisti” insiti nella logica del fondo salva Stati. Le condizionalità forse e in parte verranno rimosse ma deve restare l’introiezione del “vincolo esterno”.

Conte si muove quindi dovendo rispondere ad una maggioranza di governo che ha posizioni contraddittorie. Determinato il fronte PD-Renzi, sempre attento a quanto viene desiderato a Bruxelles (ma soprattutto nel mondo della finanza), recalcitranti ma divisi e spesso confusi i 5 Stelle. Questi ultimi nel Parlamento europeo navigano a vista, veleggiando tra l’alleanza col thatcheriano e xenofobo Farage, il voto per la Von der Leyen, e le proposte di associazione ai Verdi o al GUE/NGL. Tute scelte fra loro difficilmente compatibili, anche se giustificate con il carattere “post-ideologico” del movimento. Va detto comunque che l’avere alle spalle i pur contraddittori 5 Stelle ha spinto Conte a seguire una linea di maggiore determinazione che ha quanto meno tenuto aperto qualche spiraglio di possibile novità.

Gioca a favore di Conte, evidentemente, il fatto che i problemi colpiscano “simmetricamente”, come è stato detto, quasi tutti i Paesi europei, offrendo rapporti di forza che un’Italia isolata non avrebbe avuto. La Francia, il cui debito pubblico si colloca già attorno al 100%, è interessata ad una soluzione innovativa e la Spagna, con un governo di sinistra, è in grado di fornire una sponda assai più determinata a modificare gli equilibri politici interni all’Unione europea.

Gli spagnoli hanno presentato un “non paper” che, al di là degli aspetti tecnici, propone alcuni elementi importanti: 1) il soggetto titolato a raccogliere i mezzi finanziari per fronteggiare la crisi diventa l’Unione Europea; 2) il debito deve avere tempi lunghissimi, fino alla possibile perpetuità; 3) il trasferimento dall’Unione agli Stati deve avvenire tutto o in gran parte sotto forma di “grant” (contributo) anche senza cofinanziamento.

Resta sullo sfondo il ruolo della BCE (che è formalmente indipendente), la quale però dovrebbe implicitamente garantire l’eventuale copertura dei bond emessi dalla Commissione Europea così come avviene per le Banche centrali USA, britannica o giapponese.

La ministra delle finanze spagnola Nadia Calviño, che non è certo nota per essere particolarmente di sinistra, ma che è stata direttrice del bilancio della Commissione Europea, quindi non certo una sprovveduta dal punto di vista tecnico, ha argomentato la proposta del suo governo in un’intervista al Financial Times. Non ha puntato sulla richiesta di solidarietà, che in Italia assume a volte toni un po’ piagnoni, ma sull’esigenza di evitare una distorsione del “mercato interno”. Infatti, nel momento in cui la Commissione consente gli aiuti di Stato è evidente che i Paesi meno colpiti dalla pandemia e più solidi sul piano finanziario potrebbero aiutare le proprie aziende in modo molto più consistente di quanto possano fare quelli in maggiore difficoltà. In questo modo si avrebbe un’alterazione della libera competizione.

L’argomentazione è interessante perché utilizza l’ortodossia del libero mercato (la sacralità della concorrenza) per rivendicare una politica che in realtà rompe su aspetti importanti con l’impostazione “ordoliberista” (liberismo + pareggio di bilancio).  La richiesta di perpetuità dei bond non sarà facilmente accettata, non tanto perché esclude il ripagamento del debito (come ha spiegato Melenchon, gli Stati normalmente non ripagano i debiti ma si limitano a rinnovarli, a differenza di quanto possono fare i singoli cittadini)[1], ma perché rimuove la possibilità di essere sottoposti a “condizionalità” una volta finita l’emergenza e venuti a scadenza i titoli di debito.

Con la proposta spagnola, i singoli Stati evitano sia di vedere lievitare in misura eccessiva i loro debito nazionale, con il rischio di trovarsi in difficoltà nel finanziarsi sul mercato, sia di infilarsi in eventuali future trappole da parte di governi che vogliano imporre politiche di austerità in nome del totem del pareggio di bilancio. D’altra parte se il rapporto tra Stati diventa quello che esiste normalmente tra debitore e creditore non c’è appello alla solidarietà che tenga, è il creditore che impone i suoi criteri per avere la garanzia di essere ripagato dal debitore.

Come si può vedere la partita è complicata ed è probabile, come ha sostenuto il giornalista Vittorio Da Rold che quando si arriverà ad una soluzione di compromesso, e non sarà probabilmente giovedì 23 aprile, si profili una soluzione sufficientemente complessa dal punta di vista tecnico da consentire ad ogni governante di tornare a casa propria (o di restarvi, visto che la riunione è in videoconferenza) vantandosi di aver difeso le proprie “linee rosse”.

Resta evidente che, al di là degli aspetti strettamente finanziari, in questo confronto si gioca il tema dalla natura sovranazionale o di mero patto tra Stati dell’Unione Europea.


[1] https://melenchon.fr/2020/04/19/pourquoi-et-comment-annuler-la-dette-des-etats-europeens/.

No Mes, ordoliberalismo, Pandemia e Europa
Articolo precedente
La sinistra che lotta contro il virus e contro l’austerità
Articolo successivo
Il primo di Maggio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.