Ovvero: La crisi in cui il regime (anche in versione europeista) mostrò il suo vero volto. Questa crisi rivela molto delle concezioni dominanti della politica, della società, e dell’Europa.
«…e c’era bisogno di questa crisi per capire cosa c’è sotto la maschera?», potrebbe legittimamente chiedersi qualcuno. Ovviamente no. Ma mai come adesso si è assistito allo spettacolo di interi pezzi di classe dirigente, se non l’intera classe dirigente, con i suoi corifei (politici, amministratori, il mondo dell’informazione, la “società civile”), che per assecondare le bizze cesaree del Presidente del Consiglio (il quale in realtà gode della fiducia del Parlamento e avrebbe tutti numeri anche senza il M5S, ma com’è noto non ama mediare o negoziare) scatenano una tale canea contro il presunto responsabile della crisi, reo di aver fatto quel che altri hanno precedentemente fatto, ma senza conseguenze tanto drammatiche.
La colpa di Giuseppe Conte è stata quella di insistere con nove punti, di carattere perlopiù sociale, importanti per la base e per l’elettorato di riferimento del partito. A quanto si sa, non c’è stata nessuna discussione in merito ai nove punti. Quindi è l’azione stessa di insistere, di aver arruffato le penne del Capo rappresentando e portando avanti le istanze di quei determinati settori del paese, a costituire la colpa più grave. E già qui i democratici autentici (non necessariamente di sinistra: basterebbe l’Arco costituzionale della cosiddetta Prima Repubblica) avrebbero di che preoccuparsi. Ma che dire dei toni dalla costituzionalità quanto meno dubbia dell’appello di Italia Viva, il quale chiede a «Mario Draghi di tornare a Palazzo Chigi con un programma chiaro su pochi punti da comunicare in Parlamento, senza ulteriori trattative con le forze politiche di maggioranza e con un Governo di persone di sua stretta fiducia»? Senza ulteriori trattative, di sua stretta fiducia? Lettera e spirito della Costituzione bellamente negati da ognuna delle 100.000 firme. O che dire degli articoli che celebrano la “non elezione” di Draghi come se fosse un merito particolare? Chiaramente il concetto di sovranità popolare è ormai andato a farsi friggere. Così come a farsi friggere sono ipso facto mandati quanti potrebbero beneficiare delle misure richieste da Conte. È forse la prima volta che gli elementi potenzialmente più deboli e svantaggiati della popolazione vengano ripudiati dalla classe politica senza tanti complimenti, senza nemmeno quei motti populisti che tanto avevano infarcito dall’alto e dal basso la retorica degli ultimi anni. Invero, il moltiplicarsi degli appelli al Presidente del Consiglio perché “resti” e “porti avanti le riforme” rivelano l’adesione di una larga parte del mondo della politica, dell’economia, dello stesso associazionismo (in una parola, della “borghesia”) al “disegno neocentrista dell’agenda Draghi”, di cui ha scritto Aldo Carra sul “Manifesto” del 19 luglio. Un «disegno politico sovranazionale che ha un segno conservatore e tutt’altro che progressista». E che implica «una svolta radicale nella politica internazionale per i prossimi decenni seppellendo in un sol colpo l’Europa come terza forza, l’Eurasia e scenari futuribili di possibile neutralità».
A proposito di Europa, fa certamente impressione leggere il comunicato del Movimento Federalista Europeo (MFE) La posta in gioco nella crisi di governo, che fa mostra dell’hashtag #iostoconDraghi. Fa impressione non solo a me, che all’MFE sono stata iscritta almeno 17 anni in un passato non remotissimo, ma anche a quanti vi facevano riferimento, pur nella diversità di opinioni, per avere conoscenze e stimoli sull’idea di Europa unita, sulle istituzioni europee, o sulle modalità con cui costruire un’Europa democratica, sociale e di pace, una “federazione europea”, appunto. Del resto, la diversità di opinioni era, una volta, interna allo stesso MFE (chi si ricorda della sua adesione al Forum Sociale di Firenze nel 2002?) e ne costituiva un punto di forza: significava che il progetto europeo riguardava tutte e tutti, e che ogni contributo era comunque benvenuto. Certo, con la crisi dei debiti sovrani e la comparsa dell’“altereuropeismo” critico, la dirigenza dell’MFE aveva finito per arroccarsi su posizioni di difesa dell’“Europa reale”. Ma all’interno restava una pur moderata pluralità. Il comunicato di qualche giorno fa pone invece tutto l’MFE saldamente all’interno della compagine neocentrista.
Nel complesso il comunicato si presenta enfatico poco ragionato, con la solita dose di allarmismo che caratterizza ora tutta l’appellistica dell’“europeismo reale” e con toni al limite dell’autoparodia. Per l’MFE, «mettere in crisi il governo guidato da Draghi» significa nientepopodimeno che «rafforzare Putin e il disegno di un ordine mondiale fondato sulla dittatura e la negazione della libertà». Oddio, e se invece fosse per caso Draghi che si è dimesso da solo pur avendo i numeri, Putin non potrebbe ormai definitivamente «decretare la vittoria dei nemici delle democrazie e la sconfitta del mondo libero»? Il punto è che «Draghi paga la sua capacità di leadership soprattutto in Europa, dove guida(va) la linea della fermezza contro Mosca e, coerentemente, del rafforzamento radicale dell’Unione europea sul piano politico, economico e militare», tanto più che «il consenso per la sua leadership e la linea europeista e atlantista che persegue con coerenza continuano a convincere la maggioranza dei cittadini, come confermano i sondaggi».
La concitazione è di solito inversamente proporzionale all’aderenza alla realtà, e questo comunicato non fa eccezione. Si potrebbe concludere con una risata, constatando la raggiunta embeddedness ridicola e senza rimedio di un movimento che aveva quantomeno sempre avuto un rapporto dialettico con l’esistente. La tristezza viene quando, a proposito del M5S che sembrava essersi lasciato alle spalle il «feroce antieuropeismo del 2018», si legge che «l’Europa […] è stata riconosciuta da tutti come la benefattrice che ci fornisce il sostegno per la ripresa post pandemica». No, l’espressione “Europa benefattrice” va ben oltre il ridicolo, è tragica. Perché la “beneficienza” altro non è che il risultato di trattative squisitamente politiche, tipo quelle che Conte voleva intavolare con Draghi. E perché i “beneficiati” non hanno diritti alcuni nei confronti della “benefattrice”, la quale come dà così può togliere. Tutto il contrario di ciò per cui in passato si sono battuti molti federalisti: una comunità politica europea di cittadini, con i loro diritti di cittadinanza, non di sudditi grati per elargizioni e benefici da parte di un potere che è altro da loro.
Appare comunque chiara la visione della politica e della società, nonché dell’Europa, che coltivano oggi all’MFE. Ne prendiamo atto.