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Draghi uber alles

di Franco
Ferrari

La cifra principale del discorso tenuto da Draghi davanti al Senato, nella mattina di mercoledì 20 luglio, è il suo passaggio esplicito da, vero o presunto, tecnico chiamato a gestire alcune emergenze straordinarie unendo il massimo delle forze parlamentari a capo di una maggioranza politica i cui paletti programmatici sono espliciti e incontestabili.

Il Presidente del Consiglio ha esplicitato che le forze politiche devono decidere se lasciargli interamente carta bianca nella valutazione delle soluzioni da intraprendere nei prossimi mesi per affrontare le numerose emergenze che si sono accumulate e aggravate negli ultimi mesi, rinunciando il più possibile a qualsiasi autonoma formulazione e dialettica esplicita. Mentre gli italiani sono chiamati ad accogliere le decisioni del Presidente del Consiglio senza protestare ma al contrario con quella corale espressione di approvazione e di gratitudine a cui si sono dedicati molti mezzi di informazione.

La “società civile” che piace è quella che si è espressa in questi giorni, attraverso le varie strutture intermedie (organizzazioni imprenditoriali in primis, a cui si sono accodati circa un quarto dei sindaci italiani, le organizzazioni associative del cosiddetto “terzo settore”, grandi organizzazioni sindacali) per chiedere il proseguimento del governo Draghi. Senza avanzare alcuna richiesta di merito per la soluzione dei problemi. Il Presidente della Conferenza dei Rettori ha invocato un “guida ferma” contrapposta alle “logiche di partito” di cui l’Italia sarebbe “stanca”.

La visione che ci propone il Presidente del Consiglio è quella di un Parlamento obbediente, partiti che rinunciano a farsi portatori di visioni e interessi anche necessariamente contrapposti, una società che si esprime attraverso le voci autorizzate dell’establishment e solo per fare da coro approvante delle decisioni prese in alto.

Il quadro che ha fornito del Paese e il bilancio del suo governo, condito anche da qualche concessione alla demagogia pseudo-patriottica, sembra molto lontano da una realtà che vede gran parte degli indicatori sociali continuare a peggiorare. Senza contare l’accelerazione degli effetti negativi del cambiamento climatico, con una siccità che assume aspetti e ricadute sempre più drammatiche e rispetto alla quale Draghi non ha ritenuto di dover spendere che poche e superficiali parole.

Draghi ha confermato non solo, come per altro era del tutto logico, l’adesione alla dimensione europea così com’è, anzi semmai rafforzata in senso autoritario e centralizzatore con la progressiva soppressione delle materie che richiedono unanimità, ma anche al blocco militare e ideologico, oltre che politico, della Nato e dell’atlantismo. Sull’Ucraina ha confermato la linea della guerra ad oltranza come unica soluzione possibile all’interno di una nuova contrapposizione globale tra blocchi di Paesi.

Poche le concessioni ai partiti che, da versanti diversi, hanno sollevato problemi di merito sulle scelte del Governo: i 5 Stelle da un lato o la Lega e Forza Italia dall’altro. Mentre viene confermato l’asse prioritario con il PD e i vari gruppi centristi che sono quelli che più si identificano con il mix di liberismo e atlantismo che innervano il background ideologico del Presidente del Consiglio. Una miscela che punta ad affrontare una serie di crisi e cambiamenti radicali che stanno mettendo in discussione il modello di sviluppo perseguito e difeso dalle politiche governative degli ultimi decenni con una logica da vecchia Democrazia Cristiana. Non priva in questo di qualche venatura autoritaria che tende ad espellere il conflitto politico come principio fondante della democrazia rappresentativa.

Della Democrazia Cristiana manca però la capacità di essere espressione di interessi sociali e visioni diverse. Tutti i tentativi che nella DC portavano a reazioni di rigetto di fronte all’uomo solo al comando (come fu nel caso di Fanfani). Ora Draghi si propone in sostanza come uomo-partito in grado di rappresentare al meglio gli interessi economico-finanziari dominanti e di decidere quelle, poche, mediazioni che ritiene utili.

Al momento di scrivere non sappiamo come finirà il dibattito parlamentare e quali saranno le decisioni finali delle forze parlamentari meno allineate al progetto politico del Presidente del Consiglio. Può darsi che Draghi ottenga il suo mandato in bianco per i mesi che mancano al ritorno alle urne.

Sembra evidente però che la sua visione, che è diventata esplicitamente strategica e non più solo emergenziale, richieda una qualche ristrutturazione di tutto il sistema politico. Intanto diventa essenziale per Draghi accelerare una serie di interventi legislativi che riducano il margine di azione di qualsiasi governo futuro. Margine che verrà ulteriormente condizionato dalla riduzione degli strumenti di intervento della Banca Centrale Europea a difesa dei debiti sovrani. E’ possibile che questo non sia sufficiente e che il suo mandato debba proiettarsi, in un qualche modo anche oltre la scadenza elettorale, mantenendo fuori dall’area di governo il Movimento 5 Stelle, purché non prevalgano al suo interno coloro che vedono nella partecipazione governativa l’unico orizzonte politico possibile, da un lato e Fratelli d’Italia dall’altro. Anche se la Meloni resta fondamentalmente, rispetto al progetto Draghi, un’opposizione di sua maestà.

Se Draghi riesce a vincere la sua scommessa, la sovrastruttura politico-istituzionale potrà adeguarsi ad un percorso compiutamente post-democratico, al fine di sterilizzarla dalle ricadute di una crisi di egemonia delle classi dominanti che sembra invece tutt’altro che risolta e risolvibile.

Franco Ferrari

 

 

 

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