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Germania incerta, Olanda (forse) stabile

di Franco
Ferrari

I risultati delle elezioni regionali del Baden-Wurttemberg e della Renania-Palatinato hanno dato inizio al cosiddetto “super anno elettorale tedesco” che si concluderò con il rinnovo del Bundestag nel prossimo settembre. Il voto si è tenuto alla normale scadenza nonostante il contesto caratterizzato dalla recrudescenza della pandemia da coronavirus. Se la Germania aveva attraversato la prima fase con relativa sicurezza e questo aveva premiato la gestione di Frau Merkel, la seconda ondata ha avuto un impatto assai più pesante. A questo si è aggiunto lo scandalo che ha coinvolto alcuni parlamentari del blocco democristano CDU-CSU che avrebbero lucrato sulla vendita di mascherine ai rispettivi Lander.

La CDU è risultato quindi l’incontestabile perdente del voto, avendo ottenuto il peggior risultato del dopoguerra in entrambe le regioni. Particolarmente pesante la sconfitta nel Baden-Wurttemberg, Land occidentale, tradizionalmente conservatore e sempre guidato, fino a pochi anni fa dalla CDU. Ora i democristiani si sono dovuti accontentare di svolgere la funzione di socio minore in una coalizione guidata dai Verdi. La CDU è scesa dal 27,0% al 24,1% e potrebbe rischiare di essere esclusa dalla nuova coalizione di governa, preferita da una maggioranza detta “a semaforo” con Verdi, socialdemocratici e liberali, analoga a quella che è uscita rafforzata in Renania-Palatinato.

Molto dipenderà dalla scelta del popolare presidente ecologista Winfried Kretschmann, che ha portato il suo partito ad un clamoroso 32,6%. A sinistra si registra un ulteriore calo dell’SPD che scende dal 12,7% all’11,0% e una leggera ripresa della Linke che sale dal 2,9% al 3,6%, insufficiente per entrare nel Parlamento locale, dove vige la soglia del 5%. Nonostante il significativo calo della partecipazione elettorale, la Linke riesce anche a guadagnare in voti assoluti.

Il Baden-Wurttemberg è la regione che ha, assieme alla Baviera, il più basso tasso di disoccupazione (4,4% a febbraio 2021, in piena pandemia) di tutta la Germania. È la sede della più grandi industrie del settore automotive che garantisce 440.000 posti di lavoro e la prosperità di molti municipi. I rapporti delle industrie con il Presidente Verde sono eccellenti. D’altra parte le sue politiche, se hanno garantito qualche benefici in termini di tutela della natura, di incremento delle piste ciclabili e del trasporto pubblico, sono state molto attente a tutelare gli interessi della grande impresa. Il Baden-Wurttemberg potrebbe rappresentare un modello di una “transizione ecologica” molto prudente e attenta a non intaccare gli equilibri di un capitalismo che dispone ancora di una forte base industriale ed è fortemente orientato all’esportazione.

Meno brillante le politiche sociali dell’amministrazione uscente. Una fetta consistente di popolazione è perennemente a rischio povertà e sopravvive attraverso l’indebitamento. Sono soprattutto le donne a pagare per l’introduzione dei cosiddetti mini-jobs e delle varie forme di precarizzazione attraverso le quali la Germania ha rilanciato la propria competitività sul mercato globale.

In Renania-Palatinato, la popolarità della Prima Ministra uscente Malu Dreyer, alla guida di una coalizione tra SPD, Grunen e FDP (liberali), ha consentito ai socialdemocratici di frenare le perdite (dal36,2% al 35,7%). Anche qui la CDU subisce un forte arretramento (-4,1%) e i Verdi crescono (+4,0%). L’AFD subisce importanti perdite qui come anche nel Baden-Wurttemberg, non riuscendo a beneficiare del voto dei negazionisti del Covid che pure in Germania non sono una minoranza trascurabile. La Linke arretra leggermente dal 2,8 al 2,5%. La differenza di risultato tra i due Lander potrebbe indicare che la popolarità di una presidente socialdemocratica possa risultare più competitiva per il voto a sinistra di quanto non sia un presidente dei Verdi considerato, non a torto, meno attento alle tematiche sociali.

Il voto dei due importanti Lander della Germania occidentale ha confermato una situazione di forte incertezza della situazione politica all’avvicinarsi del voto federale di settembre. La CDU-CSU, che non sarà più guidata dalla Merkel, potrebbe rischiare di non guidare più il prossimo governo o addirittura di essere collocata all’opposizione. Questo almeno è il forte timore espresso in questi giorni dal suo gruppo dirigente. Dopo Pasqua dovrà scegliere il suo candidato alla cancelleria. In gara ci sono il leader della CDU Armin Laschet, considerato in forte continuità con la Merkel, e il leader della CSU (la versione bavarese del partito democristiano) Markus Soder, ritenuto più a destra del primo.

Data la rilevanza del peso politico della Germania negli equilibri europei ogni cambiamento di rotta, anche minimo, può creare dei sussulti in tutta l’Unione Europea. Soder è più popolare di Laschet, ma non è chiaro quale impatto potrebbe avere sugli equilibri elettorali. Se da un lato, attrarrebbe forse elettori dell’AfD (estrema destra populista), in questo momento in difficoltà per le divisioni interne, dall’altro ne potrebbe perdere verso i Verdi.

I Grunen, fondati come partito alternativo che mescolavano tematiche ecologiste ad un più generale critica del capitalismo, hanno realizzato un progressivo processo di deradicalizzazione, che ne fa oggi un partito quasi centrista. Di fatto liberali sul piano economico, sono soprattutto espressione di settori sociali relativamente benestanti, inseriti in settori economici legati alle nuove tecnologie. Nelle recenti elezioni sono riusciti anche a guadagnare consensi in ambiti dal quale erano tradizionalmente esclusi, come gli ultrasessantacinquenni e le zone rurali. Guidati, come tradizione, da un binomio uomo-donna, dovranno anch’essi decidere su quale candidato alla cancelleria presentare.

I sondaggi li danno ancora ad una decina di punti di svantaggio dalla CDU, ma potrebbero in ogni caso far valere il loro peso nella scelta di una futura coalizione. Potrebbero sostituire l’SPD a fianco della CDU, eventualmente con la presenza dei liberali come terzo partner (coalizione “Giamaica”) oppure mandare la CDU all’opposizione (coalizione “semaforo”). Ma tutto è legato all’esito del voto. I risultati delle elezioni nel Baden-Wurttemberg e nella Renania-Palatinato, vanno considerati anche alla luce della forte riduzione della partecipazione al voto che, soprattutto se migliorare la situazione della pandemia, potrebbe non riprodursi a settembre.

A sinistra la Linke, ha rinnovato la propria leadership cercando di recuperare una dinamica dopo che gli ultimi anni avevano registrato una perdita di voti all’est a favore dell’AfD e all’ovest una difficoltà a competere con i Verdi. Non c’erano grandi aspettative immediate dal voto in due regioni considerate comunque difficili e i risultati ottenuti sembrano molto condizionati dagli equilibri locali.

“L’uomo più felice dei Paesi Bassi”

L’Olanda, paese che negli equilibri europei pesa più di quanto non dipenderebbe dalla sua popolazione, per le dimensioni economiche e finanziarie, oltre che per svolgere spesso la funzione di “pesce pilota” della più potente Germania, completa oggi il voto per il nuovo Parlamento.

Per fronteggiare le difficoltà legate alla pandemia ed evitare assembramenti le operazioni di voto sono state spalmate su più giorni ed è stato facilitato il suffragio postale. I Paesi Bassi dispongono di un sistema elettorale perfettamente proporzionale (senza soglia di sbarramento e collegio unico nazionale). Questo ha portato ad una certa frammentazione della rappresentanza, il che per altro non ha impedito una notevole stabilità. Infatti il liberale Mark Rutte è alla guida dal governo dal 2010. È molto probabile che lo resti anche dopo il voto odierno (al momento di scrivere non si conoscono i risultati). Il suo partito, il VVD, è dato stabile o in crescita dai sondaggi.

La coalizione uscente è formata da quattro partiti: il VVD di Rutte, i democristiani (CDA), i Democratici 66 (liberali di centro-sinistra) e l’Unione Cristiana (destra protestante) ed è orientata su posizioni di centro-destra. Dovrebbe disporre dei numeri per essere riconfermata, ma si ipotizza una possibile esclusione dell’Unione Cristiana. Anche i “frugali” olandesi (il “rigore” del bilancio statale si accompagna ad un elevato livello di indebitamento privato) sono consapevoli che per fronteggiare le conseguenze della pandemia è necessario aumentare la spesa statale. Il debito potrebbe salire dal 50% ad oltre il 60%.

Mark Rutte è stato presentato, sia nel suo paese che all’estero, come un politico senza principi ma molto abile nel deviare le responsabilità su qualcun altro. In questo modo è riuscito ad attivare il classico “effetto Teflon” (di cui si è cominciato a parlare ai tempi della Presidenza Reagan), grazie al quale anche gli errori del governo non intaccano la sua popolarità. È quanto è successo per lo scandalo dei cittadini accusati ingiustamente di avere ottenuto assegni familiari frodando lo Stato. L’accusa ha prodotto devastanti conseguenze per molte famiglie, trovatesi a doversi indebitare per restituire i soldi ottenuti. In realtà le accuse erano infondate e si trattava quasi sempre di famiglie che disponevano di una doppia nazionalità e quindi di immigrati. Una discriminazione di evidente carattere razziale. La responsabilità dello scandalo è ricaduta su un ex-ministro laburista sull’attuale ministro democristiano delle finanze. Una giornalista del Volkskrant, ha intitolato una biografia di Rutte: “L’uomo più felice dei Paesi Bassi”.

La principale formazione di opposizione al governo è il PVV, espressione della destra populista e islamofoba guidata da Geert Wilders.  Il “Partito della Libertà”, alleato della Lega a livello europeo, aveva ottenuto il 13,1% nel 2017. Potrebbe crescere, anche se si trova a competere con un’altra formazione di estrema destra (il Forum per la Democrazia), ma non al punto da cambiare significativamente gli equilibri politici olandesi.

La sinistra, largamente intesa, si presenta molto frammentata. In recupero il Partito Laburista (socialdemocratico moderato) che era crollato cinque anni fa a meno del 6%, che dovrebbe crescere soprattutto a spese del più radicale Partito Socialista. Quest’ultimo, guidato da Lilian Marijnissen, dopo vari cambi di leadership e oscillazioni fra posizioni populiste e convergenza verso i partiti tradizionali, fatica a ritrovare un profilo convincente ed è stato attraversato da tensioni interne.

La Sinistra Verde, nata dalla confluenza dei partiti che si trovavano a sinistra della socialdemocrazia alla fine degli anni ’80, tra i quali il piccolo Partito Comunista, ha seguito un processo di deradicalizzazione simile ai Verdi tedeschi ma per ora con minore successo. Sembra stabile attorno al 10%. Nel 2017 si è affermato un partito animalista che nel Parlamento europeo si è affiliato al GUE-NGL. Aveva il 3,2% ed è dato in crescita. Nel 2017, si era presentato anche Denk, un partito formato da parlamentari laburisti, che si battono per il multiculturalismo e il razzismo ed era riuscito ad ottenere tre seggi. È formato soprattutto da immigrati provenienti dai paesi musulmani. Questa volta, potrebbe entrare in Parlamento anche il B1J1 (la cui pronuncia in olandese significa “insieme”), nato dalla separazione da Denk di Sylvana Simons, attrice e presentatrice televisiva, nata in Suriname, ispirata dal movimento Black Lives Matters, anch’essa impegnata nella lotta contro il razzismo ma con un profilo più radicale di Denk.

Post scriptum sulle elezioni olandesi

A tutt’oggi non sono ancora disponibili i dati completi e definitivi delle elezioni olandesi che si sono svolte dal 15 al 17 marzo. Il ritardo, inabituale nei Paesi Bassi, è causato dalla possibilità per l’elettorato più a rischio di contagio di utilizzare il ricorso al voto postale. I dati disponibili sono comunque relativi al 99,72% dei voti scrutinati, si può quindi ritenere che il risultato finale non produrrà scostamenti significativi per quando riguarda la distribuzione dei 150 seggi della Camera dei Rappresentanti.

Esaminando lo spettro politico da destra a sinistra il quadro che emerge segnala un rafforzamento dell’estrema destra e un arretramento della sinistra che non dovrebbe portare però ad un cambiamento della coalizione di governo che invece si rafforza leggermente.

All’estrema destra si collocano 3 partiti populisti, anti-immigrati e fortemente euroscettici. Il più importante è il Partito della Libertà di Geert Wilders che ottiene il 10,87% con 17 seggi. Ne perde 3 e scivola a terzo partito, dal secondo posto ottenuto nel 2017. Cresce invece il Forum per la Democrazia (negazionista del Covid) salendo da 2 a 8 seggi, col 5,03% dei voti. Un terzo partito di recente formazione si ispira al defunto Pim Fortuyn, il primo ad aver aperto la strada ad una posizione politica xenofoba nella vita politica dei Paesi Bassi. Si tratta del Juiste Antwoord 2021, traducibile in “la giusta risposta 2021”. Presente per la prima volta ottiene il 2,37% e 3 seggi. Un quarto partito collocabile nella destra radicale, ma di impostazione ultrareligiosa, è il Partito Politico Riformato che ottiene il 2,09% con 3 seggi, come nel 2017. Ha la sua base elettorale in zone dove vivono cittadini di religione protestante (calvinista), rigidamente osservanti ed anti-modernisti. Tutte queste forze raccolgono 31 seggi con un aumento di 3 rispetto al 2017.

Nel governo uscente, guidato da Mark Rutte, erano presente quattro partiti: il Partito Popolare della Libertà e della Democrazia (liberale di centro-destra), i Democratici ’66, l’Appello Cristiano Democratico e l’Unione Cristiana. Complessivamente i partiti di governo ottengono 78 seggi, con un incremento di 2 seggi rispetto al precedente Parlamento. Il voto ha determinato un riequilibrio tra i vari partiti. In netto calo i Cristiano Democratici (il cui leader controllava il Ministero delle Finanze) che ottengono il 9,56% e 15 seggi, con un calo di 4. Stabile l’Unione Cristiana, conservatrice sui temi etici ma progressista su quelli economici, con il 3,39% e gli stessi 5 seggi che aveva prima.

I vincitori sono quindi i due partiti liberali maggiori. Il Partito di Mark Rutte, che nel confronto interno all’Unione Europea ha guidato la coalizione dei cosiddetti frugali, ottiene il 21,91% con 35 seggi. L’incremento è limitato (+2 seggi e + 0,8%) e va considerato che nel 2017 il Partito aveva subito una secca sconfitta, perdendo 8 seggi e oltre il 5% dei voti. L’aura di popolarità di Rutte va quindi ridimensionata, ma non c’è dubbio che è riuscito a mantenere la posizione di Partito nettamente più forte in un sistema altamente frazionato. Un più netto successo hanno registrato i Democratici ’66, così chiamati dall’anno di fondazione. Erano sorti soprattutto con l’obbiettivo di democratizzare il sistema politico olandese. Attualmente hanno un profilo di partito liberale pro-europeista e moderatamente più aperto sui temi sociali del partito di Rutte. Ottengono il 14,95% dei voti, conquistando 23 seggi, 4 in più del precedente Parlamento. Si chiede il “New Stateman” britannico se questo rafforzamento del partito guidato da Sigrid Kaag, possa modificare il posizionamento olandese nel dibattito aperto sulle prospettive dell’Unione Europea[i]. I D66 hanno criticato certe posizioni rigide tenute da Rutte nella discussione sul Recovery Plan, ma sembra difficile che siano disposti a tradurre queste differenze in un vero scontro politico. Si tratterà di vedere, sempre secondo il New Stateman, quanto lo stesso Rutte, che diventerà, probabilmente, il capo di governo più longevo dell’Unione al ritiro della Merkel, sarà disponibile a correggere il proprio ruolo da difensore oltranzista del rigorismo fiscale a facilitatore di soluzioni di compromesso.

Piuttosto deprimente il quadro che emerge sul lato sinistro del sistema politico olandese. Il Partito Socialista (che fino alle elezioni del 2019, quando ha perso la propria rappresentanza, aderiva al GUE-NGL), si trova ad essere il primo partito tra quelli collocabili come sinistra o centro-sinistra. Ottiene il 6,01% dei voti e 9 seggi, perdendone 5. Si tratta di un ulteriore pesante calo che aggrava una fase declinante che allontana il partito dal 16,6% e 25 seggi ottenuti nel 2006. Negli anni ha attenuato l’approccio populista che lo aveva contraddistinto come “partito del pomodoro” (adottato come simbolo di protesta, rimasto nel logo ma ridimensionato) dichiarando più volte di essere disponibile a partecipare a coalizioni di governo anche con partiti moderati. Questo già è avvenuto a livello locale. L’attuale leader, Lilian Marijnissen, figlia di Jan Marijinissen colui che ha portato il partito al successo, ha cercato di trovare un equilibrio tra due direzioni non sempre facili da sovrapporre: l’approccio populista (basato più sulla reinterpretazione della “linea di massa” maoista che sulle teorizzazioni di Laclau e Mouffe) e la “governamentalità”. Nonostante queste difficoltà resta un partito con un seguito elettorale significativo e fondamentale nella riapertura di una prospettiva di sinistra in Olanda. In ripresa rispetto al pessimo risultato delle elezioni europee del 2019 che gli aveva impedito di confermare il proprio seggio.

Il Partito Laburista, nonostante la fiammata dell’effetto Timmermans nel 2019, resta fermo al 5,70% con gli stessi 9 seggi di cui disponeva nella precedente legislatura. Il partito non si è ripreso dagli effetti disastrosi conseguiti alla partecipazione al Governo in un ruolo di protagonismo nell’applicare le politiche di austerità sia in Olanda che a livello europeo.

Dopo una fase di crescita, subisce una secca sconfitta la GroenLinks, la Sinistra Verde, che raccoglie il 5,07% con 8 seggi (-6). L’organizzazione giovanile del partito attribuisce l’arretramento alla politica eccessivamente moderata e poco identitaria seguita dalla leadership. Si confermano gli Animalisti con il 3,81% e 6 seggi (+1) che in buona parte coprono tematiche ecologiste simili a quelle di GroenLinks.

Nel campo del centro-sinistra si possono collocare altri partiti minori. Sul versante più moderato, entra in parlamento Volt, caso originale di partito europeo articolato in organizzazioni nazionali. Fortemente europeista, il suo unico europarlamentare (tedesco) aderisce al gruppo dei Verdi. Ottiene il 2,39% e 3 seggi. Il partito anti-razzista Denk (formato prevalentemente da immigrati di religione musulmana) raccoglie il 2,0%, confermando i suoi 3 seggi, mentre il più radicale BIJ1 si Sylvana Simons, entra per la prima volta con lo 0,81% e 1 seggio.

Complessivamente quest’area raccoglie 40 seggi, molto lontana da qualsiasi possibile maggioranza di governo alternativa. Dopo il voto si sono sollevate alcune voci, sia in campo laburista che in quello della Sinistra Verde, che hanno ipotizzato la formazione di un nuovo partito che assorbisse la gran parte di quelli esistenti in questo campo. Un’ipotesi che sembra difficilmente realizzabile e il cui successo elettorale sarebbe tutt’altro che certo.

Franco Ferrari

 

[i] https://www.newstatesman.com/world/europe/2021/03/european-ripples-dutch-election

 

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