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Geopolitica del vaccino anti-Covid19

di Tommaso
Chiti

Come ogni crisi del sistema capitalistico, anche la pandemia da Covid19 pone accanto alle sfide della transizione ecologica dell’economia, il peso crescente delle diseguaglianze sociali, fra le categorie nei tanti paesi colpiti dal virus, così come nella comunità internazionale.

Ad ormai quasi un anno di cattività in Italia, la diffusione del vaccino rappresenta quel barlume in fondo al tunnel della crisi, verso la graduale riapertura delle attività economiche, culturali e dei mercati. Malgrado la corsa delle multinazionali di Big Pharma nella certificazione dei rispettivi sieri, le difficoltà di produzione industriale hanno comportato nelle ultime settimane crescenti ritardi nelle consegne, fino a quasi appena un terzo delle otto milioni di dosi prenotate per questo periodo da Roma. I tagli alle forniture hanno infatti riguardato per il 55% quelle previste da Pfizer, 81% da Moderna e ben 87% quelle di AstraZeneca.

Nonostante la minore efficacia, il vaccino britannico presenta alcuni vantaggi in termini di mantenimento e distribuzione ed è stato ampiamente opzionato da molti paesi anche per il costo sensibilmente inferiore, che si aggira intorno ai 2,80€ per dose, contro i 19,50$ del vaccino Pfizer e i 25$ del Moderna.

Ma questi prodotti delle case farmaceutiche occidentali sono solo una parte dei sieri disponibili oggi nel mondo, la cui distribuzione evidenzia una certa correlazione con le relazioni diplomatiche ed i rapporti geopolitici dei diversi stati.

Asia, Africa e Sud Amercia stanno infatti diventando sempre più terreno di conquista dei vaccini cinesi o russi, con poche eccezioni in questi continenti, rappresentate da paesi come il Giappone o la Corea del Sud, proprio per i legami solidi con l’area atlantica. Oltre all’Unione Europea, il vaccino Pfizer domina la scena anche in Svizzera, Israele, Canada e Messico; mentre in India il Serum Institute ha formalizzato un accordo per la produzione in loco della soluzione AstraZeneca, dai costi tanto contenuti da interessare anche il Brasile di Bolsonaro.

A fare la parte del leone, anzi della tigre è però la Cina, con ben 4 dei 12 vaccini attualmente autorizzati, impiegati quasi come strumento diplomatico nella definizione di nuove infrastrutture commerciali. Il governo popolare di Pechino cerca di tirare le fila dopo il summit di qualche settimana fa dei 17+1 paesi aderenti alla ‘Via della Seta’ , dodici dei quali membri UE, di cui almeno la metà già clienti dei vaccini cinesi, come ad esempio l’Ungheria. Ad interessare però sono soprattutto quei mercati in via di sviluppo, tanto che l’Etiopia ospiterà un sito produttivo importante dei sieri cinesi, mentre Egitto, Marocco, Cile e paesi arabi hanno stipulato contratti consistenti, dopo aver ospitato le fasi di sperimentazione.

Sempre sul versante euro-asiatico ed in modo ben più evidente, anche la Russia cerca nel vaccino un viatico per il rilancio delle relazioni diplomatiche e commerciali.

Già durante la visita a Mosca dell’Alto Rappresentate della Politica Estera, Joseph Borrell, all’inizio del mese di febbraio al suo omologo russo, Lavrov, oltre la cortina di fumo della vicenda Navalny, la questione più spinosa nei rapporti fra le due potenze regionali è apparsa fin da subito la possibile circolazione del vaccino ‘Sputnik5’ in paesi UE o del vicinato.

Non che gli strascichi del conflitto in Ucraina, del ruolo del Cremlino in Libia e Siria e dell’approccio sui diritti umani faciliti i rapporti con le istituzioni europee; ma di certo gli stati membri dell’Unione sono contrapposti anche fra di loro rispetto al ricorso a EpiVacCorona e SputnikV – i due sieri attualmente registrati.  La produzione non pare al momento sufficiente nemmeno per l’intera Russia ed altre concessioni estere sono dislocate in Cina, India, Corea del Sud, Brasile e Kazahkistan.

A poca distanza, la Serbia ha già concordato 2 milioni di dosi e l’avvio di un programma di produzione locale. Accordi simili anche in Iran, Algeria, Bielorussia e Montenegro, ma anche Argentina, Bolivia, Venezuela e Paraguay; mentre il Ministro Salute tedesco Spahn non esclude il ricorso ai vaccini russi, in caso di carenza di altre dosi.

Il retroterra di questa sintonia si chiama Nord Stream2, il gasdotto in partnership fra Berlino e Mosca, che garantirebbe alla potenza europea oltre ad autonomia energetica anche diritti di passaggio e maggiore influenza in aree interessate dagli impianti.

Così, mentre l’UE conferma il solito strabismo, fra retaggio atlantista nella partnership con gli USA e differenti priorità nazionali a livello bilaterale, è considerevole la riorganizzazione dei cosiddetti BRICS nella collaborazione reciproca per l’uscita dalla crisi sanitaria.

La cornice di questo quadro riguarda però l’accelerazione inedita ed insostenibile delle diseguaglianze legate alla distribuzione del vaccino.

Proprio ieri al WTO non è stato raggiunto l’accordo per un documento condiviso sulla base della proposta di Sud Africa ed India per la sospensione temporanea dei diritti di proprietà intellettuale sui farmaci.

A sostenere la proposta al contrasto del “sovranismo dei vaccini” anche Kenya, Mozambico, Pakistan, Mongolia, Venezuela, Bolivia, Egitto, quasi una riedizione del gruppo di paesi del Terzo Mondo durante il confronto bipolare. Dall’altra parte della barricata invece gli stati occidentali, spesso sedi delle Big Pharma, come USA, Australia, Regno Unito, Giappone, Italia e Svizzera.

Le differenze fra le due parti del mondo sono evidenziate anche dalla diffusione dei vaccini: nei 49 paesi più ricchi sono infatti state distribuite oltre 40 milioni di dosi, mentre nei paesi a basso reddito – oltre 130 stati – non si supera le 25 milioni di dosi complessive.

L’ultimo atto di una corsa nazionale all’accaparramento di dosi è stato il G7 di venerdì scorso, il primo con il neo-presidente USA, Joe Biden, già piuttosto orientato a quell’atlantismo tradizionale, quasi in contrapposizione con le potenze euro-asiatiche di Russia e Cina.

Al centro del summit infatti la crisi sanitaria e soprattutto la redistribuzione dei vaccini con l’annuncio dello stanziamento pari a 7,5mld. di euro per il rafforzamento delle campagne vaccinali. Una nuova diplomazia degli aiuti del tandem UE-USA, ora che l’amministrazione della Casa Bianca sembra più incline al multilateralismo con gli storici alleati del Vecchio Continente.

Anche l’Unione Europea ha stabilito il raddoppio di contributi al programma “CoVax” dell’OMS, che punta alla redistribuzione equa dei sieri nel mondo.  La struttura tuttavia appare sottodimensionata e scarsamente finanziata rispetto all’ambizioso obiettivo di 2mld di vaccini entro fine anno. Si stima infatti una copertura intorno al 3,3% da parte del programma, mentre i paesi più ricchi nello stesso periodo saranno fra il 50 ed il 60% di popolazione vaccinata.

Sebbene l’UE non riesca a mantenere i livelli di copertura previsti nemmeno fra gli stati membri più organizzati, la posta in gioco riguarda l’influenza in zone strategiche, come i Balcani, il Mediterraneo e l’Africa in generale.

Perciò, la Commissione ha recepito l’iniziativa francese di trasferimento dal 3 al 5% di stock europei, eccedenti rispetto al fabbisogno, ai paesi africani. Le quantità opzionate dagli stati UE sono infatti il doppio di quelle necessarie a coprire l’intera popolazione e la proposta della Presidentessa Von der Leyen comprenderebbe circa 2,3 miliardi di dosi.

È evidente che non si tratti di mera filantropia, quanto piuttosto di un tentativo di riattivazione dei canali diplomatici e commerciali più significativi, nel tentativo di limitare l’influenza russa e cinese.

Le diverse proposte dei governi europei non mettono minimamente in discussione i diritti di proprietà di Big Pharma, per cui da più parti è stata chiesta una moratoria sulle leggi di produzione dei farmaci.

Sulla scorta delle mancate consegne e quindi della violazione dei contratti stipulati in segreto fra le case farmaceutiche e la Commissione UE, la Sinistra Europea (GUE) tramite l’eurodeputato Marc Botenga ha chiesto maggiore trasparenza e responsabilità, ribadendo che “Nessun profitto deve essere tratto da questa pandemia e sicuramente non vogliamo l’emarginazione dai vaccini”.

Nelle indicazioni recepite dal Parlamento Europeo, la proposta è stata però trasformata nel rilascio volontario dei brevetti per la produzione in conto-terzi, oppure con formula di licenza obbligatoria, comunque mantenendo la titolarità e quindi le royalties. La stessa proposta francese sul trasferimento dei surplus non eccepisce alle speculazioni di mercato anche durante una pandemia, tradendo tutta la retorica del “vaccino bene universale”.

Da parte di molte ONG come Medici Senza Frontiere viene la richiesta di rendere pubblici i diritti sui vaccini per la loro riproduzione in tempi rapidi. L’appello alla solidarietà internazionale invita ad anteporre il buonsenso al profitto, toccando principi di equità ma soprattutto di salute pubblica, dato che la pandemia non mostra confini e solo con la sua attenuazione su scala mondiale è possibile ripristinare condizioni di vita e commercio normalizzate.

Il rischio denunciato da più parti è il ripetersi del tragico scenario di morte seminato dall’AIDS e dovuto ai ritardi decennali nei trasferimenti di brevetti anche ai paesi africani, mentre in Europa l’HIV veniva progressivamente combattuto.

Per questo è tuttora attiva un’Iniziativa dei Cittadini Europei riassunta nello slogan #NoProfitOnPandemic.

QUI per firmare: https://noprofitonpandemic.eu/it/

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