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Fino all’ultimo ucraino

di Ro. Mu.
Noi di transform della condizione dell’Ucraina e, soprattutto, di chi ci vive ci siamo occupati da prima della guerra. O meglio, lo abbiamo fatto facendo un bilancio di quella che abbiamo chiamato la guerra dei trent’anni. Che poi è il periodo che era trascorso dal 1989 al momento in cui fu scritto l’articolo che riproponiamo di seguito (pubblicato a luglio 2018) .
Riprendendo un lungo saggio sulla demografia in Europa pubblicato da Le Monde Diplomatique e uscito sul Manifesto, condividevamo il dato che il trentennio aveva avuto sul vecchio continente dal punto di vista demografico gli effetti di una guerra. Tendenze che, nonostante, il muro di Berlino e i regimi diversi, avevano avvicinato le popolazioni europee in tema di trend demografici, si erano bruscamente invertite. Molti Paesi dell’Est erano andati decrescendo per la concomitanza di più fattori. Emigrazione economica. Denatalità. Riduzione delle aspettative di vita. Tra questi c’era, citata per prima, l’Ucraina.
Era il frutto avvelenato del neoliberismo selvaggio con cui la UE si edificava e si manifestava nell’area europea e non solo. Oltreché del suo nuovo imperialismo in cooperazione e competizione con quello della NATO. E poi le guerre in Europa erano tornate anche militari come nella ex Yugoslavia.
Ora per l’Ucraina c’è la guerra con la Russia. Invece di cercare una soluzione pacifica la UE la sta alimentando. I dati, incerti e provvisori ma drammatici, parlano di milioni di ucraini sfollati, emigrati, morti. Si può immaginare che in guerra la natalità non sarà certo favorita. Ci sono stime di un calo impressionante di popolazione per l’Ucraina e di danni che, se la guerra sarà lunga, colpiranno intere generazioni. Si dice che l’Occidente sta combattendo questa guerra “fino all’ultimo ucraino”. Purtroppo non è una frase polemica ma tragica.

In 30 anni un quinto dell’Ucraina è scomparso. Cioè la sua popolazione si è ridotta di un 20%. E pensare che nei precedenti 30 anni invece aveva praticamente raggiunto la Francia. Che ora invece è uno dei pochi Paesi che continua a crescere guadagnando 9 milioni di abitanti, gli stessi che l’Ucraina ha perso.
Questi sono solo alcuni dei tanti dati contenuti in uno speciale sui cambiamenti demografici in Europa pubblicato da Le Monde Diplomatique uscito come inserto del Manifesto nel mese di giugno.

Uno speciale tragicamente illuminante. Che ha una data a riferimento, il 1989. Si, il crollo del muro. Dopo di che, si disse, ci sarebbero state le magnifiche sorti e progressive mentre il ricordo del socialismo sarebbe stato strappato da cuori e menti delle persone così come venivano strappati in quei giorni dalle bandiere i suoi simboli o come venivano abbattute le statue.
A leggere ciò che è accaduto nell’Europa reale del dopo muro i 30 anni che stanno ormai per scadere tutto sembrano meno che quelli di pace e prosperità annunciati.
Anzi lo scenario sembra più quello effetto di una vera e propria guerra. Quella dichiarata dal liberismo al modello sociale europeo, quello si figlio di 30 anni gloriosi. Quella della lotta di classe rovesciata, dei padroni contro il lavoro.
I numeri sono impressionanti. Se dagli anni ’50 all”89 le due Europe, dell’est e dell’ovest, sia pure divise dal muro si erano avvicinate come trend demografici con l’est che aveva ridotto il gap di popolazione da meno 60 milioni a meno 30 milioni, dopo l”89 quei 30 milioni guadagnati dall’est scompaiono e la differenza torna a 60 milioni.
In 30 anni la Romania perde 3,2 milioni di abitanti, pari al 14% della sua popolazione. La Moldavia il 16,9%, la Bosnia il 19,9%, la Bulgaria e la Lituania il 20,8%, la Lettonia il 25,3%.

Il materiale prodotto dallo speciale è molto ricco e articolato. In una Europa che in generale non cresce più dal punto di vista demografico dopo l”89 si articolano però varie aree che riflettono gli effetti dei mutamenti sociali, come le cartine di un territorio bombardato.
Soffrono moltissimo i Paesi dell’Est. Soffrono quelli del Sud. Solo alcuni del Nord e la Francia hanno trend positivi. E le cause non sono “naturali”. Nelle aree di maggiore sofferenza si cumulano tre fattori. Una riduzione, anche significativa, delle aspettative di vita. Una riduzione della natalità per cattive prospettive sociali. Forti migrazioni economiche che per alcuni Paesi sono superiori a quelle africane.
Il cuore dell’Europa reale, la Germania dell’ordoliberismo, è quello che mostra il maggior bisogno di manodopera che non viene coperto dai suoi trend demografici e che sfama succhiando personale qualificato in particolare da quelle aree dell’est che sono diventate il suo retroterra per altro voluto e ricercato attraverso le politiche di destabilizzazione ed annessione perseguite in un rapporto concorrenziale con la Nato.

È in questa dinamica che di contrappasso nasce il cosiddetto gruppo di Visagrad che reagisce e cavalca la dinamica demografica secondo una curvatura etnica e nazionalista che per altro si va diffondendo nell’insieme dell’Europa reale.
Che vive un colossale inganno. Già nel 2005 la Commissione europea pubblicava un libro verde sulle migrazioni economiche che già dall’inizio riconosceva che con gli attuali trend demografici e pur con i fenomeni migratori extraeeuropei tra il 2010 e il 2030 si sarebbe creato un vuoto di 20 milioni di persone “necessarie” al mercato del lavoro e ai conti del welfare.

Ebbene con questa previsione scritta nero su bianco nulla si è fatto per creare canali di ingresso regolari concentrandosi invece sulla cosiddetta clandestinità. L’Europa infatti non ha una direttiva quadro per gli ingressi e solo direttive parziali segmentate su vari aspetti per altro molto contraddittori come l’uso di manodopera clandestina, i migranti qualificati, l’intreccio tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro (non approvata e zeppa di aberrazioni che creano cittadini di serie b e lavoro schiavistico).
La realtà è che il liberismo vuole agire secondo la logica del più forte e senza più riconoscere il soggetto altro, il lavoro. Che in un mondo del lavoro globalizzato dovrebbe veder riconosciuto il proprio diritto soggettivo a cercare lavoro. Come fu agli albori del capitalismo con la fine della servitù della gleba.

Questo ci direbbe oggi Marx ed è l’esatto contrario di ciò che pensano alcuni che “da sinistra” considerano il diritto del lavoro anche a muoversi un cedimento alla globalizzazione. Lasciando così al capitale il monopolio della lotta di classe rovesciata e la divisione sistematica del mondo del lavoro.
Non a caso lo spartiacque è l”89 e cioè la rivincita del capitalismo. Che ha mosso la guerra i cui esiti mostrano le fotografie del dossier. Una guerra che con la crisi del 2009 si fa ancora più aspra e va aprendo nuovi fronti. Compreso quello della guerra tra gli sfruttati che alimenta i nuovi “nazionalismi globalizzati”. Un ossimoro mostruoso che ci dice che siamo in una nuova fase drammatica in cui si bombarda dall’alto e si spara anche “casa per casa”. Il capitalismo fa entrambe queste forme di guerra.
E non trova adeguate resistenza. Perché purtroppo in troppi da sinistra in quell’anno si sono arresi. Non hanno rifondato ma liquidato. Non solo. Si sono in molti consegnati e proposti come collaboratori efficienti del capitalismo vincente. Intere classi dirigenti dell’est ma anche dell’ovest. Anche in Italia dove il Paese che fu quello del più grande partito comunista di occidente è stato trasformato anche dal suo scioglimento in un avamposto delle destre xenofobe e populiste.

Si disse in quel 1989 che bisognava liberarsi dalle macerie del comunismo. Dopo 30 anni stiamo sotto le macerie di una guerra del capitale che miete milioni di vittime.

Roberto Musacchio

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