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E ora cosa, Die Linke? Tre suggerimenti per un dibattito sulla strategia

di Mario
Candeias

di Mario Candeias, direttore dell’Istituto per l’analisi sociale critica, Fondazione Rosa Luxemburg, Berlino –

Vi proponiamo la traduzione italiana del lungo contributo al dibattito sulle strategie della sinistra What Now, Die Linke?, pubblicato sul sito della Fondazione Rosa Luxemburg.

La società si sta trasformando e il sistema tedesco dei partiti è in uno stato di cambiamento radicale. I partiti navigano in acque agitate e la Linke non fa eccezione. Il futuro stesso è diventato incerto. In quale direzione dovrebbero muoversi il partito e la società nel suo insieme? Questo è ciò che è in gioco. In una situazione così dinamica quali strategie dimostreranno chiaramente il valore d’uso della Linke? Come può diventare socialmente efficace? Non c’è un progetto per raggiungere questi obiettivi. Certo, non tutto deve essere reinventato: possiamo attingere a molte strategie esistenti. Ma è necessaria una discussione critica e proiettata nel futuro. A questo scopo il partito organizzerà una conferenza strategica. Questo contributo ha lo scopo di stimolare un partito che si caratterizza per il protagonismo nei conflitti emblematici di politica di classe unificante e socio-ecologica, fornendo una prospettiva socialista e chiare proposte di progetto per un governo di sinistra.

Il nostro punto di partenza: tre poli e una situazione potenzialmente mortale

Come in molti altri Paesi, anche in Germania il sistema dei partiti è in subbuglio dall’inizio della grande crisi. Questa situazione è tuttavia migliore del relativo stallo dell’egemonia (neoliberale) pienamente sviluppata. Nuovi risvegli si stanno verificando in Germania e nel resto dell’Europa. Questi sconvolgimenti sono senza dubbio altamente pericolosi. Queste dinamiche possono assumere direzioni imprevedibili e hanno già sconfitto molti partiti di ogni campo politico. Le elezioni più recenti nella Germania orientale e le elezioni europee ancora prima sono un chiaro segnale di allarme, sebbene non rappresentino la tendenza generale[1]. L’attuale crisi non è quindi limitata alla Linke, ma è una più ampia crisi sociale che sta trasformando tutti i partiti e diversi Paesi.

Si è formata una costellazione che può essere descritta come una triplice polarizzazione: il primo polo è costituito dal blocco di potere attualmente in carica (e dalle principali correnti che lo supportano) o dai “piccoli blocchi di potere” nei Länder (stati federali tedeschi) (assegnando al Primo Ministro un bonus come pilastro della stabilità e per aver evitato che il partito di destra radicale AfD diventasse il partito più forte). Il secondo polo è proprio Alternativa per la Germania (AfD), la cui crescita ha rallentato ma che è ancora forte e il cui discorso è influente. Rappresenta il vero “sfidante” del governo e dei partiti dell’establishment. Il terzo polo sociale rappresenta la difesa di un modo di vivere basato sulla solidarietà e la democrazia, nonché le basi ecologiche della società (il che è diventato evidente anche in Sassonia con il 90% di partecipanti locali alla manifestazione #indivisibili di Dresda). Questo terzo polo ha trovato rappresentanza in un partito politico, ma sfortunatamente quel partito non è (o lo è solo parzialmente) la Linke: lo sono invece i Verdi (Die Grünen)[2].

Le posizioni sfumate o intermedie non solo sono appena visibili in una tale costellazione polarizzata, ma spesso sono schiacciate. La Linke è a malapena notata, è presente nei media solo in casi eccezionali, per esempio in relazione alla campagna per il controllo degli affitti delle abitazioni. Ciò ha anche a che fare con le questioni regionali: la forza dell’ex Partito del socialismo democratico (PDS), ora Die Linke nella Germania orientale, era la grande adesione (anche se invecchiata e spesso passiva) combinata con un elettorato fedele che si identificava con il partito. Molti di questi membri erano stati reclutati dal personale dell’ex Partito socialista tedesco (SED) e dal suo seguito. Nell’arco di vent’anni questa generazione di iscritti ed elettori scomparirà completamente, il che ridurrà la presenza e il radicamento locale del partito che, se non si impegna ad aumentare le iscrizioni e ad allargare l’elettorato, rischia di estinguersi. Ci sono anche altri fattori, che includono diversi errori (parola chiave “legge di polizia”) e uno stile di politica incentrato su piccole riforme, governo “migliore” o “migliore” opposizione, sullo spazio limitato della politica parlamentare piuttosto che sullo “spirito di separazione” (Antonio Gramsci), con una chiara distinzione e un profilo nitido e riconoscibile rispetto agli altri partiti. Ma la forma del partito come “movimento di coalizione anti-neoliberista” (Jörg Schindler) in opposizione all’“Agenda 2010” e all’introduzione delle riforme del lavoro in Germania si è esaurita, mentre nuove strategie – come quelle di un’organizzazione di partito che unifica e una nuova politica di classe – non hanno avuto il tempo di diffondersi in tutto il partito (o sono stati perfino parzialmente bloccati).

Nonostante il buon lavoro fatto, questo potrebbe facilmente trasformarsi in una minaccia mortale, specialmente nelle costellazioni politiche come quella sopra menzionata tra l’Unione Democratica Cristiana della Germania/Unione Sociale Cristiana in Baviera (CDU/CSU), i Verdi e l’AfD. È proprio questo – e non gli errori, che sono inevitabili – a caratterizzare la situazione precaria in cui si trova l’SPD e in cui anche la Linke rischia di finire. La comprensione di queste costellazioni è importante se vogliamo essere in grado di valutare accuratamente problemi e opportunità ed evitare atteggiamenti disfattisti e distruttivi. Ci imbattiamo frequentemente in un atteggiamento all’interno della Linke che discredita l’organizzazione stessa e che presta più attenzione alle fratture interne che ai veri avversari, che tende alla divisione piuttosto che alla coesione, in cui le parti si accusano l’altra di non avere strategia. Devi poterti permettere il disfattismo e noi non possiamo permettercelo.

Questa costellazione di triplice polarizzazione non è necessariamente destinata a durare: la dinamica è altamente volatile. Per gli standard tedeschi, la società civile è almeno in parte mobilitata: anche all’Est ci sono numerose piccole iniziative che fanno campagna contro la destra radicale, intorno alle tematiche locali, i Fridays for Future e altre persone che si mobilitano contro i cambiamenti climatici, nelle grandi città, nelle cittadine della Lusazia e altrove: l’enorme manifestazione #undivisibili a Dresda ne è stato un esempio. C’è anche una nuova generazione di attivisti sindacali vicino a Die Linke, anche perché le radici dei sindacati all’Est sono molto meno influenzate dall’SPD rispetto alla Germania occidentale. Negli ultimi anni anche molti giovani dell’Est si sono uniti al partito. I nuovi membri non possono compensare la perdita della generazione più anziana ma – come a livello nazionale – sono i nuovi membri più giovani che stanno iniziando ad agire contro la destra, contro uno sviluppo complessivo percepito come minaccioso e per una sinistra locale politica, praticata localmente e con la comunità. Gli sviluppi positivi dell’associazione studentesca Linke.SDS, la cui filiale di Lipsia è uno dei gruppi più grandi e più attivi nel Paese, mostra le potenzialità del partito. La polarizzazione sociale politicizza le persone. Tutto ciò ha anche contribuito a vincere le elezioni in Turingia e a Brema.

Ma lo sviluppo del partito è caratterizzato da forti contraddizioni. L’astensione degli elettori e la passività politica in alcuni settori di classe (che sono particolarmente importanti per Die Linke) rimangono elevati. Non è (solo) questione di avere il giusto approccio alle persone. Il partito deve diventare nuovamente un organismo politico vivo. Queste pratiche sono una cartina di tornasole per una nuova politica di classe. Si tratta di determinare la funzione di un partito socialista.

Possibili strategie e priorità

Come dovremmo agire in tempi instabili? Come uscire dalla situazione attuale, in cui Die Linke è appena visibile? La strategia di una politica di classe coesiva e trasformativa si è dimostrata efficace in molti settori. È in grado di mobilitare le persone e coinvolgerle in concrete lotte sociali e motivarle ad aderire al partito. Ma questa è una strategia a lungo termine e richiede tempo (ed è lungi dall’essere sistematicamente radicata nel partito o nei movimenti sociali). La strategia populista (mediatica) di avviare un “movimento” da zero è fallita (e ha causato un danno considerevole al partito). Ha dimostrato che non ha senso concentrarsi solo su alcuni dei gruppi di elettori di Die Linke (gruppi di dipendenti dell’industria, spesso erroneamente definiti “classe operaia” o “centro urbano” al contrario). Né possiamo “copiare” i Verdi (a favore dei quali abbiamo perso, alle elezioni europee, il maggior numero di voti, 700.000, per non parlare del milione e centomila non votanti e dei molti elettori che si sono rivolti all’AfD, all’SPD e alla CDU). Tuttavia non è vero che sia in atto un “inverdimento” del partito: “Die Linke ha […] la più alta percentuale di lavoratori rispetto agli altri partiti, proprio davanti all’SPD. Sono gli unici partiti ad avere membri del cosiddetto ‘ceto più basso (34%)’ e con un ampio margine”. Nel caso dei Verdi è vero il contrario: “Die Linke e i Verdi stanno crescendo socialmente separati”, secondo il più ampio studio sull’adesione ai partiti tedeschi[3].

Die Linke deve collegare settori molto diversi della classe. Deve imparare a parlare sempre in modo diverso. Le divisioni di classe sono di ogni tipo, professioniali e generazionali, sono relative all’istruzione formale, al genere, alle attribuzioni etno-nazionali e alle altre (auto)-attribuzioni e riguardano le rispettive posizioni all’interno del processo di (ri)produzione sociale.

Sviluppare ulteriormente la politica di classe connettiva e… il socialismo!

Discutiamo di due direzioni (vedi oltre): una strategia popolare e una strategia “populista”, collegate e che potrebbero sicuramente completarsi a vicenda. È fondamentale identificare alcuni progetti che portino a miglioramenti immediati e allo stesso tempo modifichino i rapporti di potere e di proprietà, con l’obiettivo di produrre conflitti esemplari. È quanto è stato raggiunto dai dipendenti di Charité sulla questione dei livelli di personale nel più grande ospedale di Berlino, e si applica anche all’iniziativa “Deutsche Wohnen & Co enteignen” (una campagna referendaria per espropriare i grandi proprietari immobiliari): entrambi i conflitti sono stati avviati localmente e sono stati di stimolo a livello nazionale. Un conflitto mirato dovrebbe affrontare le esigenze quotidiane, mirare a miglioramenti immediati per l’individuo e creare una dinamica per i passi successivi e le prospettive future. Ciò include pratiche dirompenti come scioperi, occupazioni e blocchi, ma anche iniziative referendarie. Il self-empowerment e una visione di lungo respiro sono fondamentali per espandere il raggio delle possibilità: fino a poco tempo fa non avremmo mai immaginato che una campagna per espropriare le società immobiliari potesse avere successo. Conflitti come questo forniscono visibilità, ispirazione e motivazione. Una campagna politica orientata attorno a questo tipo di lotte offre opportunità concrete per collegare iniziative e organizzazioni precedentemente frammentate. Se avrà successo sposterà il discorso sociale, e forse anche i rapporti di potere, ampliando le possibilità e rafforzando altre richieste (la campagna di espropriazione, per esempio, ha migliorato direttamente il discorso sul controllo degli affitti e ispirato idee radicali in altri campi). Quando le organizzazioni a livello di distretto cittadino conducono campagne locali di successo, si collegano con altri gruppi e forniscono un senso di appartenenza, queste controversie possono essere straordinariamente soddisfacenti. Anche su coloro che non possono o non vogliono attivarsi in prima persona queste lotte possono esercitare una nuova attrattiva, poiché ne ricavano la sensazione che qualcuno stia davvero combattendo contro potenti gruppi di interesse nel loro interesse, non in modo astratto, ma per ottenere qualcosa di concreto. Il lavoro organizzativo – collegamento, ampliamento, radicamento – è fondamentale per diventare più numerosi e può unire (l’auto)-organizzazione con una rappresentazione viva e organica. Quali sono, quindi, le tre o quattro questioni centrali dal punto di vista sociale che devono essere risolte e che probabilmente svilupperanno un conflitto produttivo per la sinistra?

È necessario indicare gli avversari. Tatticamente e strategicamente, è necessario essere molto precisi per evitare di rendere astratto l’avversario. Indagare il background degli investitori o le macchinazioni di un’azienda ne sono un buon esempio. Chi trae profitto da questa o quella società ospedaliera a spese di pazienti e personale? Chi consegna quale equipaggiamento militare nelle aree di crisi? Chi sta usando la frode del diesel e la corruzione per bloccare una trasformazione ecologica nei trasporti? L’obiettivo è l’attribuzione delle responsabilità agli avversari. Usare un tono deciso e convincente nel nostro linguaggio politico è parte di questa strategia. Una politica socialista di classe riconosce le lotte per migliori condizioni di lavoro, salari e tempo, ma anche per la riproduzione – salute, alloggio, ecologia – come lotte di classe. Non è ovvio nel settore industriale (con la sua tradizione di partenariato sociale, corporativismo e patti digitali), e lo è ancora meno nei settori dei servizi e, soprattutto, nell’area delle infrastrutture sociali pubbliche o delle questioni climatiche. Si dice, per esempio, che nella crisi ecologica siamo tutti nella stessa barca, che nemmeno i ricchi riusciranno a sfuggirle. Questa è una sciocchezza, considerata la distribuzione diseguale di cause e conseguenze, sia a livello globale sia all’interno di una specifica società. Oltre a fare riferimento agli avversari, c’è anche la necessità di slogan unificanti (di solito abbastanza generali) per il cambiamento del sistema, ma anche per progetti positivi che consistono in un mix di obiettivi raggiungibili e richieste e iniziative di avanzamento.

In tempi di polarizzazione sociale una prospettiva radicale è cruciale. Non si tratta semplicemente di difendere lo stato sociale o di ritornare a un modello di capitalismo regolato. Dovremmo chiarire che stiamo sostenendo la fine del capitalismo, per una società che Bernie Sanders non esita a chiamare socialismo e che include inevitabilmente assistenza sanitaria gratuita; istruzione e alloggi a prezzi accessibili per tutti; beni e servizi pubblici gratuiti, dalle biblioteche ai trasporti pubblici e alle reti dell’“economia di base della vita quotidiana”; molto più tempo l’uno per l’altro e per la vita stessa; partecipazione democratica che fa la differenza, cioè vera democrazia. Il socialismo dovrebbe essere innanzitutto il diritto a ciò che è evidente.

Ciò comporta l’aggiornamento di vecchi problemi socialisti come questioni di potere e relazioni di proprietà, ridistribuzione, pianificazione e democrazia e il loro collegamento a nuovi problemi. Fanno tutti parte di una prospettiva che mira ad estendere il controllo collettivo sulle condizioni di vita immediate, i mezzi sociali di produzione e riproduzione.

Una prospettiva decisamente socialista può essere utile in due modi: in primo luogo, attraverso un processo di ricerca aperto e offensivo, può offrire una prospettiva che riconnette campi diversi, per evitare che tutto si riduca a singole politiche e iniziative. In secondo luogo, può collegare i diversi interessi e movimenti nel senso di una “realpolitik rivoluzionaria” che non “si pone solo obiettivi raggiungibili con i mezzi più efficaci nel più breve tempo” ma, al contrario, va “sotto ogni aspetto oltre i limiti dell’ordine esistente in cui opera[4]. Essa collega le questioni della distribuzione con quelle del potere, della proprietà e della democrazia che (vogliono) andare alla radice del problema.

Potremmo già essere in una situazione in cui siamo costretti a prendere una decisione. L’aumento delle disuguaglianze a livello globale, la crisi ecologica, i movimenti migratori, l’autoritarismo globale e il fascismo nascente rendono assolutamente necessario rompere con le vecchie politiche neoliberiste e le nuove politiche autoritarie. In una sorta di arcobaleno rovesciato, la destra radicale costruisce “l’altro” come una figura contro la quale mobilitarsi. L’uguaglianza delle donne, il riconoscimento del modo di vivere gay o lesbico, la diversità di orientamento sessuale, l’apertura culturale, i piccoli passi verso uno stile di vita più ecologico ecc. sono tutte conquiste di questi movimenti e devono essere difese. Anzi, serve fare di più. E un obiettivo centrale dell’autoritarismo sono i diritti sociali, collettivi, politici e democratici che devono essere difesi. La destra radicale mira a dividere i subalterni, costruisce una politica identitaria di destra e un self-empowerment reazionario. Non ha senso che la sinistra giochi gli elementi individuali (sociale, femminista, ecologico ecc.) l’uno contro l’altro.

Una recessione economica più grave aggraverebbe ulteriormente la situazione sociale. In generale la “via di mezzo” tra apertura post-ideologica, pragmatismo e critica liberale di sinistra non è più percorribile. Le forze che vogliono lavorare per preservare le libertà liberali e civili e gli standard minimi di un modo di vivere basato sulla solidarietà devono schierarsi contro l’autoritarismo e il neoliberismo, il che comporta la richiesta di un orientamento più radicale della sinistra. Ora è il momento di decidere, in un interregno in cui diverse possibilità sono ancora aperte ma stanno già iniziando a chiudersi. La barbarie è di nuovo concepibile, in effetti le lotte violente sono la norma nella transizione verso un nuovo progetto sociale (capitalista o non capitalista); un progetto socialista può invocare la necessità a causa di problemi umani irrisolti e crescenti e il pericolo della barbarie mentre si nutre allo stesso tempo di desideri per il futuro, per l’utopia concreta. Una “narrazione” socialista è indispensabile, ma allo stesso tempo deve essere molto concreta e sviluppata a partire da interventi socialisti. L’aggettivo “socialista” si riferisce a una pratica, non a un progetto completato.

Rosso-rosso-verde? No, governo di sinistra!

Abbiamo già discusso delle possibilità di un governo di sinistra prima delle ultime elezioni generali tedesche nel 2017[5]. Ma questa è un’altra opportunità per chiarire il valore d’uso della Linke, se riesce non solo a partecipare a un governo di coalizione, ma a fare davvero la differenza. Abbiamo avuto numerosi esempi, dalla Grecia al Brandeburgo, in cui fare la vera differenza era possibile solo in misura molto limitata. Ma la situazione è cambiata. In tempi in cui il neoliberismo era completamente egemonico, la stragrande maggioranza della partecipazione del governo della sinistra era destinata al fallimento. Eppure a volte non c’era scelta. I partiti di sinistra si sono sentiti in dovere di partecipare al governo se non altro per impedire un secondo governo Berlusconi in Italia o per sostituire il governo corrotto della CDU a Berlino. In entrambi i casi, tuttavia, le conseguenze per la sinistra sono state fatali. Nel frattempo, l’egemonia neoliberista è scomparsa. I governanti difendono il potere in modo autoritario, perché non hanno più una funzione di guida e il consenso nei loro confronti sta crollando ovunque. I governi di sinistra in Grecia o in Portogallo, nelle città ribelli della Spagna o dell’Italia, mostrano quanto siano enormi le sfide, ma anche che si possono ottenere risultati significativi.

Possiamo prendere Berlino come esempio di quanto i movimenti di sinistra e il partito di sinistra siano in grado di imparare a facilitare un’efficace divisione del lavoro, critiche basate sulla solidarietà e successi condivisi. Il fatto che nella coalizione al governo a Berlino non vi sia più un grande partito che domina (due) partiti più piccoli, poiché i risultati elettorali per i tre partiti sono diventati molto più simili, facilita davvero la cooperazione ad ogni livello. La nuova coalizione al governo di Brema segnerà un nuovo campo di sperimentazione.

Anche a livello federale dovremmo dichiarare chiaramente il nostro obiettivo strategico: non semplicemente una coalizione rosso-rosso-verde (“R2G”), perché è aritmeticamente possibile, o l’opposizione, perché il governo è comunque inutile; piuttosto, Die Linke dovrebbe difendere un governo decisamente di sinistra che può contare su una società civile forte come suo partner critico. È anche ipotizzabile un governo di minoranza, dal momento che a volte può essere vantaggioso per la sinistra (vedi Portogallo). In ogni caso non possiamo più permetterci di apportare solo piccole correzioni. Governare solo quando è possibile un cambio di direzione: questo è il pre-requisito chiave per una politica duratura che dia speranza.

Per qualsiasi tipo di partecipazione al governo sono necessari alcuni progetti concreti e ambiziosi (che dovrebbero essere comunque realizzati). Dovremmo prendere sul serio i programmi che stanno attuando i nostri potenziali alleati a sinistra e cercare punti in comune. Alcuni esempi: una rete di sicurezza sociale di base senza penalizzazioni; la sostanziale riduzione delle esportazioni di armi (divieto nelle zone di crisi); iniziative per la costruzione (permanente) di alloggi sociali (con investimenti, ma soprattutto con un numero significativamente maggiore di diritti per gli inquilini e le municipalità); rafforzamento delle infrastrutture sociali con livelli vincolanti di personale nelle professioni sociali, compresa l’assistenza infermieristica per i malati e gli anziani e le scuole; misure radicali nelle politiche per il clima (rinuncia anticipata al carbone, ingenti investimenti per cambiamenti strutturali, programmi di investimento socio-ecologici, limiti più severi e misure regolamentari nei trasporti e altrove); espansione del trasporto pubblico locale e regionale con prezzi ragionevoli dei biglietti e azioni efficaci per le città senza auto; spostamento del trasporto delle merci dalle strade alla ferrovia; regolazione e severe restrizioni sul lavoro temporaneo, i contratti a tempo determinato e le altre forme di lavoro precarie; orientamento verso nuove condizioni di lavoro standard e un salario minimo più elevato; riappropriazione dei dati digitali e regolamentazione dell’economia delle piattaforme e della logistica; imposizione di tasse sulla ricchezza e sulle società, con un’imposta sulle transazioni, tassazione delle società transnazionali e tecnologiche; infine, misure per democratizzare lo stato e l’accesso alla democrazia economica. Questo elenco è già troppo lungo. Le priorità tra i punti summenzionati potrebbero forse essere l’edilizia abitativa, la trasformazione dei trasporti, la rete di previdenza sociale di base esente da penalizzazioni, le strutture di assistenza e le armi.

È fondamentale identificare alcuni progetti che apportano miglioramenti immediati, modificando al contempo le relazioni di potere e proprietà, producendo così conflitti emblematici. Mettere dei paletti o divieti alla partecipazione al governo serve solo a definire in negativo il partito, non dimostra l’utilità del partito nel governo. Ha anche senso astenersi dal fare molte cose: nessun accordo di libero scambio, nessuna missione di guerra, nessuna espansione del budget per gli armameni, nessuna deregolamentazione, nessun inutile progetto su larga scala ecc. Se non c’è un solido accordo tra i partner della coalizione, a volte può avere più senso che il governo non prenda decisioni in quelle materie. Non dobbiamo sempre chiuderci a riccio: dobbiamo sviluppare un’arte di governo basata sulla prevenzione di ciò che è dannoso.

Di conseguenza, nella situazione attuale non è saggio dissociarsi completamente dai Verdi o dall’SPD, anche se le differenze nella portata e nella forma della nostra politica devono essere chiarite. Gli avversari non sono i rossi o i verdi, ma una possibile coalizione nero-verde (o verde-nero) e la destra radicale. È fondamentale che Die Linke affermi chiaramente: chiunque voglia attuare una politica sociale ed ecologica deve votare a sinistra per evitare di abbandonare SPD e Verdi alla modernizzazione capitalista e lasciare che le cose continuino così come sono e per rafforzare le richieste della sinistra all’interno di quei partiti, che possono essere realizzate solo con Die Linke e con nessun altro.

La situazione non è affatto sfavorevole. La socialdemocrazia ha bisogno di un progetto di rinnovamento per rallentare il suo crollo. La CDU/CSU perde costantemente voti ed è incerta su quale percorso intraprendere[6], come è stato reso evidente dal caso di Annegret Kramp Karrenbauer. Con la loro comunicazione post-politica, i Verdi possono ancora rappresentare posizioni opposte (dicendo sì a un governo di coalizione conservatrice-verde pur rimanendo impegnati nella politica radicale in materia di clima, uguaglianza sociale e frontiere aperte), ma saranno costretti a mostrare i loro veri colori al più tardi nelle prossime elezioni. È possibile che perseguano effettivamente il “desiderio di un nuovo centro” conservando lo status quo con modifiche di capitalismo verde. Quindi trascureranno il desiderio onnipresente di un cambiamento radicale necessario. Cerchiamo di incoraggiarli a prendersi sul serio: una Cancelleria verde più un radicale cambiamento di rotta in termini di politica climatica, socio-ecologica, insieme a noi.

In questo senso consideriamo il dibattito e la formulazione di un programma per un governo di sinistra come un discorso politico significativo per due ragioni. Innanzitutto, i media stanno prestando attenzione a questo genere di cose. In secondo luogo, creiamo spazio per rendere visibili i nostri interventi radicali e socialisti, dando alla sinistra un più ampio spazio per riorientare e concentrarsi su questi interventi, indipendentemente dal fatto che un governo di sinistra debba o meno nascere. La società civile di sinistra e la scienza e la ricerca di sinistra dovrebbero essere ampiamente incluse in questo discorso. Sarebbe importante generare impulsi per lo sviluppo di un programma di governo di sinistra e sviluppare proposte concrete, diciamo dieci proposte per un programma di governo socialista. Questo è il motivo per cui non parliamo in termini di rosso-rosso-verde o di una sorta di gioco matematico a colori introdotto dai media, ma piuttosto in termini di un governo veramente di sinistra. Dobbiamo dire chiaramente che è in gioco un autentico cambio di direzione.

Il progetto di governo di sinistra non contraddice affatto l’approccio di un’organizzazione di partito. Senza un partito così mobilitato, senza l’impegno di iniziative e movimenti sociali, un governo di sinistra non sarà in grado di realizzare molto e non potrà resistere a lungo. Le forze opposte all’interno della società sono troppo forti. Anche le forze inerziali all’interno dei potenziali partner della coalizione – forse anche in parti della Linke – non dovrebbero essere sottovalutate. È probabilmente cruciale attuare due o tre misure drastiche all’inizio, quando lo slancio è ancora forte, gli oppositori del governo di sinistra sono ancora indeboliti e la società civile è mobilitata. La presa del potere formale del governo non dovrebbe significare la fine del movimento. Al contrario, l’auto-organizzazione in tutte le aree dovrebbe essere intensificata. Nuove pratiche che connettono le diverse funzioni di governo, partito, movimento e organizzazioni sociali autonome dovrebbero essere sviluppate al posto del partito formale che agisce per conto dei movimenti e degli elettori e li invita a mobilitarsi in favore del governo volta per volta. Ci vuole la pressione della società e del partito per andare avanti come governo… Ma Die Linke, e la sinistra in generale, deve innanzitutto arrivare al governo. A dicembre sapremo più precisamente per quanto tempo durerà l’attuale governo, quando l’SPD avrà ridefinito la sua leadership e la sua direzione.

Politica di classe ecologica e socialismo verde

Il “sociale” è ancora il “core branding” della Linke, ma non è affatto definito in termini di politica di classe e socialismo e, soprattutto, non è costantemente articolato in relazione ad altre aree della politica. Oggi non può più esistere una politica sociale che non sia anche ecologica, poiché la crisi ecologica sta arrivando al culmine. I punti di non ritorno sono stati raggiunti prima del previsto. Mentre la destra radicale è impegnata a denunciare le politiche femministe e climatiche come “esoterismo da classe media”, queste due questioni si stanno trasformando in punti di cristallizzazione per un rinnovato movimento sociale. In termini di politica europea dei partiti sono i Verdi a beneficiarne. Questo ha molto a che fare con la falsa opposizione tra questioni sociali ed ecologiche. La questione della giustizia climatica è una questione sociale su scala globale. Le conseguenze dei cambiamenti climatici, e delle singole misure di politica climatica, sono distribuite tra le classi in modo estremamente diseguale, sia a livello mondiale sia all’interno delle singole società. All’orizzonte ci sono enormi conflitti per quanto riguarda la trasformazione socio-ecologica. Per la sinistra in generale comunicare le problematiche sociali ed ecologiche come un’unica problematica socio-ecologica è concretamente una questione di vita o di morte: non è un’iperbole. Ma che aspetto ha una politica ecologica radicale che è allo stesso tempo una politica di classe ecologica? Questa è una questione decisiva anche per l’applicabilità di misure di politica climatica di vasta portata, non solo nel senso di misure compensative, ma anche nel senso di una prospettiva che tende alla trasformazione in un diverso modo di produzione e di vita, una buona vita, un socialismo verde.

L’industria automobilistica può servire da esempio. La già enorme pressione concorrenziale continuerà ad aumentare in vista di ulteriori aumenti della sovraccapacità globale, mettendo in pericolo i siti di produzione e i posti di lavoro. Attuali sviluppi nel settore: il passaggio della Cina alla mobilità elettrica, la perdita di posti di lavoro nella produzione dovuta all’automazione, agli scandali del diesel e alla prevedibile fine del motore a combustione, la “digitalizzazione”, la “guida autonoma” e la nuova concorrenza dei giganti della tecnologia cambieranno completamente l’industria. Come misura preventiva, l’aiuto statale al capitale dovrebbe essere vincolato a sviluppi trasformativi alternativi, nonché alla partecipazione alla proprietà o alla piena socializzazione delle imprese che resistono alle nuove necessità. La partecipazione pubblica dovrebbe essere combinata con una maggiore partecipazione di dipendenti, sindacati, associazioni ambientaliste e abitanti nei consigli regionali, che decidono passi concreti verso la conversione dell’industria automobilistica in un fornitore di servizi ecologicamente orientato al trasporto pubblico. I lavoratori dell’industria automobilistica a rischio di perdere il lavoro potrebbero usare questi consigli per discutere, sviluppare e determinare l’organizzazione di una conversione delle loro industrie e una giusta transizione. Anche i sindacati devono assumere questo compito come urgente. In questo modo i diversi gruppi sociali interessati all’interno dell’azienda o nella stessa regione possono diventare protagonisti del cambiamento. Un fondo di trasformazione socio-ecologica potrebbe fornire le risorse. La trasformazione del trasporto deve essere attuata contro gli interessi aziendali, ma insieme ai dipendenti e alle loro famiglie: anche loro hanno un interesse alla “compatibilità” delle condizioni di vita, in modo da avere tempo per la famiglia e gli amici in un ambiente naturale in cui valga la pena vivere. Alcuni degli obiettivi principali dovrebbero essere la fine del motore a combustione entro il 2030 (riducendo la produzione di automobili al 50%) e la realizzazione di città senza auto attraverso una massiccia espansione del trasporto pubblico e delle relative infrastrutture nelle città e nelle aree rurali.

Ciò non significa sempre che i dipendenti potranno rimanere nella stessa azienda o settore. Per assicurarsi che una trasformazione socio-ecologica non sia temuta (o addirittura combattuta dalle persone colpite), sono necessarie garanzie oltre a prospettive e partecipazione positive. Alexandra Ocasio-Cortez e Bernie Sanders hanno incluso una garanzia del lavoro nella loro proposta per un Green New Deal (riferendosi al New Deal di Roosevelt), perché la trasformazione richiede un’incredibile quantità di forza lavoro. Chiunque desideri lavorare dovrebbe avere il diritto a un lavoro finanziato pubblicamente, concordato collettivamente e sindacalizzato con “un breve tempo pieno”[7] per spezzare il potere del capitale di dettare le regole del lavoro e porre fine alla precarietà.

Solidarietà o barbarie

Il capitalismo attualmente esistente è fallito. Socialismo o barbarie, come diceva Rosa Luxemburg mentre guardava il mondo affondare nell’imperialismo, nel colonialismo e nella prima guerra mondiale (poi arrivarono la seconda guerra mondiale e l’Olocausto). La barbarie è tornata ad essere una possibilità reale e minacciosa di fronte ai problemi che si accumulano: disuguaglianza sociale dilagante a livello globale, una catastrofe ecologica già in atto, guerre e migrazioni di massa.

Ci deve essere dibattito all’interno della sinistra. La domanda è come viene condotto. È diretto prima di tutto contro l’oppositore all’interno del gruppo, dividendo e indebolendo Die Linke? O la discussione è gestita con solidarietà, in modo cameratesco? L’obiettivo è collegare le persone e metterle insieme? Nei periodi in cui un movimento o un partito è in crescita è possibile tenere insieme gli elementi e gli opposti in modo coerente. Nei periodi in cui un partito è in declino o è stagnante diventa tutto molto più difficile; la conflittualità interna aumenta quando le dinamiche si disintegrano. Ma è possibile effettuare un rinnovamento che dissolve i blocchi esistenti e sviluppa approcci più produttivi. Ci sono molti esempi. Tutto dipende dalla costellazione concreta, ma anche dal fatto che un partito sia pronto al momento giusto. Facciamo un salto nell’ignoto con gioia e fiducia, mentre siamo consapevoli della realtà della situazione.


[1] Sulle particolarità di queste elezioni si veda Kahrs, Horst, Die Landtagswahlen in Brandenburg und Sachsen 2019 [Le elezioni statali in Brandeburgo e in Sassonia 2019], Rosa-Luxemburg-Stiftung (ed.), settembre 2019, www.rosalux.de/publikation/id/40926/die-Landtagswahlen-in-Brandenburg-und-Sachsen-2019; Die Linke, Bundesgeschäftsstelle: Wahlnachtberichte Brandenburg & Sachsen [Ufficio federale: Rapporto sulla notte delle elezioni Brandeburgo e Sassonia], 2.9.2019, www.die-linke.de/fileadmin/download/wahlen2019/2019-09-02_wahl-nachtberichte_bb_sn.pdf.

[2] Sinteticamente, i Verdi beneficiano di diversi fattori contemporaneamente: a) con i suoi attacchi agli “sporchi sessantottini verdi”, al loro genere e alle politiche ecologiche dei “ricchi” ecc., l’AfD ha reso i Verdi il rappresentante naturale del terzo polo; b) i Verdi sono stati in grado di incarnare quelle contro-posizioni (indipendentemente dalla loro vera politica al governo) durante le elezioni europee, quando i timori per l’ulteriore aumento della destra radicale avevano un effetto mobilitante, mentre il potenziale degli elettori di sinistra era in genere di scarso interesse e difficilmente mobilitabile (1,1 milioni di elettori che avevano votato per Die Linke nel 2014 non hanno votato alle elezioni europee nel 2019); c) lo scorso autunno, le questioni climatiche o ecologiche sono diventate più importanti nel dibattito pubblico, a partire dall’occupazione della foresta di Hambacher, che ha avuto una sorprendente risonanza, grazie ai continui sforzi del movimento anti-carbone, e soprattutto attraverso le azioni di Fridays for future. Anche se la politica socio-ecologica della Linke da allora è diventata più avanzata di quella dei Verdi, la “competenza climatica” è ancora pubblicamente attribuita ai Verdi; d) ad Est, i risultati dei Verdi sono risultati inferiori a quelli accreditati dai sondaggi, ma nel Brandeburgo hanno ottenuto per la prima volta una rappresentanza nel Parlamento statale a due cifre, soprattutto a causa delle preoccupazioni sui cambiamenti climatici e sull’avanzata della destra. I Verdi sono particolarmente forti tra i giovani elettori e i più istruiti. Sia in Sassonia sia in Brandeburgo c’è la prospettiva di avviare negoziati di coalizione per assumersi la responsabilità del governo. La situazione era diversa in Turingia, dove la sinistra era in grado di rappresentare il terzo polo grazie al suo popolare primo ministro e aveva vinto le elezioni.

[3] Cfr. Ehling, Janis, “Die Linke: Verlust der Arbeiterklasse?” [La Linke: perdita della classe operaia?], Die Freiheitsliebe, 11.8.2019, https://diefreiheitsliebe.de/politik/48082.

[4] R. Luxemburg (1903), “Karl Marx”, in Gesammelte Werke, Vol. 1.2, Berlin, 1988, pp. 369-377, in particolare p. 373.

[5] Michael Brie, Mario Candeias, “Rückkehr der Hoffnung: Für eine offensive Doppelstrategie” [Ritorno di speranza: per una doppia strategia offensiva], LuXemburg-online, November 2016, www.zeitschrift-luxemburg.de/rueckkehr-der-hoffnung-fuer-eine-offensive-doppelstrategie; Michael Brie, Mario Candeias, “Linkspartei: Gegen das politische Vakuum” [Partito di sinistra: contro il vuoto politico], Blätter für deutsche und internationale Politik, 11/2017, pp. 81-86.

[6] La CDU/CSU non sa se, per recuperare i suoi elettori di destra dall’AfD e allo stesso tempo incarnare il partito di centro, debba prendere la strada di un Macron ultraliberale e autoritario o perseguire la modernizzazione ecologica con un ammortizzatore sociale limitato.

[7] Lia Becker, Bernd Riexinger, “For the many not the few: Gute Arbeit für Alle! Vorschläge für ein Neues Normalarbeitsverhältnis” [Per molti, non per pochi: lavoro di qualità per tutti! Proposte per un nuovo normale rapporto di lavoro], Sozialismus, 9/2017, supplemento.

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