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È flebile nel Parlamento europeo la voce contro la guerra

di Franco
Ferrari

Il nuovo Parlamento europeo, rinnovato con le elezioni che si sono concluse il 9 giugno scorso, ha lanciato fin dall’insediamento un segnale inequivocabile di voler proseguire, a tutti i costi, il conflitto militare in Ucraina. La volontà largamente maggioritaria degli europarlamentari si è espressa nella votazione di una mozione che fa proprie tutte le posizioni più oltranziste, ma è stata ulteriormente sottolineata anche dalla scelta delle due principali figure politiche che guideranno la prossima legislatura, entrambe riconfermate: Roberta Metsola e Ursula Von der Leyen.

Il testo ricorda che finora l’Unione Europea in quanto tale e i suoi stati membri hanno fornito all’ex stato sovietico 95 miliardi di euro, di cui 32 miliardi di aiuti militari, a cui si aggiungono altri 21 miliardi già impegnati e che saranno trasferiti entro il 2025, oltre al contributo finanziario annuo di 40 miliardi di dollari promesso dalla NATO. Inoltre si ricorda che è stato fornito addestramento a 52.000 membri delle forze armate ucraine. Un’assistenza militare che per la maggioranza degli europarlamentari è “cospicua, seppure ancora insufficiente”.

Queste ingenti somme di denaro sono finalizzate ad ottenere l’obbiettivo che il Parlamento europeo si propone, ovvero quello della “vittoria” che consiste nel “ripristinare il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”.

Per questo l’Ue e gli Stati membri vengono invitati “ad aumentare il loro sostegno militare all’Ucraina per tutto il tempo necessario e in qualsiasi forma richiesta” (formula che lascia aperta la possibilità anche di un impegno diretto di militari europei), a “sostenere militarmente l’Ucraina con almeno lo 0,25% del loro PIL annuo” (in un contesto di ritorno delle politiche di austerità), a “rafforzare la capacità delle loro industrie militari” e si chiede “fermamente” di eliminare le restrizioni “all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo”.

L’europarlamento approva la decisione del “Consiglio di destinare entrate straordinarie derivanti da beni russi immobilizzati per sostenere lo sforzo bellico ucraino, come pure la decisione del G7 di erogare all’Ucraina un prestito di 50 miliardi di dollari garantito mediante beni statali russi immobilizzati”. Ma tutto questo non è sufficiente perché gli europarlamentari invitano l’UE “a istituire un solido regime giuridico per la confisca dei beni di proprietà dello Stato russo congelati dall’UE”. Una decisione che finora non è stata assunta sia per la sua evidente illegittimità che ha impedito finora di architettare “un solido regime giuridico”, come anche per le conseguenze più negative che potrebbe avere sugli interessi economici occidentali ancora presenti in Russia, come per gli investimenti di paesi terzi in Europa.

Ancora l’Europarlamento chiede di “estendere la sua (ndr: dell’UE) politica di sanzioni nei confronti della Russia e della Bielorussia”. L’UE dovrebbe trovare il modo anche di introdurre “misure restrittive” nei confronti di “società stabilite nell’UE, di terzi e di paesi terzi”. Richiesta che non tiene conto del fatto che le sanzioni unilaterali sono illegittime dal punto di vista del diritto internazionale e che gran parte degli Stati al di fuori del blocco occidentale non vi aderisce.

L’iniziativa del primo ministro ungherese Viktor Orban di provare ad intavolare una trattativa con Ucraina e Russia viene condannata e ad essa dovrebbero “seguire ripercussioni per l’Ungheria”. Daniel Freund, europarlamentare Verde tedesco, come riferisce il Manifesto, è in prima fila nel chiedere di mettere in pratica queste “ripercussioni”. Al governo ungherese viene imputato di bloccare alcune decisioni (la cui legittimità ai sensi dei trattati europei è più che dubbia) per il trasferimento di fondi ai singoli Stati per ripristinare gli arsenali svuotati dalle consegne a Kiev. In proposito, il Verde tedesco Freund ha affermato: “Poiché prende ordini da Mosca e non è una buona idea fargli (ndr: all’Ungheria) guidare l’Europa. La mia proposta è che alla Presidenza vada la Polonia, a cui spetta il turno successivo. Magari già a partire dal primo settembre”.

A Orban vengono imputate, di solito giustamente, violazioni di principi democratici e altri comportamenti considerati in contrasto con le normative dell’Unione Europea ma è evidente che ciò che non gli si può assolutamente consentire, è di rompere il consenso in favore della politica di guerra portata avanti a livello europeo e nella Nato. La sostituzione dell’Ungheria con la Polonia, che ha il vantaggio di essere guidata da un governo filo-UE e oltranzista in tema di guerra, apre molti problemi di legittimità e rappresenterebbe un vulnus un domani utilizzabile contro qualsiasi governo sgradito alla maggioranza politica dell’UE.

Intanto notizie di stampa riferiscono che l’Ucraina avrebbe interrotto il trasferimento di petrolio russo che, nonostante la guerra, continua a passare sul territorio controllato da Kiev, in violazione degli accordi esistenti tra questo Paese e l’UE. Ma non è detto che l’iniziativa di Zelensky, che danneggia Ungheria e Slovacchia, non sia stata concordata con Bruxelles.

La mozione approvata dal Parlamento europeo è stata presentata congiuntamente dai Popolari, dai Socialdemocratici, dai Conservatori (ha firmato Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia), dai liberali di Renew, e dai Verdi. Hanno sottoscritto anche, ma a titolo personale, i sei europarlamentari del gruppo “The Left” espressi dall’Alleanza di Sinistra finlandese, dal Partito di Sinistra svedese e dall’Alleanza rosso-verde danese. Il peso della componente scandinava del gruppo è aumentata con il passaggio da 3 a 6 membri.

La mozione, fortemente schierata per la prosecuzione e l’estensione della guerra, ha visto una diversa collocazione del gruppo europarlamentare della sinistra. A favore, oltre ai sei eletti scandinavi che l’hanno sottoscritta, si sono schierati anche i nove rappresentanti della France Insoumise, tra cui la copresidente del gruppo Manon Aubry, i due rappresentanti del Sinn Fein irlandese e il rappresentante degli animalisti olandesi, per un totale di 18 voti favorevoli.

Si sono astenuti invece: Syriza, il Bloco portoghese, il PT belga, i baschi di Bildu, Sumar, due dei tre eletti della Linke, tra cui l’altro copresidente del gruppo Martin Schirdewan, il rappresentante degli animalisti tedeschi e l’indipendente irlandese Flanigan. Per un totale di 13 astensioni.

I voti contrari sono stati 15, composti da: Movimento 5 Stelle, Akel cipriota, Sinistra Italiana, Podemos, PC Portoghese e un’eletta della Linke. Ben 8 dei voti contrari sono venuti dalla scelta compiuta dagli eletti dei 5 Stelle e in totale dieci dagli europarlamentari italiani. Ai quali si possono aggiungere anche i quattro verdi eletti nella lista AVS. Indice che almeno dall’Italia una certa spinta a sottrarsi alla sacra unione bellicista è presente e su questo si può considerare che una qualche influenza l’abbia avuta anche la presenza di una lista concorrente che ha posto il tema del rifiuto della guerra e dell’azione per una soluzione pacifica al centro della campagna elettorale, com’è stata Pace Terra Dignità.

Resta il fatto che nell’ambito della sinistra che si riconosce nel gruppo “The Left” la questione della guerra è valutata in modi profondamente differenti. In Finlandia il principale quotidiano del paese, il conservatore Helsingin Sanomat, ha fatto campagna contro la presenza di supposti “putiniani” all’interno del gruppo della sinistra nella precedente legislatura, puntando soprattutto il dito contro gli irlandesi Clare Daly e Mike Wallace e l’europarlamentare della Linke Ozlem Demirel. A questa campagna denigratoria, la capolista dell’Alleanza di Sinistra, Li Anderssen, ex ministra particolarmente popolare in Finlandia, ha risposto, con un’intervista allo stesso quotidiano, che quelle posizioni non sarebbero state più accettate nel nuovo gruppo parlamentare europeo. Mentre il gruppo dell’Alleanza si era diviso nella votazione sull’adesione alla Nato, la Andersson è stata tra coloro che hanno votato a favore.

La sinistra rosso-verde scandinava, formata dai tre partiti rappresentati all’europarlamento oltre che dai norvegesi Partito Socialista di Sinistra e Partito Rosso, il 9 giugno del 2023, si era riunita a Malmo per esprimere una posizione comune sulla guerra in Ucraina. Il documento approvato affermava che la guerra era esclusivamente di responsabilità della Russia, che il trasferimento di armi all’Ucraina era necessario per dare a questo Paese la possibilità di difendersi.

Nel testo veniva espresso il sostegno a Sotsialnyi Rukh, un piccolo partito ucraino simpatizzante della Quarta Internazionale (tendenza Inprecor), che a differenza del resto delle forze di sinistra può continuare ad operare legalmente essendo favorevole allo sforzo bellico.

Nel documento però, a differenza della posizione assunta al Parlamento europeo, non si escludeva una soluzione affidata alla trattativa ma si affidava al “popolo ucraino” il compito di chiedere il cessate il fuoco e di accettare una tregua e a quali condizioni. Nello stesso testo vi erano anche preoccupazioni per gli attacchi continui ai diritti del lavoro e alle organizzazioni sindacali in corso in Ucraina da parte del governo di Zelensky. Si segnalava anche il rischio dell’imposizione di politiche neoliberiste e di austerità nell’interesse del capitalismo interno e occidentale nell’Ucraina del dopoguerra.

La mozione sottoscritta dalla sinistra scandinava e poi votata anche da altri sembra molto distante dalla presa di posizione dei due copresidenti di “The Left” (che erano gli stessi di oggi Aubry e Schirdewan) immediatamente dopo l’invasione russa, nella quale si dichiarava: “la NATO non è la soluzione: la riduzione della tensione e il dialogo lo sono. Deploriamo che l’UE e la NATO stiano dispiegando truppe e fornendo armi pesanti al conflitto. I leader dell’UE devono agire in modo responsabile e non usare (ndr: il conflitto) come scusa per un’ulteriore militarizzazione. Un rafforzamento degli armamenti tra due parti dotate di armi nucleari avrà conseguenze catastrofiche. L’Ucraina non può pagare il prezzo di una rivalità geopolitica tra Russia, Stati Uniti e NATO. Un ulteriore allargamento della NATO non aiuterà”.

Per quanto riguarda La France Insoumise, lo stesso Melenchon ha confermato che le forze componenti il Nuovo Fronte Popolare sono d’accordo per l’invio di armi a Kiev, ma la posizione espressa in un documento ufficiale del marzo scorso conteneva posizioni molto distanti dalla mozione votata all’Europarlamento. Lungi dall’esaltare la retorica della vittoria e l’espansione, in tutti i modi, del conflitto militare, si sosteneva che “la soluzione diplomatica del conflitto è l’unica soluzione realistica” e che la Francia dovrebbe sostenere tutte le iniziative di mediazione avviate a livello internazionale.

Il gruppo della sinistra, pur profondamente diviso sulla questione della guerra tra coloro che la interpretano solo come espressione di una volontà imperialistica di Mosca che la vede come prova “di una più ampia serie di obbiettivi contro l’Occidente”, come affermato nella risoluzione del Parlamento europeo, e chi la colloca in un contesto di nuova guerra fredda a livello globale, ha tenuto ferma la sua posizione critica verso la politica delle forze maggioritarie nel Parlamento europeo sia esprimendo una candidatura alternativa alla presidenza con Irene Montero di Podemos, sia votando contro alla rielezione di Ursula Von der Leyen.

Decisamente diversa la collocazione dei Verdi che, come avevamo per altro anticipato prima delle elezioni europee, sono largamente schierati a favore della guerra di cui anzi costituiscono spesso la punta più oltranzista, e hanno scelto di inserirsi nella maggioranza che sostiene Ursula Von der Leyen. Quest’ultima ha messo la sfida bellica e l’esaltazione militarista al centro della propria campagna elettorale.

I Verdi italiani si sono positivamente dissociati dalla posizione largamente prevalente del loro gruppo sulla guerra ma hanno poi votato per il rinnovo alla presidenza della commissione della Von der Leyen che della prosecuzione della stessa, “fino alla vittoria”, si è fatta garante. A contrario dei Verdi francesi che hanno votato per la mozione bellicista ma contro il rinnovo della Von der Leyen. Il leader di AVS, Angelo Bonelli, ha rivendicato il voto decisivo dei Verdi al Parlamento europeo motivandolo come un modo per isolare la destra. In realtà la struttura istituzionale europea, che vede nel Parlamento il centro di un potere minore, affida ancora alla Commissione, espressione dei governi nazionali, e alle sedi intergovernative la parte maggiori dei poteri. E in queste sedi sono presenti i partiti dell’estrema destra, oltre ai partiti che fanno riferimento ai Popolari della Von der Leyen, in primis la CDU tedesca, sono sempre più spostati a destra con un evidente effetto negativo anche sulle politiche europee. La contraddizione palese nella posizione espressa dalla componente verde della coalizione AVS è stata segnalata anche da molti di coloro che con la loro scelta ne avevano garantito l’elezione.

Franco Ferrari

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