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“Draghi bifronte”

di Stefano
Galieni

La sede del quartiere romano di San Lorenzo, di Sinistra Anticapitalista confina con quella del Pd. Un solo portabandiera, chi primo arriva decide quale bandiera sventola. E sotto la bandiera di questa piccola organizzazione, orgogliosa componente della Quarta Internazionale, si è tenuto, nella serata di martedì un dibattito estremamente lucido attorno alle questioni inerenti la guerra e il governo italiano definito nel titolo dell’incontro del “Draghi bifronte”. Da una parte il volto bellicista, con cui un governo a maggioranza parlamentare indiscutibile, cerca di costruire un’unità nazionale contro il nemico esterno, dall’altra l’impoverimento delle classi più disagiate del Paese, derivanti, per le stesse scelte governative, tanto dalla logica della corsa agli armamenti quanto e più dalla volontà già espressa di sradicare qualsiasi forma di servizio pubblico in nome del profitto di pochi. La parola costantemente ripetuta, dai diversi interventi: le parlamentari, Yana Ehm, ManifestA (commissione esteri camera), Paola Nugnes (senato, commissione ambiente), Fabio Alberti (Un Ponte per), Marco Maurizi (scrittore), Fabio Cerulli (Sin. Anticapitalista) e chi scrive, è stata “convergenza”. Di fronte al “Draghi bifronte”, titolo dell’incontro, in cui si esplicitava come la politica da unità nazionale cobelligerante serva da specchietto per le allodole, distraendo il paese da scelte antipopolari, sono stati tanti gli elementi emersi su cui a sinistra si possono costruire spazi nuovi. Una sinistra pacifista che in parlamento è spesso insultata e messa a tacere a colpi di maggioranze bulgare e di commenti irripetibili verso chi si oppone, hanno fatto notare le parlamentari. «La scelta di portare avanti la guerra pare irreversibile – ha dichiarato Yana Ehm – ormai la parola “diplomazia” sembra non trovare più posto nei comunicati ufficiali e questo è un fallimento per Paesi come l’Italia che in passato sovente si è offerta come soggetto disponibile a risolvere col dialogo, le divergenze internazionali». Come dovrebbe essere scontato – non sempre lo è neanche a sinistra – la condanna inequivocabile all’invasione russa e la solidarietà al popolo ucraino è stata conditio sine qua non di tutti coloro che sono intervenuti. Particolare interesse è stato suscitato dall’intervento di Un ponte per, ed al costante, ormai storico intervento di questa grande associazione che si è sempre posta, sin dalla Prima guerra del Golfo, dalla parte di coloro che subiscono i bombardamenti e gli effetti nefasti della guerra. «Dopo tanti popoli oggi c’è quello ucraino sotto le bombe e in balia dell’occupazione – ha dichiarato Fabio Alberti – ma capiamoci: in una guerra a rimetterci, a stare sotto, sono sempre i civili. Il giorno in cui scoppiasse un conflitto in Italia, sarebbero quelli come noi ad essere al posto degli ucraini». Molto caustico e appassionato l’intervento di Paola Nugnes che, concludendo il primo giro di interventi, ha voluto porre l’attenzione su come, la guerra, sembra aver mandato in soffitta qualsiasi anche falsa promessa di riconversione ecologica, riportandoci tutti all’era del carbone: «Quello che va cambiato è il modello di sviluppo che ci sta avvicinando alla catastrofe – ha detto – io ero a Glasgow alla fallimentare conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Glasgow (Cop 26). Il quadro era desolante e ai paesi in via di sviluppo che chiedevano risorse per poter affrontare le emergenze ambientali e riconvertire il proprio sistema produttivo, veniva detto che non ci sono le risorse. Così come non ce ne sono per sanità, scuola, bisogni primari. Invece in poche ore sono stati reperiti 13 mld di euro per il riarmo. Come non cogliere questa contraddizione?». Nel lungo e partecipato incontro si sono affrontati, anche se a volo d’uccello, i diversi temi che partivano dall’invasione in Ucraina, dalla smaccata propaganda bellicista, spesso rozza e priva di qualsiasi pudore (Marco Maurizi), all’esodo dei profughi male accolti in Europa ma almeno accolti, tanto da creare una accoglienza di serie A per i biondi con gli occhi azzurri e una di serie B per chi ha la sfortuna di sfuggire da una guerra sbagliata. Ma sono state molte le proposte, prima fra tutte quella dell’urgenza di un cessate il fuoco immediato che permetta almeno di interrompere la carneficina. E poi la necessità (qualcuno ha giustamente parlato di dovere), di ampliare e rendere sempre più inclusive le mobilitazioni a partire da quelle già in essere come il 25 aprile e il 1° maggio. Ma i temi su cui provare a mobilitarsi, mantenendo la connessione sentimentale che si è stabilita con una fetta di popolo che, a differenza dei propri rappresentanti nominati, non vuole entrare in una spirale di guerra, di cui non è chiara la fine e di cui saranno le classi meno abbienti a pagare le conseguenze, sono stati innumerevoli. Dalla mobilitazione contro la base di Coltano, in provincia di Pisa, dove si intende realizzare il sito militare più grande del Paese alle interconnessioni con quei settori, soprattutto giovanili, che sembrano aver perfettamente compreso una sinergia criminale fra guerra e modello di sviluppo. C’è stato chi, ragionando sulle motivazioni economiche di un conflitto molto più grande dell’Ucraina stessa, ha azzardato un paragone. L’analisi emersa è che ci si sta rendendo conto che, così come nessuna riconversione ambientale è compatibile con l’economia capitalista e la stessa simmetria si ritrova nelle politiche di militarizzazione del pianeta. Per uscire da queste tenaglie è necessario porre fine alle ostilità in Ucraina e in diverse aree del pianeta ma anche divenire capaci di proporre una radicale rivisitazione della geografia politica. Non possono forse più essere gli Stati nazione, come da tempo afferma da Imrali, Abdullah Ocalan, i risolutori delle controversie di cui spesso sono essi stessi causa. Ne per giungere a reali condizioni di pace ci si può porre nell’ottica della creazione continua di nuovi Stati altrettanto problematici. Bisogna giungere alla realizzazione di forme di democrazia molto più avanzata e forse mai sperimentata, in cui il punto cardine sia la possibilità di partecipare alla condivisione delle risorse e non ad una spartizione fra pochi delle stesse. In una situazione in cui si parla tranquillamente di conflitto atomico come eventualità da non scartare, simili discorsi sembrano pura utopia. Ma hanno avuto ragioni coloro che in questo, come in altri dibattiti, hanno dichiarato che “i folli sono gli altri, i realisti siamo noi che pensiamo al futuro, al protagonismo giovanile, ad un mondo che non torna a dividersi”. Un incontro qualitativamente alto di cui vanno ringraziati gli organizzatori e che dovrebbe replicarsi in maniera virale per poi portare, chi le organizza, fuori dalle proprie sedi.

Stefano Galieni

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