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Dove sta la sinistra

di Luciano
Beolchi

Secondo Donatella Di Cesare la sinistra italiana non capisce che l’unica posizione corretta sulla questione palestinese è a fianco della sinistra israeliana, condividendone la posizione di guerra ad Hamas e a tutte le formazioni inserite come quella nell’elenco delle formazioni terroristiche.
Un punto di vista diverso è che la sinistra, nelle sue diverse componenti, ha piuttosto da rimproverarsi una storia di posizioni sbagliate o quanto meno ambigue per solidarietà ai bianchi, alle democrazie occidentali.
Si comincia con le vicende africane del dopoguerra, i Mau Mau, l’UPC camerunense, i malgasci, i naxaliti: tutti troppo scuri e selvaggi perché ci si schierasse con loro. Si continua con gli algerini, visti i loro difficili rapporti con il PCF e poi coi cubani alleati dell’MPLA e si finisce con gli iracheni e gli afghani. E se vogliamo andare ancora un po’ più indietro fin dai tempi di Adua i socialisti piangevano gli inutili morti. Ma solo quelli italiani.
Con quale resistenza afghana avrebbe dovuto schierarsi la sinistra se non con i talebani? Ma non lo fece e allora si capisce perché ben pochi hanno festeggiato la loro vittoria: senza bandiere né slogan, né uno straccio di manifestazione. Eppure avevano combattuto una guerra antimperialista di liberazione durata vent’anni. Dunque la domanda da porsi è semplice: Hamas fa parte o no della resistenza palestinese? La sinistra israeliana di cui parla Di Cesare fa parte o no della resistenza palestinese?
Non c’è niente di cui scandalizzarsi. Dal 1968-1969 ai primi anni settanta il 90% dei giovani ebrei milanesi erano schierati con Al Fatah. Il Movimento Studentesco Milanese ne era pieno e non si sentivano né transfughi, né apostati, né traditori. Qualcuno anzi criticava l’MS perché Al Fatah non era abbastanza marxista, era più rivoluzionario chi si schierava col Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina o col Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina.
Gad Lerner commenta, anche lui su Il Fatto Quotidiano l’articolo di Di Cesare. È irritato per lo slogan “Palestine free from the river to the sea”. Da parte sua, reitera l’attacco a quello che chiama antisemitismo di sinistra, che è la critica a chiunque sostenga che sono più resistenza palestinese i militanti di Hamas che tutti i sionisti di sinistra di questo mondo.
Se la liberazione della patria dall’imperialismo è all’ordine del giorno si sta con l’FNL come fecero i comunisti in Algeria, si sta con i talebani, si sta con Al Fatah, si sta con Hamas.

Amilcar Cabral diceva: “Noi, il movimento di liberazione della Guinea e di Capo Verde, facciamo parte del Fronte antifascista internazionale, ma per quanto riguarda la nostra lotta di liberazione nazionale siamo gli unici che hanno titolo a decidere. La tattica, la strategia, gli obiettivi, i tempi e i modi competono a noi e solo a noi”.
Il rapporto dei comunisti con il movimento di liberazione algerino fu difficile e spesso conflittuale. Dalla sua fondazione, la sezione algerina del Partito Comunista Francese era costituita prevalentemente da operai e intellettuali europei di Algeria. Paradossalmente la politica più coerente e solidale col movimento di liberazione algerino coincise con i periodi di più accentuato settarismo del PCF, come nel 1924 quando il PCF praticava la tattica ultra settaria detta  “classe contro classe” e contemporaneamente dava totale e aperto sostegno ai ribelli marocchini del RIF che combattevano l’esercito francese. Viceversa, quando adottò una politica più duttile e unitaria, come all’epoca del fronte popolare, finì per condividere con gli alleati socialisti e radicali una politica di esitazioni, indecisioni e compromessi che gli alienarono il sostegno della popolazione algerina autoctona, al punto che l’Internazionale Comunista impose la creazione di un Partito Comunista Algerino, il PCA, che per converso, risultò estraneo al proletariato bianco.
Nel 1954 i comunisti furono estranei all’insurrezione della Toussaint con cui iniziò la guerra di Algeria. Non parteciparono alla sua preparazione e non furono neanche avvertiti, anche se fu ripetuto e costante il tentativo delle autorità francesi di attribuire all’insurrezione una radice comunista, anche in tutti gli anni seguenti.
Abane Ramdane, che dal 1955 guidava sostanzialmente l’FLN dell’interno, mantenne nei confronti dei comunisti, come anche delle altre formazioni indipendenti laiche e del partito religioso degli Ulema, una posizione chiara e netta: nessuna alleanza e nessun ingresso collettivo nel Fronte. Erano accettate solo candidature individuali.

Il Partito Comunista nel 1955 aderì alla lotta armata per la liberazione dell’Algeria con formazioni proprie che furono combattute con particolare accanimento dai francesi e ostacolate, per non dire di più, dall’FLN. Non riuscirono a suscitare nel mondo contadino quella simpatia e quella solidarietà che l’FLN incontrava dovunque. Per i contadini, per i fellagha che non parlavano francese e in Cabilia nemmeno l’arabo erano ancora, in fondo, un partito di bianchi, di coloni, di pied noirs. Furono isolati e sconfitti, costretti a sciogliere le loro formazioni. I suoi militanti entrarono individualmente nel FLN dove continuarono a essere considerati e trattati con sospetto.
Fecero il loro dovere. I francesi condannati a morte per aver combattuto nell’FLN erano comunisti, alcuni di loro divennero un simbolo della guerra di liberazione.
Tuttavia, questo non bastò loro a ottenere riconoscimento e riconoscenza da parte dell’FLN e, subito dopo la fine della guerra il 28 novembre 1962, il PCA fu dichiarato illegale e tale è rimasto nei successivi sessant’anni.
I comunisti francesi che si sono schierati con la resistenza algerina hanno disertato, hanno rubato camion di armi, hanno messo bombe e organizzato attentati, sono stati ghigliottinati e uccisi sotto la tortura, sono stati condannati/condannate a morte e hanno vissuto per anni in attesa delle esecuzioni, hanno sparato e hanno ucciso dei soldati francesi e dei collaborazionisti.
Hanno fatto insomma quello che facevano tutti gli altri militanti o soldati dell’FLN1.
E questa è un’altra cosa, un’altra scelta da quelli che protestano contro Netanyahu e lo considerano magari il loro peggior nemico e il peggior nemico degli israeliani, ma se la patria chiama imbracciano i fucili o salgono sul carro armato e vanno ad aumentare le vittime palestinesi: 1.000, 2.000, 5.000, 10.000, in nome del sacrosanto diritto alla difesa che evidentemente vale solo per loro.

Hamas è stata favorita da Israele per screditare Fatah e l’OLP? La cosa non stupisce visto che i talebani e Saddam Hussein erano stati finanziati e addestrati dagli americani per servire ai loro scopi. E adesso sono dei venduti perché non ubbidiscono più a chi li aveva comprati o li voleva comprare? Se il fronte occidentale vuole giocare le carte della questione morale quella carta nelle sue mani risulta molto compromessa. Avevano finanziato anche i curdi, li hanno usati e poi li hanno venduti a Erdogan. Forse che Hamas non ha dato le stesse soddisfazioni, non li ha seguiti fino al proprio annichilimento? Bisognava anche aspettarselo. Non è successa la stessa cosa anche nel caso dei talebani? E anche lì dove è finita tutta la comprensione dell’Occidente per i poveri afghani? Intanto gli ha preso i soldi e non li vuole mollare; e quando c’è stato il terremoto, nessuno si è mosso per dare aiuti, come se gli afghani non esistessero più. E ringraziamo i talebani che hanno evitato le rappresaglie feroci che gli occidentali si aspettavano e forse si auguravano. Lo hanno fatto per opportunismo? L’importante è che lo abbiano fatto.
Palestina rossa non è uno slogan di Hamas? Si addolora di questo la sinistra benpensante che condanna i rossi del Venezuela, quelli di Cuba e quelli dell’Eritrea?
Di una cosa si può stare sicuri: se si guarda dove va la NATO, in coda ai più grandi esportatori di democrazia armata degli ultimi secoli, si vedrà marciare la sinistra benpensante.

In una guerra di liberazione che è sempre anche guerra civile bisogna scegliere da che parte stare, non c’è posto per posizioni intermedie e questa scelta è persino superiore agli interessi di partito e dell’emancipazione sociale che per i comunisti sono così importanti. Non deve venire Lerner a spiegarci che l’egemonia di Hamas può risultare micidiale anzitutto per i comunisti. Per intanto ci auguriamo che le vicende attuali portino alla liberazione di migliaia di prigionieri tra i quali, per quanto si sa, non prosperano le istanze religiose più dogmatiche. E che tra loro ci sia anche Marwan Barghouti.

Luciano Beolchi

Su quesro tema vedi anche l’articolo Per una sinistra non “codista” di Franco Ferrari

  1. Comunisti erano anche la maggioranza dei militanti della rete Jeanson, processati e condannati in Francia per l’appoggio materiale all’FLN.[]
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