Anticipiamo l’intervento che Stefano Galieni svolgerà sabato a Trieste al convegno sulle estreme destre in Europa, organizzato dal Prc e dal Partito della sinistra europea –
I due gruppi in cui si dividono le destre nel parlamento europeo, ECR (Conservatori e Riformisti Europei) e ID (Identità e Democrazia) hanno, su un tema, una totale convergenza. La volontà di considerare l’immigrazione come il punto di forza per attrarre consensi. Il capro espiatorio per riempire la testa degli elettori di un sentimento di paura e di elementi di odio che spesso si traduce in razzismo e xenofobia dichiarata, quando non in aggressioni, azioni violente, provvedimenti di discriminazione prese anche in sede istituzionale, locale e nazionale. I due schieramenti, compositi, di cui si trova una breve traccia nel volume XII Disposizione, trovano alleati anche nel Partito Popolare Europeo e in tutti quegli Stati in cui prevalgono gli antichi dogmi delle destre estreme: “Dio, patria e famiglia”. Sono forze che hanno la guerra come proprio asse portante, una guerra che si fomenta nei contesti apertamente di conflitto, ma che si realizza soprattutto alle frontiere del continente e persino nei suoi confini interni.
Personalmente seguo da decenni le politiche UE nel Mediterraneo, dove si continuano a finanziare regimi dispotici o paesi in condizione di guerra civile, affinché svolgano per l’Europa il lavoro sporco. Fermare quelli che non devono entrare nel nostro mondo opulento. Allo stesso modo, i governi di Paesi, qui rappresentati dalle forze sane di sinistra, come Austria, Croazia, Slovenia, Ungheria, danno la caccia con ogni mezzo necessario, dai cani alle barriere di filo spinato a chi tenta di giungere da ogni parte dei Sud del mondo e dall’oriente.
Mi permetto di consigliare alle compagne e ai compagni italiani un magnifico e durissimo libro, dal titolo La guerra invisibile scritto da Maurizio Pagliassotti, amico e collega di vecchia data, che ha percorso a ritroso le rotte di coloro che provano ad entrare in Europa, possibilmente evitando l’Italia, paese considerato al massimo di transito. Dai confini montani dell’alta Val di Susa, Pagliassotti è sceso fino ai confini con l’Iran, 6.000 km e racconta la crudeltà che i nostri governi sostengono ma fingono di ignorare, in cui da una parte c’è il game, il tentativo di superare le frontiere esterne, dall’altra una strada disseminata di trappole in cui queste donne, questi uomini e questi bambini, alcuni dei quali nati nei boschi fra un Paese e l’altro, vengono intercettati, cacciati, uccisi, respinti, trattati come il “nemico” da cui difendersi. Persone che ritenteranno, perché non hanno più nulla da perdere, i cui viaggi durano anche anni e che arrivano da paesi come l’Afghanistan o la Siria, ad esempio, dove non ci sono speranze in vista. Agenzie europee ufficiali come Frontex, eserciti, forze di polizia, milizie sorte su basi volontarie, persino anziani pensionati, si organizzano per impedire alle persone di passare, per depredarle. Chi lo fa rivendica con orgoglio di considerarsi di destra se non direttamente fascista ed è una parte del Cuore di tenebra dell’Occidente che spesso facciamo finta di non vedere. Nei boschi balcanici, come in Turchia, sulle coste nordafricane, nelle enclave di Ceuta e Melilla, non si ha bisogno neanche di ricostruire un partito fascista, c’è l’UE che provvede a finanziare chi da fascista agisce, chi – è accaduto poche settimane fa – al largo della Libia, utilizzando motovedette italiane, fa rovesciare un gommone con a bordo almeno 46 persone che non sono state soccorse, che sono morte in quella immensa fossa comune chiamata Mediterraneo Centrale. Tutto questo alimenta un immenso business securitario finanziato con risorse che potrebbero altrimenti essere impegnate per assistere chi arriva quanto per garantire un migliore welfare anche ai cittadini europei che oggi plaudono ai provvedimenti repressivi.
Ma al nemico non si risponde solo con respingimenti, naufragi e muri – oltre 1.700 km dentro e ai confini dell’Europa –, si reagisce anche facendo entrare, senza diritti, coloro che servono a garantire ai nostri Paesi, ancora opulenti ma vecchi – l’età media in Italia ha raggiunto i 47 anni – per poter avere braccia senza corpi, senza vite reali, senza persone complete. Nella sola Italia, patria dell’economia sommersa, risultano essere almeno 600 mila le persone presenti senza avere il permesso di soggiorno, “irregolari” quindi per le leggi dello Stato ma fondamentali per l’economia, per i lavori che richiedono basse qualifiche, per quelli che non conoscono orario. Entrano insomma, ma solo in parte, quelli che servono ad un modello che si dichiara liberale ma è di fatto coloniale e schiavista, che apparentemente rifiuta di essere messo in relazione con le forze apertamente nazi fasciste e identitarie ma nei fatti ne sancisce il dominio. E si badi bene non vale, come si afferma ancora in circuiti rosso bruni, la blasfema citazione marxiana per cui si dipinge gli uomini e le donne che vengono a lavorare in Europa come “esercito industriale di riserva” che rende più bassi gli stipendi degli autoctoni producendo dumping salariale. L’economia neoliberista, che nel nazionalismo di guerra imperante ha trovato l’ultima sponda, ha reso tutte e tutti “esercito di riserva”, non è chi arriva a far peggiorare le condizioni di vita di chi lavora ma chi governa la politica, l’economia, l’informazione, a determinare rapporti gerarchici contro cui bisogna avere il coraggio di ribellarsi. E occorre farlo ora, proprio nel momento in cui anche nei nostri mondi, nelle nostre sinistre, si è disorientati, con la nostra classe sociale di riferimento che, anche grazie alle responsabilità delle sedicenti forze social democratiche, considera ormai la/il collega migrante come un concorrente, nel lavoro, nell’accesso alla sanità, alla casa, ai pochi servizi. Guai a dire che sono stati i tagli operanti per garantire i Patti di Stabilità ad aver ridotto tutte/i in miseria garantendo a pochi la possibilità di aumentare la concentrazione nelle loro mani di immense risorse.
In questo immenso mare dove si preferisce considerare l’immigrazione ancora come un’emergenza, come se si trattasse di un terremoto o di un’alluvione e non come una caratteristica strutturale nella vita del pianeta, le destre più violente trovano ampio spazio e le loro parole diventano senso comune. In ognuno dei diversi contesti nazionali convivono gruppuscoli dichiaratamente nostalgici delle ideologie naziste e fasciste, che sono solo la punta dell’iceberg di un mondo più vasto, composto da partiti politici che strizzano l’occhio a simili pulsioni e, contemporaneamente cercando di guadagnarsi un’immagine di presentabilità. Quelli che un tempo in Italia chiamavamo “fascisti in doppiopetto” sono però riusciti a sdoganare, anche nel linguaggio pubblico, nel pensiero dichiarato, anche le peggiori ignominie. In Italia, ma non è solo un fenomeno nostrano, convivono, nelle giunte comunali, rappresentanti istituzionali che non perdono occasione per dimenticare di aver giurato su una Costituzione antifascista e quindi si esibiscono in sceneggiate da repertorio con quelli che poi varano provvedimenti con cui si impedisce di offrire cibo e bevande calde a chi vive in strada, che chiudono spazi di accoglienza, che deridono ogni forma di solidarietà. Si professano persino cristiani, anche se evidentemente poco recepiscono delle indicazioni pontificie.
Si ritorna al trinomio “dio, patria e famiglia”. Il disagio generale che si respira nel continente europeo, ormai avviato verso il declino in quanto potenza globale, si traduce nella ricerca, consapevole per alcuni indotta per molti, di una identità, spesso artificiale per “fermare il mondo e il tempo”, tornare ad un’età dell’oro – nei fatti mai esistita – in cui l’Europa era popolata e governata solo da maschi bianchi, in cui la famiglia tradizionale era la norma – violenze e femminicidi compresi – e in cui i confini della nazione erano inviolabili. Quello che sta prendendo piede, non solo nelle destre di governo ma anche in quelle che crescono, attingendo anche alle nostre classi sociali di riferimento, è un fondamentalismo che unisce religione, tradizione e nazionalismo, l’ideale per un continente che si considera in guerra.
Proprio per questo il vero avversario delle destre nazionaliste e sedicenti liberali, non è rappresentato dalle derive moderate quanto dalle sinistre radicali e da quell’arcipelago solidale che, spesso e anche a causa dei nostri limiti, non trova rappresentanza politica.
C’è un mondo vasto in tutta Europa, che agisce spesso nel silenzio: gli attivisti delle Ong che salvano le persone in mare, coloro che portano aiuto al di là di questi confini, in Croazia, Slovenia, Serbia, Grecia, finendo col subire anche loro repressione e violenza. E poi le associazioni, anche piccole, che garantiscono quelli che sarebbero compiti dello Stato, ovvero assicurare a chi entra nel continente, assistenza sociale, legale, psicologica, cercare un tetto, provare a rompere i muri delle burocrazie per garantire il diritto alla salute, all’istruzione, ad una vita serena. Le donne e gli uomini che cercano di impedire i rimpatri, che si battono contro i centri di detenzione amministrativa presenti dappertutto, veri e propri luoghi di deprivazione arbitraria di ogni diritto. Sono e siamo in tante e tanti, anche se spesso nemmeno ci incontriamo. Raramente riusciamo a interloquire seriamente con le forze politiche, anche quelle più vicine, perché quello che in questi decenni è mancato, anche a sinistra, è stata la capacità di avanzare proposte sistemiche in materia, di definire soluzioni migliori a quelle prospettate dalle destre e a volte imitate dalla sinistra moderata. Le destre pericolose ed eversive si affermano anche a causa di questi limiti, che vanno superati. E dovremmo imparare contemporaneamente ad agire su due piani: l’immediato, il bisogno di fermare le morti in viaggio, le torture nei paesi di transito, le condizioni di vite in parcheggio offerte dai nostri sistemi, e il futuro, ovvero come far divenire il diritto a migrare, o a restare nel proprio paese, come possibilità concreta. Una sfida epocale. Dall’Italia, non essendo in parlamento, stiamo intanto lavorando su due fronti. Abbiamo appoggiato il gruppo Stop Border Violence nella Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) recepita nel gennaio 2023, perché si dia piena attuazione all’articolo 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che proibisce azioni di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, ai confini dell’UE ma anche dentro il continente. Servono un milione di firme, da raccogliere on line o anche su cartaceo in almeno sette Stati membri entro luglio. Se raggiungiamo tale risultato, il Parlamento europeo e la Commissione, dovranno tenere conto delle nostre prove che dimostrano come i paesi dell’Unione siano complici da anni di tali violazioni. Sta poi partendo in Italia, grazie ad una piccola associazione, “Natura Comune”, il progetto di una legge di iniziativa popolare sull’“ospitalità” che riveda radicalmente l’approccio all’immigrazione e si proponga per una convivenza possibile, come ha praticato in un piccolo borgo calabrese, Riace, il sindaco Mimmo Lucano. Il sindaco è stato rimosso da un’inchiesta giudiziaria con cui lo si voleva condannare ad una pena di oltre 13 anni per il reato di solidarietà, in appello ne è uscito quasi totalmente assolto. Riace rappresenta, anche nell’immaginario, l’alternativa alla sofferenza, alle gabbie per migranti, al business di finte cooperative, alla gestione poliziesca di una questione sociale. Stiamo lavorando a questa proposta insieme al costituzionalista Luigi Ferraioli, a uomini e donne autoctoni e migranti, per arrivare ad una proposta che raccolga i bisogni di tutte e di tutti. Siamo consapevoli che difficilmente sarà approvata con questo clima di guerra ai poveri ma se soltanto si riuscisse a insinuare nel dibattito pubblico che un’altra soluzione esiste. Beh sarebbe già un grandissimo passo in avanti. Ma siamo soltanto all’inizio. Il fascismo si combatte anche così, con leggi fondate sull’eguaglianza e sulla ricostruzione di una cultura di convivenza. Questa ai fascisti, farà sempre paura.
Stefano Galieni