editoriali

Dopo il voto europeo la guerra resta all’orizzonte

di Franco
Ferrari

Le elezioni europee hanno in parte ridisegnato il profilo politico del continente con un rafforzamento delle posizioni più di destra, ma se si guarda al voto Stato per Stato emergono anche controtendenze e spinte tutt’altro che omogenee. In Francia l’estrema destra raccoglie con le sue due liste il 40% dei voti, in Germania l’AfD diventa il secondo partito, in Austria l’FPOe emerge come prima forza politica, ma in Scandinavia, dove negli ultimi anni si è avvicinata all’area di governo, perde colpi e arretra in misura significativa. La socialdemocrazia mediamente regge ma risulta fortemente indebolita in Germania, il paese chiave dell’Europa, dove guida un governo sempre più impopolare e traballante.

L’opzione per la guerra, perseguita sia da Macron in Francia che dalla coalizione semaforo in Germania, con i Verdi punta di lancia del militarismo, ha accentuato una crisi di consenso già evidente. Purtroppo gli orientamenti di settori importanti di elettorato critici verso il pericolo di escalation del conflitto tra NATO e Russia sono stati in diversi paesi convogliati da partiti xenofobi piuttosto che da forze di sinistra. E in altre situazioni il dibattito elettorale ha evitato di toccare il tema data la convergenza di posizioni esistente nel sistema politico.

In Italia la destra consolida le sue posizioni elettorali e i tre partiti che la compongono escono senza scosse dal voto. Fratelli d’Italia resta di gran lunga la formazione più forte dell’alleanza e anche se il voto vede un calo in termini assoluti per effetto dell’aumento dell’astensionismo, rimane la solidità di un consenso che ancora non risulta scalfito anche per la debolezza dell’opposizione. I due soci minori del governo mantengono le loro posizioni. Forza Italia dimostra di aver uno spazio politico che le consente di sopravvivere alla scomparsa del fondatore e padre padrone. La Lega è più in difficoltà e attraversata da spinte contraddittorie ma la scelta di puntare sul senso comune reazionario di Vannacci e su una polemica antieuropeista di facciata che la Meloni non si può permettere, ha quantomeno consentito a Salvini di reggere il colpo.

La destra ha una struttura interna sufficientemente definita e un consenso elettorale che non sembra lasciare spazio a fluttuazioni significative verso il campo avverso. I possibili punti di crisi non sembrano potere emergere dall’azione dell’opposizione quanto dalle questioni che pesano all’orizzonte, in particolare la guerra e il ritorno a politiche di austerità finanziaria che imporranno margini sempre più ristretti alla politica di bilancio. Solo che su nessuno dei due punti il centro-sinistra a guida PD rappresenta una reale alternativa.

Nel campo del centro-sinistra il voto ha certamente consolidato la leadership della Schlein che è riuscita ad unire un relativo spostamento a sinistra, almeno nelle enunciazioni, con il rispetto degli equilibri interni. Il PD resta un partito fortemente inserito nell’establishment e il cui profilo atlantista è intangibile. Anche il successo di AVS, scrive Emilia Patta sul Sole 24 Ore, “non è una cattiva notizia per Schlein, visto che fin qui Fratoianni e Bonelli si sono dimostrati i più fedeli alleati del PD”.

Per AVS, che ha avuto un indubbio successo elettorale nel quale confluiscono motivazioni diverse e non sempre omogenee in una logica di sinistra post-moderna che raccoglie narrazioni più che un progetto ideologico coerente, il primo problema politico si presenterà con le scelte da compiere nel Parlamento europeo. Non è ancora definitiva la configurazione degli eletti che è legata alle opzioni della Salis, di Lucano e dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino. I sei europarlamentari si ripartiranno tra il gruppo della Sinistra e i Verdi (secondo un rapporto di 3 a 3 o 2 a 4). I Verdi europei hanno come obbiettivo inserirsi nella maggioranza che determina l’elezione del Presidente della Commissione europea che salvo sorprese sarà ancora Ursula von der Leyen. Se ci sarà una qualche forma di accordo tra le formazioni tradizionalmente maggioritarie (popolari, socialdemocratici, liberali) e i verdi, i margini di autonomia per gli eletti italiani saranno abbastanza stretti. La von der Leyen cercherà contemporaneamente di giocare anche sul tavolo dell’intesa, almeno sottobanco, con una parte della destra, in particolare Meloni, dato che in realtà non ci sono differenze insormontabili tra i conservatori tradizionali e una parte dell’estrema destra purché questa sostenga la guerra in Ucraina.

Sarà interessante vedere anche la collocazione dei 5 Stelle che cinque anni fa votarono per la von der Leyen ma che ora, se vogliono tenere fede alla loro posizioni critiche verso l’escalation militare in Ucraina dovrebbero distanziarsi dalla candidata del Partito Popolare alla guida della Commissione. La von der Leyen ha fatto della militarizzazione della politica europea l’elemento fondamentale della propria campagna elettorale in quanto spitzenkandidat.

I 5 Stelle dovranno decidere la collocazione nel Parlamento europeo dato che, dopo l’infausta alleanza con Farage, sono rimasti fuori da ogni allineamento. Si è ipotizzata la formazione di un nuovo gruppo con il movimento tedesco di Sarah Wagenknecht (BSW) ma, considerata anche l’indisponibilità dei socialdemocratici slovacchi di Robert Fico, sembra difficile che vi siano i numeri. Si sta trattando per un possibile riavvicinamento al gruppo della Sinistra da parte della BSW malgrado i rapporti difficili con la Linke e forse anche i 5 Stelle potrebbero partecipare alla costruzione di un gruppo plurale che unisca le forze tradizionali della sinistra con partiti di sensibilità pacifista.

Le scelte dei 5 Stelle al Parlamento europeo saranno indicative anche di come il partito di Conte affronterà la nuova fase. Hanno subito una secca sconfitta e potrebbero entrare in una crisi di identità non facilmente risolvibile. Da un lato sono troppo grossi per non porsi il tema delle alleanze e del governo, in una prospettiva di alternativa alla destra, dall’altro rischiano di essere schiacciati in un ruolo puramente subalterno al partito maggiore dell’alleanza, col risultato di perdere per strada quei settori di elettorato che si sono rivolti ai 5 stelle come forza progressista sì ma alternativa al Partito Democratico.

A sinistra il risultato di Pace Terra Dignità è stato al di sotto delle speranze (Santoro aveva indicato come obbiettivo il 3%) ma migliore di tutte le esperienze recenti della sinistra autonoma dal PD. Il tema del quorum, martellato per mesi ormai ad ogni elezione, ha allontanato parte degli elettori che pure ne condividevano l’ispirazione. Così come la campagna mediatica per la Salis ha consentito di spostare l’attenzione dalla guerra come tema centrale dell’agenda politica ad una “questione umanitaria”, come l’ha chiamata Santoro, che non ha particolare incidenza sulle questioni che andranno affrontate in Europa nei prossimi anni.

Ciò nonostante il dato ottenuto (oltre mezzo milioni di voti) non è insignificante anche perché motivato esattamente dalla condivisione della proposta politica avanzata. In un contesto nel quale dal voto si cercherà di rafforzare la dimensione bipolare del confronto elettorale e politico, rompere questo assetto non sarà facile ma è possibile solo se si assume come fondativa una questione politica oggettivamente rilevante. E indubbiamente la questione pace/guerra sarà decisiva ancora per una lunga fase.

Santoro che, con 150.000 preferenze, ha avuto anche un buon successo personale, ha aperto alla possibilità e necessità di proseguire il progetto di costruzione di un soggetto politico pacifista che non si rinchiuda nel recinto dell’estrema sinistra. Ha annunciato una consultazione in forme da definire per valutare l’effettivo consenso a proseguire con Pace Terra Dignità.
La presenza della lista ha certamente imposto qualche correzione di rotta e qualche concessione, almeno verbale, un po’ a tutto il sistema politico. Ma proprio per questo il tema della costruzione di un “fronte ampio” che abbia dell’azione contro l’escalation delle armi e contro la militarizzazione della politica europea il suo tema caratterizzante mantiene tutta la sua attualità.

Franco Ferrari

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