Innanzitutto mi fa piacere essermi ritrovato con oltre cinquecentomila persone a votare PTD. Inizio con questa nota personale perché è il tratto che ho scelto nella comunicazione da tempo. Ma anche perché la politica, massimamente se è chiamata a lottare contro la guerra, ha anche questo investimento e deve cercare una connessione sentimentale. Che è poi anche intellettuale collettiva. Proporre un tema singolo, la guerra contro la guerra, per declinare tutto il resto, della UE in particolare, è stata una scelta che ho molto caldeggiato. Non è bastata a fare il famoso quattro per cento introdotto sciaguratamente da Veltroni. In Germania avremmo eletto. Però non si può fare finta che le regole non ci siano. Ed eleggere è importante. Però è stato comunque importante imporre questa agenda all’attenzione nella misura in cui ci siamo riusciti che non è poca cosa. Attenzione mediatica e nei comportamenti politici degli altri. Il risultato sono questi cinquecentomila voti. Potrei dire che sono centomila (e lo 0,8) in più di quanti ne prese UP. E presi con il 15% in meno di votanti visto che per la prima volta in Italia alle europee si è votato meno che nella media dei 27 stati. Un fatto significativo per un Paese “europeista”. In realtà penso che i voti a UP e questi siano diversi. Non solo perché parti di UP come Pap (con cui facemmo ancora meno alle politiche ancora precedenti) hanno votato altro e altri non si sono impegnati. Ma perché sono diversi a mio avviso il messaggio e gli elettorati che si sono espressi. Come con l’Altra Europa con la lotta all’austerità qui si è provato a sfondare contro la guerra. Allora si fece una lista unitaria delle sinistre radicali sotto l’egida degli intellettuali e di Tsipras. Stavolta no. Una parte di sinistra radicale cerca da tempo una rifondazione movimentista e identitaria espressa in modi abbastanza rapsodici (comunisti, alternativi ecc). Con risultati scarsi e senza accumuli reali. Un’altra ha scelto l’incrocio rossoverde e il campo largo con maggiori risultati elettorali. AVS in particolare questa volta è andata bene e bisogna fare i complimenti. Che non significa condividere. Io ho fatto altro. E sono soddisfatto politicamente ma non elettoralmente di non avere seggi. Penso di aver reincontrato pezzi politici ed elettorali consapevoli e di aver costruito un ragionamento (che è cosa diversa dalla narrazione) contro la guerra interessante che ha convinto aree politicamente adulte. I materiali sono documentati perché la campagna è stata registrata. Io penso che siano materiali utili. Utili ad affrontare il tema che considero costituente della lotta alla guerra. Qui c’è il deficit e il segno dei risultati. Lo spot elettorale bellicista di Ursula Von Der Leyen era chiarissimo e confermava il mio impianto. La UE oggi si fa sulla guerra contro la Russia fino alla vittoria. Con le armi. Sul modello Yugoslavia. Secondo me questa decisione ha determinato sconquassi nelle aree politicamente ed economicamente più esposte a partire da Germania e Francia dove i governi più bellicisti sono colpiti. Ma vincono le destre perché non c’è una risposta pacifista di sinistra all’altezza. E non c’è neanche una risposta sociale europea. Sindacati, movimenti e partiti europei di sinistra non sono esistiti. Le campagne sono state nazionali. Contro la guerra si è mossa la scissione della Linke, BSW, nell’ultima fase Podemos e PTD in Italia. BSW ha una strutturalità che viene dall’essere parte della Linke dell’Est e da Lafontaine. È l’unica che prende voti all’Afd cui li danno tutti. L’86% la vota per programma sociale e sui migranti (che non condivido). Il 74% per il no alla guerra. Il 63% perché deluso dalla Linke. Che io avrei votato ma ora analizzo. Podemos si è difesa da Sumar (dove IU non elegge) calcando sulla guerra e con qualche risultato. PTD non elegge ma tiene la scena. Che, in Italia, si conferma “politicamente complessa”. Grandi rotture le realizzarono Forza Italia e poi Grillo. Rifondazione tenne aperta la contraddizione in quanto parte del vecchio PCI (e della nuova sinistra). Ora c’è la crescita dell’astensione. Però il voto mostra una “stabilità” rispetto ad altri Paesi. Meloni va bene e peserà anche nella ricostruzione della maggioranza Von Der Leyen, cioè della guerra, che sarà complessa. Può aspettare tranquillamente Trump. Ha evitato eccessivo sulle armi a differenza di Macron e Scholz. Si tiene in equilibrio nel bipolarismo che si va ricostruendo con i buoni risultati di Schlein ed AVS. In Italia c’è stata “prudenza bipolare”. Più un po’ di “movimentismo” sulla Salis (che però chiamava in causa l’Ungheria e non gli USA). Si è manifestata anche una occidentalizzazione della sinistra radicale addirittura più marcata di pezzi dell’ex PCI che hanno votato PTD. Conte paga questo quadro e la poca determinazione.
In conclusione la cosa fondamentale. La guerra alla guerra è tutt’altro che finita, anzi è in pieno svolgimento. Io ho intenzione di insistere in questa militanza come punto di riferimento non per generiche e improbabili aggregazioni simil sociali ma per una sorta di Epinay di una sinistra per la Pace per la quale abbiamo tanti materiali storici ma a cui abbiamo contribuito in questi mesi che non sono stati buttati, anzi.
Roberto Musacchio