A sfogliare questo libro, intenso e appassionato, sembra che il militante comunista Damiano Frisullo, detto Dino, di cui si parla, abbia vissuto 1000 vite; eppure, è stata una sola e fin troppo breve. A venti anni dalla sua scomparsa, l’associazione da lui fondata nel 1989 Senzaconfine, ha ricontattato una parte di coloro, tra i tanti e le tante, che con Dino hanno fatto un pezzo di strada, di vita e di lotta, di vittorie e di sconfitte. Presentato già in varie occasioni, in città come Perugia e Bari, che Dino Frisullo ha vissuto intensamente, finalmente ieri anche a Roma, nella sede giusta, in una sala della Protomoteca in Campidoglio gremita da compagne/i di lotta, ma anche da tanti giovani, abbiamo potuto sfogliare le copie di “In cammino con gli ultimi. Dino Frisullo, storia di un militante avido di conoscenza e d’amore, vissuto e morto povero e curioso” (28 euro, 350 pp) edito da Red Press. Nel titolo e nel sottotitolo, c’è la sintesi di una figura forse unica nel panorama italiano della seconda parte del secolo scorso, attivista impegnato su mille fronti, dall’ambiente, alle questioni internazionali, al lavoro, all’antirazzismo, giornalista lucido e puntuale, attivista onnipresente, con cui a volte era anche complesso lavorare, di cui era difficilissimo seguire il ritmo e i tempi. Lo vedevi stanco, spesso arrabbiato, quando le cose non riuscivano per il meglio, quando si scontrava con le mille ottusità di una sinistra lenta e spesso farraginosa nel suo incedere, ma la sua non era la logica del sacrificio quanto quella della voglia di lottare, anche e soprattutto quando l’obiettivo pareva impossibile da raggiungersi. Le autrici e gli autori che, grazie alla guida preziosa di Sveva Haertter e Alessia Montuori, di Senzaconfine, hanno contribuito al volume, sono tanti. Citare tutti è impossibile ma la prefazione di Giovanni Russo Spena, l’intervento di ricostruzione di una parte di storia dimenticata dell’antirazzismo di Anna Maria Rivera, il lungo viaggio nella storia di Dino fatto da Alfio Nicotra, danno già di per sé un gran valore al testo. E poi ci sono le tante voci di uomini e donne provenienti da mezzo mondo, con cui Dino Frisullo ha lavorato in nome di una prospettiva di auto – organizzazione che portasse ad agire “con” e non “per” i migranti in quanto parte di un comune mondo di sfruttati. Ognuna/o ha raccontato un piccolo frammento di storia, di condivisione, di lotta comune, di attività politica di lucido impegno contro le ingiustizie praticate dal potere sia che avvenissero in Puglia, a Roma, in qualche angolo della penisola, sia che si realizzassero in contesti come il Kurdistan, la Palestina. Dino è stato un dirigente politico, transitato in tante esperienze della nuova sinistra, da Avanguardia Operaia, a Democrazia Proletaria, fino ad approdare a Rifondazione Comunista. Lavorare al suo fianco non era semplice, ti metteva in condizione di dover dare di più e di tutto, non accettava alibi ad un mancato impegno. Scontrarsi con lui era facile, ma poi ci si ritrovava, dalla stessa parte della barricata, con la volontà di non lasciarsi trascinare, di non arrendersi. Amava la vita sua e degli altri che poneva sullo stesso piano, non si tirava indietro, non accettava compromessi ma contemporaneamente rifuggiva da ogni forma di settarismo escludente e rancoroso. Nel libro si raccontano tante ma non tutte – sarebbe stato impossibile -le esperienze a cui ha contribuito a dare vita, da Azad in appoggio al popolo kurdo (e pensare che oggi “azadì” (libertà) è una delle parole che ancora smuovono le coscienze internazionaliste rimaste; Al Ard, (La Terra) in Palestina; Senza Confine; la Rete Antirazzista e quante altre ancora, per la pace, i diritti, la coesistenza. In un libro del genere una vita come la sua, per quanto sia stata breve, va stretta e sono mille le sfumature, i ricordi, le mobilitazioni che lo hanno visto protagonista e presente attivo ma anche lucido intellettuale critico e capace di intravvedere i limiti di quanto si faceva. Una delle cose che si fa fatica ad accettare, per chi ha avuto il piacere di condividerci periodi di vita, di crescita politica e umana, è la facilità con cui si sia riusciti a dimenticarne e a rimuoverne l’importanza. Non solo perché alcune sue intuizioni restano, purtroppo, terribilmente attuali, ma in quanto potevano segnare la cultura di alcune generazioni generose che lo hanno perso troppo presto. Un intellettuale militante di quelli che mancano al nostro mondo conformista, scomodo e profondamente libertario al punto da ignorare le stantie gerarchie delle nostre organizzazioni, i loro riti atti unicamente a confermare rapporti di forza interni. Il volume è un mosaico intenso, inframezzato da immagini, locandine, disegni, articoli pubblicati soprattutto sul Manifesto. Sta a chi legge ricostruire il puzzle di una vita straordinaria ma profondamente concreta, attraverso le testimonianze di chi quei periodi intensi li ha vissuti, sta a chi legge accorgersi che mancano ancora tanti frammenti e che le mille vite, di cui si diceva all’inizio, finiscono col raccogliersi in un’unica complessa e articolata unica esperienza di vita. La rimozione c’è stata, non basta l’intestazione di una via, non bastano i preziosi ricordi delle compagne e dei compagni di lotta, non basta il riaffiorare rarefatto di alcuni suoi scritti. Ma questo volume ha avuto già il pregio di riaprire una discussione, di costringere ad interrogarsi, non per divenire inutilmente agiografico ma per consentirci di guardare il presente. Le tracce di Dino Frisullo ci sono ancora e si respirano nelle voci delle persone con cui si è immedesimato, nei loro eredi, come una leggenda vera e da tramandare. La sala del Campidoglio piena è stata un piccolo esempio dello iato esistente fra la “storia ufficiale”, dal fiato corto, presente anche fra di noi e una rete ampia che ha resistito al tempo e alle intemperie ed era commossa, orgogliosa e presente. Una folla che ha seguito attenta il documentario realizzato da Senzaconfine “Il corpo di Dino”, che ha applaudito relatrici e relatori in un pomeriggio romano che si è concluso con l’assegnazione del Premio Dino Frisullo questa volta non a studenti. Si è scelto di premiare la solidarietà e chi meglio di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, anche lui costruttore di sogni che di Dino era amico. Il premio, simbolico, è andato, portandoci ad un presente duro ad Antonio Graziosi e Vincenzo Luciano, due pescatori che all’alba di un tragico 26 febbraio di quest’anno, hanno a messo a repentaglio la propria vita, rischiando la morte, vedendo le persone annegate, a poche centinaia di metri dalla riva di Steccato di Cutro. Sono anche loro parte di questo filo robusto e che non si spezza e che ha tanti richiami anche emotivi di cui Frisullo è e resta un nodo fondamentale.
Anni fa, a Pisa, mi capitò di essere presentato ad un ragazzo kurdo che vendeva kebab nel suo negozio come “uno che conosceva Dino”. Gli occhi del ragazzo si sono riempiti di lacrime, è stato impossibile pagare il cibo, il ragazzo chiedeva di saperne di più. E con gli occhi lucidi mi raccontò che grazie alle lotte condotte con lui aveva ottenuto lo status di rifugiato e che al suo primo figlio non poteva dare altro nome che Dino. Una ragione in più per leggere e diffondere questo volume che abbraccia quasi 40 anni di storia di questo Paese, all’epoca forse migliore e meno rassegnato anche perché c’erano persone come Dino Frisullo a spronarci, a imprecare quando vedeva qualcuno arrendersi e cedere. Lui non si è mai arreso neanche di fronte al male che ce lo ha portato via troppo presto. E noi?
Stefano Galieni