Forse migliaia le vittime del ciclone Chido che ha devastato Mayotte1 con questo titolo è stata data la notizia degli effetti di un ciclone su Mayotte isola del pacifico , territorio francese, dalle prime immagini che abbiamo potuto vedere si vede come l’impatto di un fenomeno metereologico estremo sia stato pesantemente aggravato dalla condizione di povertà della popolazione. Il presidente Francese visiterà quel lontano territorio di oltre mare della repubblica Francese. Questo evento sintetizza il nesso profondo che lega la crisi climatica con le profonde diseguaglianze -usando quello che ormai è poco più di un eufemismo- che definiscono lo stato delle cose del mondo.
Nel nostro paese si alternano le notizie dei disastri prodotti dalle siccità o da inondazioni, precipitazioni violente concentrate che assieme contribuiscono alla devastazione dell’equilibrio idro-geologico di interi territori, delle infrastrutture degli insediamenti produttivi e residenziali, di intere province. Alle notizie che provenivano da Bologna e dall’Emilia hanno fatto eco quelle, ben più drammatiche, che provenivano da Valencia, per parlare dell’Europa in particolare dalla sponda nord del Mediterraneo, noto ormai per essere un hot-spot del riscaldamento globale, in grado quindi di rovesciare quantità crescenti di energia accumulata nelle sue acque nella forma di fenomeni metereologici estremi, assieme ad una acutizzazione delle forme di desertificazione negli stessi territori. Di ciò che accade al clima nella costa sud dello stesso mare non circolano notizie, prevale il termine della difesa dei ‘nostri confini’ dalle ‘orde di migranti’ che da quelle coste provengono, dopo aver attraversato per centinaia e migliaia di chilometri il continente africano. Migranti che in numero crescente sono costretti ad abbandonare i propri paesi proprio dalle conseguenze del cambiamento climatico.
Un dato che impressiona è l’assenza sostanziale di tutto questo nell’azione di governo nel nostro paese, a fronte delle strategie dell’UE comprese nel cosiddetto Green Deal che prevedono precise tappe per la decarbonizzazione dell’economia del continente, che prevedono di comminare sanzioni ad esempio nel settore dell’auto per chi oltrepassa determinate soglie di produzione di veicoli a combustione interna, in realtà senza una strategia industriale e di trasformazione dei processi di produzione e riproduzione che coinvolga la società in tutte le sue articolazioni, dovendosi peraltro misurarsi con una competizione globale rispetto a cui le filiere produttive europee sono in netto ritardo, in particolare nei confronti della Cina. La transizione energetico-climatica, come non ci stancheremo mai di ripetere, richiede una trasformazione radicale, pervasiva, locale globale dei rapporti sociali di produzione e quindi una applicazione solidale e partecipata, locale globale di tutte le risorse finanziarie, produttive e tecnologiche disponibili.
Il contesto invece è quello che abbiamo più volte descritto di una competizione globale sempre più aspra, di un confronto ovviamente non solo economico, ma strategico dove sempre più rilevante è il processo di militarizzazione, l’uso duale delle tecnologie, che si manifesta nel diffuso confronto minaccioso tra gli apparati con sbocchi sempre più frequenti nella guerra aperta, nel tradursi dell’instabilità sociale e politica in guerra civile. Con la presidenza Trump la competizione si farà se possibile ancora più aspra, con una contemporanea dislocazione degli investimenti e delle forze in campo finanziario e militare. La sostanza tuttavia dei processi in atto non cambierà. Paradossalmente in Cina la prima presidenza Trump con le sue misure protezionistiche è stata vissuta come uno stimolo straordinario a realizzare una salto produttivo e tecnologico interno assieme alla valorizzazione del mercato interno.
“La Cina ha avuto il suo momento Sputnik – il suo nome era Donald Trump”, Jim McGregor, un consulente d’affari che ha vissuto in Cina per 30 anni, mi ha detto. “Egli li ha resi consapevoli del fatto che era necessario un impegno totale per portare le loro competenze scientifiche, innovative e avanzate di fabbricazione a un nuovo livello”2.
La Cina ci offre nell’articolo citato la possibilità di operare una connessione tra processi strettamente economici e la riproduzione umana e sociale nel suo senso più ampio.
“Solo negli ultimi sette anni, il numero di bambini nati in Cina è sceso da 18 milioni a nove milioni. Le ultime proiezioni indicano che la popolazione attuale della Cina, 1,4 miliardi di persone, diminuirà di 100 milioni entro il 2050 e probabilmente di 700 milioni entro la fine del secolo. Per preservare il proprio standard di vita e essere in grado di prendersi cura di tutti i suoi anziani, con una popolazione attiva in costante diminuzione, la Cina guiderà la robotizzazione di tutto per sé stessa – e il resto del mondo.”
Sempre la Cina ci offre la possibilità di ritornare al tema della desertificazione che è nell’incipit e nel titolo di questo articolo. La Cina ha recentemente annunciato il completamento di un impressionante progetto che ha richiesto ben 46 anni di lavoro: la creazione di una cintura verde di 3.000 km che circonda il deserto di Taklamakan, uno dei deserti più ostili del mondo. Questo sforzo, noto come la “Grande Muraglia Verde”, ha visto la piantumazione di milioni di alberi intorno alla vastità del deserto, con l’ultimo passo simbolico che ha avuto luogo la scorsa settimana, quando sono stati piantati 100 alberi sul bordo meridionale del deserto.3
Questa iniziativa ricorda un analogo progetto in corso di realizzazione in Africa. Nel Sahel, dove le dune di sabbia del Sahara si trasformano in savana arida, 22 Stati hanno unito le forze per affrontare la ricorrente siccità e la incalzante desertificazione; negli ultimi decenni, il pascolo non regolato e i cambiamenti nei modelli delle precipitazioni hanno aumentato l’aridità sul bordo meridionale del deserto del Sahara. Secondo le analisi dei geografi il Sahara copre il 10% di terra in più rispetto a un secolo fa, quando sono iniziate le misurazioni. Per arrestare l’espansione del deserto, nel 2007 l’Unione Africana ha proposto la realizzazione di una Grande Muraglia Verde (in inglese Great Green Wall, Ggw), lunga 8.000 chilometri, che si estende da Dakar a ovest fino a Gibuti a est e copre oltre 780 milioni di ettari. Inizialmente il progetto si proponeva solo di piantare filari di alberi nella regione del Sahel ma la sua portata è stata ampliata fino a comprendere il ripristino di terreni degradati e l’agricoltura rigenerativa, con l’obiettivo di fermare la desertificazione, ripristinare 100 milioni di ettari di territori, sequestrare 250 milioni di tonnellate di CO2 e creare 10 milioni di posti di lavoro verdi entro il 20304.
Possiamo pensare che le risorse messe a disposizione di questo secondo gigantesco progetto non siano adeguate quanto quelle messe in campo dal governo cinese, così come i conflitti in atto in quell’area del continente africano possano incidere sulla sua realizzazione; tuttavia è significativo di una consapevolezza del problema ossia del procedere inesorabile della desertificazione, della necessità di una cooperazione internazionale per affrontarlo e le sue conseguenze sulle stesse possibilità di sopravvivenza delle popolazioni residenti nei territori colpiti.
Una riflessione che si impone è che i cambiamenti climatici, la rottura progressiva dell’integrità degli ecosistemi incidono profondamente e pervasivamente sulle condizion di vita dell’umanità ed in molti casi, in maniera sempre più diffusa e allargata sulle stesse possibilità di vita umana in intere regioni del globo.
Quando si parla di desertificazione viene alla mente l’acqua la sua mancanza o scarsità nei territori desertificati ed infatti la questione dell’acqua trasversalmente è emersa in tutte le conferenze sul clima, la biodiversità e la contaminazione delle matrici ambientali degli ultimi mesi, così come è sempre più protagonista di conflitti come quello che si svolge attorno alle acque del Nilo che coinvolge Etiopia, Egitto e Sudan e si innesta sull’insieme dei conflitti, delle guerre e delle guerre civili che attraversano quella parte del continente africano. Il ciclo dell’acqua nel suo complesso è parte fondamentale della crisi climatica che stiamo attraversando e riguarda gli equilibri degli oceani, dalla dinamica delle correnti alla salinità e alla modifica degli ecosistemi marini, la capacità di assorbimento dell’anidride carbonica, così come la disponibilità su terra forma per tutte le forme di vita e le diverse attività umane. Essa poi è un vettore fondamentale per tutte le forme di contaminazione, come abbiamo visto per il ciclo della materie plastiche.
Se l’acqua è alla base di ogni forma di vita, bene comune dell’umanità -bene comune dell’insieme delle forme di vita da cui noi dipendiamo- il suo governo globale è sempre più affidato a mani provate agli oligopoli che estendono il proprio controllo sulla risorsa in tutto il suo ciclo di vita, di pari passo peraltro con il processo di urbanizzazione della popolazione mondiale. Ne abbiamo una testimonianza il cosiddetto Forum mondiale dell’ acqua5 dominato dagli oligopoli che ha visto quindi nascere la proposta di un forum alternativo, con il seguente esito.
“Per cercare di tenere alta la questione sociale durante il decimo Forum mondiale dell’acqua, si è cercato di dare vita all’alternative forum, organizzato dal mondo dell’ambientalismo attivista. People’s Water Forum è il nome lapalissiano di questa edizione. Dopo diversi giorni di tentativi falliti, è stato annunciato che il People’s Water Forum non si è potuto svolgere perché una serie di paramilitari hanno ripetutamente minacciato e sgomberato gli attivisti intenti nell’organizzazione delle varie sessioni, che avrebbero avuto come tematica il diritto umano all’acqua, l’estrattivismo idrico e le privatizzazioni.”
Per concludere queste note che fanno seguito agli articoli sulle tre COP biodiversità, clima e desertificazione assieme alle conferenze sulla plastica, prendiamo atto delle conclusioni dell’ultima COP quella sulla desertificazione che ha mostrato una evidente presa di coscienza della drammaticità del problema da parte di tutti gli attori coinvolti, che si ripromettono di giungere ad accordi adeguati, producendo una somma di proposizioni senza giungere ancora una volta alla necessaria mobilitazione di risorse da condividere condivisione attraverso efficaci forme di cooperazione6. Conclusioni la cui inadeguatezza colpisce innanzitutto il continente africano7.
Indubbiamente questa COP sulla desertificazione ha rappresentato un salto di qualità in termini di partecipazione8, se questa può essere considerata una promessa per il futuro, il futuro si prospetta sempre più minaccioso con il progredire sempre più veloce dei processi di degrado delle condizioni climatiche e di vita sul nostro pianeta.
L’attenzione crescente sembra esser quella di chi assiste impotente alla propria personale e collettiva tragedia. Le assisi politiche nel nostro paese ne sono una dimostrazione lampante, anche senza la crescita dell’attenzione.
Roberto Rosso
- https://it.euronews.com/my-europe/2024/12/16/mayotte-devastata-dal-ciclone-chido-in-corso-la-pulizia-del-territorio-francese-doltremare [↩]
- https://www.nytimes.com/2024/12/17/opinion/us-china-musk-swift-tariffs-manufacturing.html [↩]
- https://www.greenme.it/ambiente/cina-completato-cintura-verde-alberi/[↩]
- https://www.aics.gov.it/oltremare/articoli/pianeta/a-che-punto-e-la-grande-muraglia-verde-dellafrica-contro-la-desertificazione/ [↩]
- https://www.renewablematter.eu/forum-mondiale-acqua-bali-chi-comanda-nelle-politiche-idriche-globali [↩]
- https://www.climateaction.org/news/desertification-cop16-ends-without-binding-agreement-on-response-to-drought [↩]
- https://africanclimatewire.org/2024/12/gridlock-as-riyadh-cop16-fails-to-deliver-drought-protocol-deal/ [↩]
- https://www.unccd.int/news-stories/statements/unccd-cop16-closing-statement-ibrahim-thiaw [↩]