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Decreti, decreti e ancora decreti

di Gino
Sperandio

di Gino Sperandio – Ormai da più di 2 mesi la nostra vita, i nostri spostamenti le nostre relazioni sono stati profondamente condizionati e modificati dall’arrivo in Italia del coronavirus.

Progressivamente, la mostra libertà personale è stata ristretta e limitata dall’emergenza sanitaria, le nostre possibilità di spostamento progressivamente ridotte, introdotto l’obbligo di rimanere isolati nel proprio domicilio, c’è stato un forte ingresso nella nostra privacy e cosi via.

Ora io non voglio qui discutere nel merito della bontà o della efficacia sanitaria delle misure di “allontanamento sociale” prese in questi due mesi dal Governo ma sul fatto che le modalità di adozione delle stesse rappresentano a mio avviso un pericoloso vulnus del nostro regime di tutela delle libertà individuali costituzionalmente garantite.

È bene chiarire in premessa che è evidente che le misure introdotte dal Governo attraverso lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri limitano quantomeno la libertà di circolazione garantita dall’art. 16 della Carta Costituzionale, la libertà di riunione garantita dall’art. 17, la libertà di culto di cui all’art. 19. Tutti questi diritti sono definiti costituzionalmente come inviolabili e la Costituzione declina una esplicita e riserva assoluta di legge per la limitazione per la libertà di circolazione “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o sicurezza” con ciò non ammettendo deroghe neppure di carattere straordinario se non attraverso un atto legislativo e non amministrativo.

Per costante indirizzo, sia la dottrina che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che una riserva di legge assoluta vi sia anche nella limitazione della libertà di riunione e di culto come per le altre libertà fondamentali elencate al Titolo 1 della Carta.

È vero che in passato, per motivi di sanità pubblica o di ordine pubblico (l’epidemia di colera o varie calamità nazionali) si siano limitate la libertà fondamentali attraverso atti amministrativi (ordinanze sindacali o prefettizie), ma ciò non è mai avvenuto per l’intero territorio nazionale, per un tempo indefinito e comunque è sempre supportato da determinati provvedimenti legislativi quali, ad esempio la legge sulla protezione civile, le leggi speciali sui terremoti e così via. Insomma, si è utilizzato l’atto amministrativo solo per atti limitativi della libertà solo quando questi avevano una limitazione territoriale e temporale ben definita e in forza di una delega legislativa certa.

Dal 23 febbraio 2020 il Governo ha invece scelto fin da subito lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che è unanimemente definito come atto amministrativo e non legislativo.

Può sembrare questione da legulei, ma così non è, mentre gli atti con forza di legge, come il Decreto Legge che può essere emesso dal Consiglio dei Ministri in caso di necessità e urgenza ha tre passaggi significativi: deve essere discusso approvato dal Consiglio dei Ministri, controfirmato dal Presidente della Repubblica prima di avere efficacia (con l’obbligo da parte dello stesso di controllare la sua legittimità costituzionale) discusso, eventualmente modificato, e approvato dal parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione a pena di decadenza e di perdita di efficacia dalla sua emanazione. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è atto proprio del Presidente, non è soggetto a controllo costituzionale preventivo da parte del Presidente della Repubblica né a controllo costituzionale successivo e approvazione da parte del Parlamento, può essere eventualmente impugnato davanti al Tribunale Amministrativo e neppure davanti al Tribunale Ordinario.

Peraltro, poiché il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, come qualsiasi Decreto Ministeriale ha efficacia regolamentare e il potere regolamentare, può essere esercitato solo se sia autorizzato da un specifica norma di legge.

Al di là della evidente violazione del procedimento normativo la scelta operata ha significato che da subito il Governo ha inteso escludere il Parlamento dalla discussione sulla approvazione di norme così significative per la nostra vita personale e collettiva. Inoltre, questo tipo di normazione ha assunto carattere ordinario infatti dal 23 febbraio si sono succeduti vari Decreti del Presidente del Consiglio che via via hanno disciplinato la nostra vita senza che gli organi legislativi ne fossero coinvolti. Parimenti, la stessa strada è stata seguita dai Presidenti delle Regioni, che hanno escluso sia i Consigli Regionali che le Giunte dalla normazione dei fatti relativi alla epidemia.

Mi pare significativo, che ad oggi il Parlamento abbia discusso, seppur a babbo morto, le prime misure economiche sulla crisi aperta dal Corona Virus, ma non abbia aperto una discussione sulla permanenza di queste limitazioni delle nostre libertà. Anzi, le poche critiche che si sono alzate non riguardano la difesa dei diritti individuali, la contemperazone tra questi e il diritto alla salute, ma gli interessi dei grandi potentati economici preoccupati dal blocco delle attività produttive o dalle piccole imprese che rischiano di essere soffocate dal prolungarsi della chiusura. Cioè, non vi è stato un ragionamento sulla tutela dei diritti democratici e del loro contemperamento con la crisi sanitaria in atto nelle misure adottate, ma solo sulla loro compatibilità “economica”.

Ciò è ancor più grave sotto due profili: il primo che per stessa ammissione del Presidente Conte, nella conferenza stampa di ieri, si è dichiarato che il problema del coronavirus non sarà temporaneo, ma probabilmente coinvolgerà il nostro paese per i prossimi anni, il secondo è che le soluzioni in Italia sono state demandate ad un tavolo tecnico del tutto autoreferenziale che è estraneo a qualsiasi dibattito o condizionamento democratico.

È significativo che questi tecnici abbiano di fatto esautorato un organismo che avrebbe diretta competenza costituzionale come il CNEL, che seppur ormai delegittimato, costituzionalmente avrebbe proprio il compito di dare indirizzi sui grandi indirizzi di politica economica e del lavoro.

L scelta è stata invece del tutto autocratica e fuori di percorsi costituzionalmente previsti.

Tale tecnicizzazione è sicuramente il frutto della progressiva delegittimazione della classe politica ma rischia di portare ad una torsione autoritaria del paese e al rafforzamento di quei poteri forti (banche, sistema finanziario ed economico) che di cui i “tecnici” sono tradizionalmente i proni portavoce.

Orbene, visto il carattere “semipermanente”, se così si può definire, del problema della gestione della convivenza e del superamento della pandemia deve riprendere un carattere partecipato e che rivendichi paradossalmente piu spazi di partecipazione e non delega ai tecnici.

Francamente, mi preoccupa e mi infastidisce che molti amici e compagni abbiano respinto queste mie critiche dicendo: ma allora vai dietro alla Meloni e Salvini che gridano al golpe. No, io non vado dietro a Salvini e Meloni perché vedo che anche i presidenti delle Regioni della destra a partire dal vituperato Fontana all’osannato Zaia, si comportano dal punto di vista istituzionale esattamente come il governo centrale tentando di escludere qualsiasi discussione “politica” tecnicizzando il tutto e accentrando le decisioni e sono convinto che dal punto della gestione parlamentare della crisi un loro governo avrebbe agito allo stesso modo: con la cessione di sovranità anche sul campo dei diritti democratici ai tecnici.

Devo altresì segnalare che in altri paesi a regime parlamentare non a caso si è agito diversamente: sia in Spagna che in Germania, i provvedimenti di limitazione delle libertà personali sono state prese attraverso l’approvazione costante dei provvedimenti da parte del Parlamento, persino in Francia, che è un regime presidenziale i provvedimenti di Macron (legittimato dalla Costituzione a prenderli) sono stati discussi in Parlamento, dunque anche in Italia si poteva e si doveva agire diversamente, anche in considerazione del fatto che il nostro sistema ha carattere parlamentare più accentuato sia di quello tedesco che spagnolo.

Il rischio che vedo è il crescere il consenso ad un sistema di controllo sociale di massa, con la diffusione degli sbirri da balcone, con l’incapacità di comprendere che invece questa emergenza sanitaria ci dovrebbe far riprendere i temi della medicina democratica e del territorio.

Il colossale fallimento della sanità lombarda che progressivamente ha smantellato i presidi locali, ricordate Giorgetti: i medici di base non servono un cazzo! E privatizzato il sistema ospedaliero svendendolo alla compagnia delle opere, la rinuncia della cura domiciliare degli anziani con l’implementazione generalizzata delle case di riposo anche per gli autosufficienti, insomma temi che pure erano patrimonio del movimento operaio e democratico.

Altra e analoga riflessione andrebbe fatta anche sulle proposte di controllo sociale proposte attraverso l’utilizzo di applicazioni dedicate sui nostri strumenti elettronici, dei nostri dati personali, sui rischi della loro detenzione, sul rapporto tra pubblico e privato nella loro gestione, ma forse questa è una questione che andrebbe approfondita e indagata separatamente.

Dico tutto questo, ritornando al problema su cui ho tentato di fare la mia riflessione: auspico che di fronte al carattere duraturo delle limitazioni delle libertà personali imposte dai decreti del Governo e delle Regioni, si apra tra di noi un dibattito che superi la subalternità e la solitudine culturale che sento di subire in questo momento imponendo un dibattito pubblico sulle questioni che non appaiono di poco conto.


Avvocato e Presidente ANPI prov. Belluno

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