Vi ricordate i primi giorni di lockdown? La scuola era governata per decreto, i sindacati volevano il confronto, il Ministero faceva orecchie da mercante, nel frattempo l’insegnamento a distanza veniva da qualcuno osannato quale «occasione unica per una didattica inclusiva per tutti», i docenti si dividevano, qualcuno associava la disponibilità all’insegnamento a distanza al “merito”, qualcun altro si opponeva richiamandosi al contratto suscitando l’indignazione di qualche genitore, mentre qualche dirigente ringhiava «Vergognatevi! Lasciateci lavorare!». La situazione era certamente inedita, il copione molto meno.
Di lì a poco si formava un movimento che nei suoi pochi mesi di vita ha già mostrato tutte le potenzialità per riproporre un altro copione, il coordinamento Priorità Alla Scuola (PAS), formato da genitori, studenti e personale scolastico. A fine maggio e poi a giugno ha organizzato manifestazioni di piazza in varie città italiane per chiedere la riapertura delle scuole in sicurezza, per il 26 settembre ha organizzato una mobilitazione incentrata su Roma assieme a tutti i principali sindacati di settore, FLC CGIL, CISL e UIL Scuola, SNALS, Gilda e COBAS. Per dire basta alla continua mortificazione del mondo della scuola, dalla permanenza delle classi pollaio alla mancata stabilizzazione del personale, dall’ultraprecarietà dei 50mila lavoratori assunti secondo una formula usa-e-getta che li rende licenziabili alla prima sospensione della didattica, al presupposto generale che l’obiettivo sia tornare alla “normalità” pre-COVID. Una “normalità” che va invece contestata e superata. Di recente PAS ha pubblicato sul sito di Euronomade il Manuale per respirare un’aria migliore, un work in progress aperto ad ulteriori riflessioni e contributi che potranno emergere all’interno di un movimento ancora giovane.
Colpisce piacevolmente, in questo documento, la radicalità della visione espressa in uno stile semplice e concreto, senza quei toni saccenti o lagnosi che funestano tanti scritti di denuncia sulla scuola. Vengono allineati fatti, e appare chiaro che l’insipienza e l’inazione che hanno caratterizzato il Ministero in questi mesi sono strutturali a un approccio che da oltre vent’anni procede ad annunci roboanti di “riforma”, torsioni di carattere neoliberista e privatistico a beneficio di determinati “portatori di interesse”, in cui le responsabilità sono scaricate sui territori, sulle singole scuole, e alla fine sui singoli insegnanti e sulle singole famiglie. Da tempo le trovate propagandistiche, ieri il grembiule di Gelmini, oggi i banchi a rotelle di Azzolina, sostituiscono ogni progettualità pedagogica e sociale, mentre la scuola pubblica viene sistematicamente privata di risorse, nella convinzione (diffusa non solo alla destra dello schieramento politico) che essa coinvolga la collettività solo temporaneamente, in determinate fasi della vita, e che per il resto sia un’isola dalle condizioni di lavoro relativamente privilegiate. L’originalità dell’approccio di PAS consiste invece nel vedere nella scuola una «comunità (quasi) infinita» interdipendente nelle sue parti e con l’intera società. Come viene scritto,
«Concentrarsi solo sui diritti dei e delle bambine, tralasciando i diritti delle persone che lavorano in contesto educativo significa intaccare la qualità del processo formativo; concentrarsi solo sugli e sulle insegnanti rischia di far dimenticare le esigenze di genitori lavoratori e lavoratrici; focalizzarsi sugli aspetti burocratici porta a dimenticarsi che l’istruzione è un processo lento, contraddittorio e non riconducibile alle sole unità di apprendimento; esigere l’apertura in sicurezza significa rivedere le condizioni lavorative del personale addetto alle pulizie. Perché la comunità abbia una voce deve pensare in grande, abituarsi a uscire dal pensiero egoistico, individualizzante e di categoria tanto in voga negli ultimi anni. L’alternativa è soccombere, ciascun* nella propria solitudine» (pp. 36-37).
Oltre a unire i bisogni di tutte le componenti che hanno a che fare con la scuola, il documento combina istanze rivendicative, proprie della tradizione dei sindacati, con questioni considerate culturali o educative, quali l’interculturalità, la lotta al razzismo e alla violenza, l’educazione al genere, la didattica inclusiva, l’ecologia radicale, ecc., prospettando intersezioni con altri movimenti, oltre che la collaborazione con i sindacati medesimi. Colmare il divario tra la dimensione rivendicativa e quella socioculturale è tanto più necessario in un periodo in cui le associazioni professionali e di riforma appaiono ripiegate su se stesse e meno capaci di un tempo di suscitare discussioni, di propugnare nuovi approcci e contenuti a beneficio della scuola come della società intera. E, come vediamo quotidianamente, senza lo slancio verso una progettualità educativa, culturale e sociale, la scuola s’impoverisce, il suo orizzonte di senso si rattrappisce. La scuola non può diventare ancella del potere senza deperire.
La scuola resta un ambito decisivo per il cambiamento sociale e, in ultima analisi, per il futuro del pianeta. Fino a qualche decennio fa questo assunto era considerato quasi senso comune, adesso suona quasi come vuota retorica. Tuttavia da lì non si scappa: occorre rilanciare la centralità della scuola nelle grandi questioni del nostro tempo. La mobilitazione del 26 settembre è solo il primo passo. A cui devono seguire tanti altri.