Nelle cronache politiche del nostro paese hanno avuto un sussulto con l’elezione Elly Schlein, il discorso dopo l’elezione ha messo al centro la questione delle disuguaglianze nel nostro paese, una rottura, almeno nelle dichiarazioni, rispetto alla conduzione passata del PD, alle analoghe dichiarazioni di Renzi e Veltroni, il primo che abbandonava la geometrica contrapposizione tra destra e sinistra in nome del dualismo tra conservazione e innovazione, mentre il secondo centrava la sua visione sulla libertà, anche di intraprendere.
Che citare la questione delle disuguaglianze, centrare su di esse una visione, un programma politico rappresenti un punto di svolta di un partito più o meno collocato a sinistra, dice molto sullo stato del confronto politico nel nostro paese. Questo avviene mentre le migrazioni nel mediterraneo si infrangono drammaticamente sulle nostre coste.
Nell’articolo La rana bollita nella società liquida dicevamo che “La società liquida, nella sua versione italiana, è il contesto nel quale è stata bollita la rana ossia le classi subalterne, il loro percorso di presa di coscienza della propria condizione, la loro capacità di organizzazione. (…)
Se la risposta è l’esodo, nelle sue varie forme -e non il conflitto, la partecipazione critica e attiva alla vita sociale, politica e produttiva- diventa sempre più difficile pensare ad una discontinuità, un punto di rottura, una inversione di tendenza nella deriva che sta vivendo il nostro paese. Ad ogni scadenza elettorale alla rana si chiede di partecipare, di saltare di dare segni estemporanei di vitalità, cercando di rivitalizzare fedeltà storiche e catturare momentanei orientamenti del senso comune.”
La partecipazione alle primarie del PD è linearmente diminuita dai suoi inizi sino a queste ultime, rimanendo al di sopra del milione, Renzi ne ha vinte due, con milioni di voti sul suo nome, mentre nelle elezioni politiche e nelle europee, oltre che nei sondaggi, i consensi si concentravano di volta in volta realmente o virtualmente su PD, MS5, Lega ed infine Fratelli d’Italia; arrivando infine al tracollo nella partecipazione delle regionali in Lazio e Lombardia.
A sinistra comunque ci si interroga, si valuta il passato di Elly Schlein, messo a confronto con le sue parole di oggi, la sua capacità di attrazione sull’elettorato, sulle persone di sinistra, tenendo conto della mossa di riaprire le iscrizioni al partito, colmando la contraddizione con il risultato della competizione tra gli iscritti, con la possibilità di ridurre il peso delle correnti tradizionali. Il governo in carica ha nel suo programma la demolizione del cosiddetto ‘reddito di cittadinanza’ che ha salvato milioni di persone da uno stato di povertà, di miseria assoluta; uno dei pochi provvedimenti che ha inciso sull’aumento delle diseguaglianze nel nostro paese. Schlein cita il salario minimo, ma la mappa dei redditi nel nostro paese, richiede di risanare le condizioni di vita, di riabilitare ad una vita sociale piena milioni di famiglie garantendo un accesso al reddito, ai servizi essenziali, cosa che sarebbe in grado di riaprire le dinamiche sociali complessive del nostro paese. L’intenzione poi di affrontare immediatamente ed efficacemente le conseguenze del riscaldamento globale, particolarmente gravi nel nostro paese, per la sua posizione nel mediterraneo ed il suo assetto idrogeologico, si confronta con la necessità di una radicale riconversione delle filiere logistiche e produttive, degli assetti urbani e territoriali. La reazione, la levata di scudi contro la fissazione del 2035 da parte della Commissione Europea come data fissata per il passaggio totale dell’auto e del trasporto su gomma all’elettrico, rende conto dell’incapacità del sistema industriale, economico, amministrativo e politico in tutte le sue componenti, di darsi una strategia autonoma di trasformazione, di transizione ecologica e climatica. Il nesso tra crescita delle diseguaglianze e crisi climatica, definisce il nodo della trasformazione necessaria o della crisi incombente, ben oltre la resilienza del sistema produttivo italiano nella sua collocazione subordinata entro catene del valore globali.
I propositi espressi, sia pure nella loro sinteticità, per trasformarsi in programma dovranno fare i conti con la composizione sociale del nostro paese, con il carattere delle sue classi dirigenti, di cui la struttura e la composizione politica sono una espressione; quello che appare come un epifenomeno, l’elezione del segretario del maggior partito di opposizione tramite primarie, rispetto alla complessità ed alla stratificazione della formazione sociale del nostro paese, si connette direttamente a questa complessità.
L’esodo dalla partecipazione politica di gran parte della popolazione istituzionale, in assenso di un reale e diffuso conflitto sociale, può essere il sintomo, l’ennesimo passaggio della stagnazione complessiva che caratterizza il nostro paese. La domanda che nasce è se invece un fenomeno innovativo a livello di partecipazione politica può essere di stimolo alla crescita del conflitto stesso; poiché l’alternativa più efficace non è solo quella di costruire e affermare un ‘programma politico di sinistra’, ma dare voce ai conflitti esistenti, ricostruire con questi una dialettica politica. La partecipazione alle primarie di tanti non iscritti a favore della nuova segretaria rappresenta la ricerca di uno sbocco non minoritario, a fronte delle frustrazioni di anni di scadenze elettorali.
Le occasioni di ricucitura, pratiche e simboliche, certo non mancano, basta pensare a quale occasione sia la lotta della GKN, con il suo programma di socializzazione della produzione, giunta ad un punto cruciale della sua vicenda; con questa mille altre situazioni sono presenti praticando tutti i possibili conflitti nella società. Forse è pretendere troppo, in realtà è il minimo necessario per ricucire i legami.
Stiamo estrapolando troppo dai primi passi della nuova segreteria del PD? Certamente. Di contro il fatto che a livello politico, che più politico non si può, si apra una crepa nel conformismo neoliberista dominante, dovrebbe essere di stimolo alla ripresa di iniziativa, di creazione di una dimensione generale di programma, lotta e organizzazione di quei soggetti che il conflitto lo praticano. Non si tratta di una riedizione dell’antiberlusconismo in salsa Meloni, che genera una sorta di conformismo, caricatura di uno spirito resistenziale, che rinuncia ad un reale progetto di trasformazione.
Si fanno diverse ipotesi sugli sbocchi politici
Loris Caruso, a cui non manca certo la capacità di analisi politica della situazione concreta, in un suo posto su FB afferma: “A me questa cosa dell’elezione di Schlein sembra un fatto dialettico, contraddittorio. Lei è mainstream in modo diverso, è sponsorizzata sulla homepage di Repubblica da plurimi anni, è lo spettacolo di un’alternativa dentro una cornice ben consolidata, e nello stesso tempo sposta l’asse retorico verso sinistra, è discontinua alla storia del Pd rispetto a qualche tema sociale appena introdotto, è percepita come outsider e come ‘vera sinistra’ dal 95% dell’elettorato di sx e csx, e può essere anche che la sua elezioni porti prima alla rottura interna di quel partito poi anche a una sua crisi definitiva. Questo fatto è illusione, ma è anche dialettica, cioè è politica, è movimento, e nella dialettica, a livello di scenario, si riaprono delle porte per chi ha voglia di fare politica…” Vedremo, l’asse retorico, a mio parere è qualcosa di più di una espressione retorica, comunque è in grado di generare molteplici contraddizioni, compresa quella auspicata da Loris. Quello che è certo è che si apre una dialettica, come ho provato a dire prima.
Antonio Floridia sulle pagine della rivista il Mulino, ne La nemesi delle primarie aperte descrive in modo esauriente la posta in gioco della segreteria Schlein, esponendo il percorso che ha portato il PD alla situazione di oggi, in cui è significativa la distribuzione degli iscritti. “La distribuzione geografica del voto degli iscritti mostra una distorsione profonda: il 39,6% ha votato nelle isole e nelle regioni meridionali; il 10,6 % nel Centro (Lazio e Abruzzo); il 15,7% nel Nord Ovest; il 5,9% nel Nord Est e il 28,2% nelle quattro ex regioni “rosse”. Non occorre qui riportare la distribuzione territoriale del voto al Pd nelle elezioni del 25 settembre per comprendere lo squilibrio profondo, l’assoluta non rappresentatività dell’attuale platea degli iscritti. Basti solo pensare che nell’area metropolitana milanese hanno votato 4.256 iscritti e in provincia di Potenza ben 4.190.” Mentre sulla partecipazione alle primarie “Il voto a Elly Schlein dimostra come si sia attivata una forte “circolazione extra-corporea” che ha mobilitato tutti quegli elettori a cui risultava oramai indigesta una proposta politica segnata da un non ben identificato “riformismo”, dall’identità confusa e insapore di un partito-sistema. Una mobilitazione che è stata espressione di un bisogno di radicalità che non significa “estremismo”, ma voglia di chiarezza e di nettezza. Si potrebbe anche dire che si è prodotta, spontaneamente, una massiccia operazione di “entrismo” (come la si definiva nel lessico del Sessantotto): visto che era possibile, perché non cogliere questa occasione?” (…)
“Il vero nodo critico non sarà tanto quello della riforma delle “primarie aperte”, così come sono ora concepite, ma della creazione di un modello di democrazia interna propriamente definibile come rappresentativa e deliberativa, che consenta la formazione di vere e distinte aree di cultura politica, “sganciando” l’elezione degli organismi dirigenti dalla dipendenza plebiscitaria dai voti ai candidati-segretario. Si tratta di un aspetto cruciale: se il Pd vuole evitare diaspore e spinte centrifughe, se vuole “tenere insieme” le sue molte anime, deve cambiare profondamente l’intero circuito della discussione-partecipazione-decisione.”
Siamo, comunque analizzi la situazione, ad un passaggio critico che può produrre innovazioni significative oppure un ripiegamento su stesso delle relazioni sociopolitiche che gravitano attorno al PD
In realtà la posta in gioco di una radicale trasformazione o di un ripiegamento su se stessa, dispersione o implosione riguarda tutta intera la realtà sociale, politica e culturale che si oppone alla gestione neoliberista del nostro paese da parte delle sue classi dirigenti, che ha portato come conseguenza l’esodo di massa dalla partecipazione elettorale ed in questo il consolidarsi di un nucleo conservatore e reazionario. È in questo contesto che deve essere valutato il possibile verificarsi di una possibile cesura, quantomeno parziale, con la subordinazione sostanziale al neoliberismo.
Quello che è certo è che ci sono cesure, differenze profonde con la tradizione storica della sinistra di classe, la storia, sia pure complessa e contraddittoria, del movimento operaio, con lare te delle organizzazioni con al centro il partito comunista, le organizzazioni sindacali connesse; del resto siamo ben lontani dalla trasformazione e dal conflitto sociale degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, dal rapporto tra partito-sindacato e le forme di lotta e organizzazione più radicali del conflitto sociale, sino alla prospettiva del Compromesso Storico come alternativa ad uno sbocco cileno del conflitto sociale. Si sono verificate da allora cesure straordinarie e non hanno senso ricostruzione controfattuali, basate sull’ipotesi che il PCI non fosse quello che abbiamo conosciuto, senza che questo giustifichi alcun determinismo storico; d’altra parte le contraddizioni, prendendo in considerazione anche solo il decennio, ’68-’77 sono state tali e tante da richiedere un sovrappiù di analisi rispetto alla vulgata che ne semplifica drammaticamente il decorso storico.
Allora il conflitto sociale ha generato tutte le grandi riforme che hanno modificato le regole della convivenza, sancito nuovi rapporti di forza, dallo statuto dei lavoratori al divorzio per citarne alcuni. Il problema della politica, della sinistra in particolare era confrontarsi con quel livello di conflitto e maturazione delle classi sociali subordinate. La risposta capitalistica, delle organizzazioni politiche che la presentavano, conobbe a sua volta profonde contraddizioni, compreso l’emergere forte delle linee golpiste ed autoritarie, che si espressero a partire dagli anni ’60 -ricordiamo il Piano Solo, con il generalizzarsi delle lotte e delle rivendicazioni della classe operaia. Risposta capitalistico che divenne strutturale e si affermò come tale, sul piano tecnologico e produttivo, con la crisi energetica del ’73 che quadruplicò il costo del petrolio, l’apertura di una nuova struttura dei mercati monetari e finanziari con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro. Sul piano contrattuale il culmine fu l’accordo sul punto unico di contingenza, l’accordo Lama-Agnelli, siglato in una fase in cui la forza del movimento operaio si era ormai stabilizzata ed avanzava il processo di ristrutturazione dell’apparato produttivo. Nel 1981 la Banca d’Italia cessò di finanziare di direttamente il Tesoro1, nel 1985 Craxi vinse il referendum sul taglio di 3 punti percentuali della scala mobile; intanto nel 1980 la cosiddetta marcia dei 40.000 aveva attraversato Torino.
Oggi facciamo i conti con la composizione sociale che si è prodotta in Italia al seguito delle trasformazioni degli ultimi 30 anni. Lo stato del nostro paese è rappresentato forse dalla regione più importante del nostro paese la Lombardia e dal risultato delle ultime elezioni regionali2.
Oggi siamo all’incrocio delle crisi globali, che si susseguono e si intrecciano, destabilizzando i precedenti assetti della globalizzazione neoliberista, dalla pandemia, alla guerra, alle crisi monetarie e finanziarie, crescita dei flussi migratori da territori sempre più destabilizzati, nel contesto e nell’orizzonte della crisi climatica. Non è all’orizzonte il ristabilirsi di nuovi equilibri, comunque essi possano essere, il processo di innovazione tecnologica è un fattore abilitante della crescita degli squilibri nel contesto della competizione globale, in direzione opposta alla riduzione delle diseguaglianze e degli squilibri ecosistemici. La formazione sociale italiana, priva di una sua strategia, rischia di essere una barchetta priva di una reale guida nel gorgo di un processo di trasformazione travolgente, il maelstrom che tutto attira dentrodi sé. La sinistra, i movimenti di critica radicale, rischiano -rischiamo- a loro volta di comportarsi come una barchetta traballante nelle correnti che attraversano il nostro paese. In gioco è la capacità di individuare, costruire e praticare una rotta comune in questi mari in tempesta. Saldi principi sono necessari, ma incarnarli in questa drammatico intreccio di crisi in movimento, costruire una strategia in questo quadro complesso, richiederà tempi non brevi (eufemismo) molta umiltà e apertura mentale.
Il nesso tra cesure e continuità, nelle identità politiche e culturali, nelle pratiche organizzative e conflittuali, costituisce un confine, un passaggio, un sentiero stretto da percorrere, senza garanzie a priori né cechi affidamenti a persone, uomini o donne che siano del destino; tuttavia nulla può essere trascurato.
Roberto Rosso