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Dal voto utile a quello Multiutility, così il partito trasversale degli affari specula sui beni comuni in Toscana

di Tommaso
Chiti

Dal ‘voto utile’ a quello ‘Multiutility’, è stata questa la prima reazione di portata regionale che ha riguardato le maggioranze di molti comuni in Toscana, all’indomani delle elezioni politiche.
Peccato che per quest’operazione di svendita di servizi essenziali e beni comuni in Borsa, al contrario della retorica di alterità della campagna elettorale, qui i liberal-democratici del PD, ampiamente rappresentati in molte amministrazioni locali, non abbiano disdegnato quella convergenza di interessi con le formazioni di destra, che si sono pronunciate in modo favorevole, come nel caso di Pistoia, o si sono strumentalmente astenute come a Prato.
Proprio dalla Piana ed in particolare dalle amministrazioni di Firenze, Prato ed Empoli era emerso nel dicembre 2020 con una lettera d’intenti il progetto di accorpamento dei gestori di servizi pubblici ambientali, idrici ed energetici per fusione nella società di raccolta e smaltimento dei rifiuti ALIA Spa.

L’intento di creare un’unica holding, con la maggioranza di quote in mano agli enti locali e la restante parte (49%) da reperire mediante la quotazione sui mercati finanziari, era quello di superare la ‘frammentazione gestionale’ e ‘posizionarsi fra le prime cinque a livello nazionale’. In quell’occasione si indicava già il nome di Alberto Irace come amministratore delegato della Multiutility, proprio ‘per la sua esperienza nel settore della gestione dei servizi’, avendo ricoperto dal 2014 lo stesso ruolo per ACEA, componente privata di maggioranza relativa nella società toscana del servizio idrico PubliAcqua Spa, la cui liquidazione pare aver causato lo slittamento di circa un anno dei tempi dell’operazione, inizialmente fissata per gennaio 2022.
Così lo scorso maggio, proprio in seguito alla costituzione di una newco Acqua Toscana Spa – collettore delle quote comunali provenienti da PubliAcqua Spa e amministrata dall’ex-vicesindaco di Prato, Simone Faggi – il progetto ha preso slancio con l’approvazione nei CdA delle varie società, come Consiag S.p.a. e PubliServizi S.p.a., formate da circa cinquantotto comuni toscani, fino alla benedizione del Presidente della Regione, Eugenio Giani.
In questa fase, oltre a definire il doppio passaggio nella costituzione della holding pubblica e nelle successive modalità di gestione delle società operative, venivano posti come capisaldi il mantenimento del 51% di quote ai comuni, l’aumento di duemila posti di lavoro, così come degli investimenti – stimato in 1 mld.€ all’avvio del progetto -, oltre al controllo delle tariffe e maggiori dividendi agli azionisti. Un programma sintetizzabile con il detto ‘la botte piena e la moglie ubriaca’ insomma, senza però disdegnare la redditività che possono garantire monopoli naturali in termini di prelievo, dato che già in quella sede veniva spudoratamente dichiarata una stima di 700 mln.€ di ricavi e appena 171 mln.€ di investimenti.
Da qui poi la brusca accelerazione, avvenuta all’indomani delle elezioni politiche con le proposte di delibera,  notificate in grande fretta per l’immediata convocazione dei consigli comunali, avvenuta in contemporanea in decine di comuni dal 17 al 19 ottobre, proprio per la calendarizzazione al giorno successivo delle assemblee delle società coinvolte.

A riprova di quanto la gestione pubblica dei beni comuni riesca a rappresentare anche il livello di democrazia; e dove sia orientato al contrario il progetto di Multiutility Toscana, è significativa la cronaca di questo passaggio istituzionale, considerato mera formalità, se non proprio d’intralcio al progetto, con rappresentanti della cittadinanza sommersi da migliaia di pagine di prospetti tecnici, consegnati pochi giorni prima del voto; e comitati e movimenti ambientalisti mobilitati nella produzione di osservazioni, oltre che nella richiesta di consultazioni popolari, data la totale assenza di un mandato elettorale dei sindaci per quest’operazione, scaturita in molti casi dopo la loro nomina e prossimi alla scadenza della carriera amministrativa, come nei casi del fiorentino Nardella, del pratese Biffoni e del pistoiese Tomasi.

Evidente dunque che le priorità di quel partito trasversale degli affari toscani, ancora ben rappresentato da un’area liberista affine alla traiettoria politica di Matteo Renzi, non stiano tanto nella rappresentanza e nella cura della comunità, o nella sua partecipazione, ma altrove, negli interessi anche di tipo speculativo.
La stessa coincidenza dell’operazione con le forti oscillazioni in Borsa e i rincari sui mercati energetici, se da un lato non sembra aver suggerito maggiore prudenza ai promotori; dall’altro ha sollevato più di qualche dubbio in molti comuni contrari al progetto, come Sesto Fiorentino, Calenzano, Agliana e Montevarchi, fra gli altri.

L’evidente tradimento del referendum popolare del 2011 sulla ripubblicizzazione del servizio idrico arriva in una fase, in cui da città come Parma e Rimini crescono le proteste per i rincari esorbitanti delle bollette e le ricadute anche sui lavoratori, proprio di quelle multiutilities prese da riferimento in Toscana, dedite all’accumulo di extra-profitti, a discapito di servizi e diritti, perseguendo piuttosto la massimizzazione degli utili, invece della funzione sociale, che dovrebbero svolgere i servizi pubblici essenziali.
A non convincere affatto movimenti e comitati cittadini è anche la tendenza degli ultimi anni che, nonostante le promesse dei sindaci, ha visto la crescita vertiginosa di tari e tariffe del servizio idrico fra le più care d’Italia con una dispersione degli impianti fino al 40% della risorsa prelevata; a fronte però di dividendi milionari, redistribuiti anche ai soci comunali.
Del resto lo stesso ammanco di quasi 51 mln.€ dal bilancio di ALIA nel 2021 aveva costretto proprio a rivedere al rialzo il costo del servizio.
Mentre i prossimi passi riguardano il conferimento di quote del Comune di Firenze in Toscana Energia S.p.a. e di quello di Pistoia in PubliAcqua S.p.a., l’operazione punta ad estendersi fino alle province di Arezzo e Siena, ma la fretta e l’opacità non hanno nascosto agli osservatori il danno oltre la beffa, con l’esigenza di ricapitalizzazione pari ad 1,2 mld.€ e un sistema di valutazione delle quotazioni che, con il sistema del cash-flow, non tiene conto delle ricadute sul patrimonio netto dei vari comuni, prospettato decisamente in passività ad eccezione di Firenze.

Non meno significativo è l’esproprio di servizi essenziali dal controllo delle comunità, dato che il codice civile esclude soci azionisti dall’esercizio di poteri di gestione e amministrazione delle società quotate in borsa, riservato ai Consigli di Amministrazione.

Intanto continua la mutazione genetica del PD, in un’inedita sintonia con amministratori di Fratelli d’Italia, dovuta anche all’eredità renziana e dei suoi fedelissimi ancora al comando, con un passaggio dalla cultura delle cooperative, alla speculazione finanziaria sui beni comuni, in cui anche l’acqua, diritto vitale tanto prezioso e sempre più scarso in un contesto di crisi climatica e riscaldamento globale, diventa appunto merce sul mercato.

Tommaso Chiti

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