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L’aborto in Italia, alcune considerazioni

di Giovanna
Scassellati

Si è svolto a Riga capitale delle Lettonia, repubblica Baltica ormai in Europa dal 1996, il 9-10 settembre 2022 il Congresso della FIAPC, Federazione Internazionale Professionisti Aborto e Contraccezione. Il congresso di solito si svolge ogni due anni in paese diverso, generalmente europeo.
La delegazione Italiana era piuttosto esigua un po’ perché molti non conoscono la Federazione e un po’ perché gli italiani conoscono poco le lingue e comunque non hanno dimestichezza ad intervenire pubblicamente.
Questo è un appuntamento importante perché è un’opportunità per ognuno di noi per fare il punto sulla qualità dell’assistenza e per confrontarsi con altri.
Negli anni bui, in cui in Italia non avevamo il farmaco per indurre l’interruzione della gravidanza, questi incontri, a noi che lavoravamo in quest’area, sono stati di grande aiuto e ci hanno anche sostenuto psicologicamente perché ci davano la speranza che, prima o poi, anche noi avremmo potuto avere l’aborto farmacologico. In Italia il farmaco è stato registrato per mutuo riconoscimento presso AIFA solo nel 2009.

Si parla di una branca dell’ostetricia e ginecologia che si occupa della salute delle donne. L’aborto è un evento possibile nella vita riproduttiva della donna (15-45anni). Per me l’aborto non è un fatto politico, ma una questione di salute pubblica. Questo non vuol dire che si deve fare solo nelle strutture del SSN. La nostra legge 194 prevede anche strutture accreditate, ma poi in tutta la penisola sono pochissime queste strutture.
Quindi, questi incontri servono per fare rete, per allargare il concetto di assistenza di presa in carico e di accoglienza. Nel mese di giugno sono uscite le nuove Linee Guida OMS aggiornate sull’input della FIGO, la Federazione Internazionale Ginecologia e Ostetrica, che sta cercando di combattere in ogni Paese la mortalità materna. Ultimamente ha portato avanti un appello alle società scientifiche affinché si impegnino nell’apertura di servizi e nell’aggiornamento professionale in modo da poter raggiungere uno degli obiettivi dell’agenda 2030.
Ogni anno nel mondo, infatti, muoiono 47mila donne e tante finiscono ricoverate in seguito ad aborti clandestini per infezioni, rottura dell’utero, perforazioni dell’utero, emorragie.
La formazione dei giovani medici, in altri paesi Europei è comunque al centro dei curricoli individuali. In Italia, essendoci molte università cattoliche, non viene minimamente affrontata tale parte, tanto alla fine i medici fanno l’obiezione di coscienza. Naturalmente è una delle prime domande che viene posta per accedere agli studi universitari in queste università, anche prima di entrare in una scuola di specializzazione in ostetricia e ginecologia.

La FIAPC ha portato avanti in tutti questi anni una politica ed una mission per rendere l’aborto più sicuro e alzare il livello di assistenza. Fare in modo che gli operatori che praticano gli aborti siano più preparati e attenti alle Linee Guida OMS. Promuove studi per dimostrare l’evidenza scientifica e pubblicazioni, studi multicentrici, workshop di formazione, promovendo advocacy fra operatori di vari Paesi.

Il fenomeno italiano dovrebbe far riflettere perché da sempre non siamo mai riusciti ad avere una delegazione numerosa tale da permettere di avere almeno due delegati al Board, ossia nel Direttivo della Federazione.
Un fatto non secondario è che le ostetriche nel nostro Paese non ritengono importante assistere le donne nel percorso dell’aborto. Solitamente seguono unicamente le gravidanze fisiologiche ed assistono i parti in sale parto. Non possono fare atti medici come dare le compresse, mettere una candeletta. Lo fanno in poche e quasi di nascosto. Soprattutto non possono fare refertazione ecografica. Invece, potrebbero avere un grande ruolo perché l’ostetrica ha sicuramente più tempo per poter parlare con le donne. Secondo me, l’ostetrica sarebbe un ottima supporter delle donne, ma purtroppo non può prescrivere farmaci o fare le refertazione di ecografie di primo livello.
Nel nostro Paese, l’aborto è assistito dai medici coadiuvati da alcune infermiere professionali che normalmente sono coinvolte in prima persona nella parte burocratica di compilazione di moduli e di gestione degli appuntamenti e delle agende.
In Francia l’aborto viene fatto dai medici di base oltre ai ginecologi, ma anche le farmacie sono coinvolte nella distribuzione del farmaco ed anche i farmaci vengono rimborsati dalla Sicurité.
In Italia noi abbiamo un’alta obiezione di coscienza – il 64% fra i ginecologi e il 44% fra gli anestesisti. Il 15% delle gravidanze finisce nel primo trimestre in aborto spontaneo. Necessitano quindi di una risoluzione. L’acronimo IUFD, intrauterine fetal death, che si usa nella lingua inglese, dà più il senso del problema.
In Italia in 30% degli aborti viene fatto con il raschiamento. Questo è quanto si evince dalla relazione del Ministro della Salute. L’ultima pubblicata risale a dati del 2020. È sicuramente un problema poiché non ci si attiene alle Linee Guida OMS. Dopo 44 anni dall’introduzione della legge 194 siamo messi così. Non è certo un’assistenza per la salute delle donne.

Dobbiamo ancora lavorare molto su aborti non sicuri, implementare la contraccezione long-acting.

Il metodo farmacologico è un metodo sicuro per indurre l’aborto nelle donne che non desiderano portare a termine la gravidanza.

Giovanna Scassellati

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