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Da Tripoli a Ginevra. Una protesta che non deve finire

di Elena
Coniglio

‘Refugees in Libya’ lancia due giorni di protesta ad un anno dal sit-in in Libia attraverso la campagna ‘Unfair’ alla quale hanno aderito attivisti e gruppi di solidarietà  internazionali, che si sono riuniti davanti alla sede dell’UNHCR di Ginevra a sostegno delle  richieste dei rifugiati, sino ad oggi rimaste inascoltate

Un anno fa a Tripoli nasceva la protesta del gruppo auto-organizzato di Refugees in Libya.  Migliaia di persone migranti o richiedenti asilo, tra cui moltissime donne e bambini, da tempo trattenute forzatamente in Libia in terribili condizioni come più volte denunciato dagli organismi  internazionali, si sono stanziate a partire dai primi giorni di ottobre nei pressi della sede libica dell’UNHCR che hanno presidiato per chiedere il rispetto della protezione dei rifugiati e denunciare  le gravissime violazioni e i crimini ai quali la popolazione in stato di detenzione è sottoposta.
Un primo atto di resistenza durato cento giorni, poi smobilitato con l’uso della forza, ma che ha continuato a vivere nonostante la violenza e gli arresti. Fondamentale la testimonianza dei portavoce  del movimento che hanno finalmente raggiunto l’Europa. Tra loro David Yambio, giovane originario  del Sud Sudan in fuga dalla guerra civile, a sua volta detenuto nei campi in Libia e che sin dal principio  è stato in testa alla protesta.
La loro voce è rimbalzata infatti dalla Libia alle città d’Europa. Da Londra a Roma, passando per  Parigi, Berlino e Berna, grazie alla solidarietà di una fitta rete di attori della società civile europea, di  attivisti indipendenti, organizzazioni e ONG impegnate nel Mediterraneo centrale come Alarm Phone, l’italiana Mediterranea Save Humans, e il fitto network di Abolish Frontex.
È il 10 dicembre, la seconda giornata internazionale per i diritti umani. Il conteggio progressivo “430  days of protest” campeggia sul sito-manifesto del movimento1 e la sua resistenza si è rinnovata a  Ginevra, dove si è appena conclusa l’ultima giornata di mobilitazione. Un corteo di solidarietà che ha  attraversato la città partendo da Place de Nations, di fronte all’entrata principale del palazzo dell’ONU e sotto la monumentale “Broken Chair”, simbolo della lotta alle mine antiuomo.

I numerosi movimenti e attivisti internazionali che hanno sostenuto e incarnato il movimento,  transnazionale sin dalla sua origine, sono qui per opporsi al trattamento e alla detenzione arbitraria  dei rifugiati in Libia e Nordafrica e per denunciare con forza quella che descrivono come una vera inadempienza dell’organismo delle Nazioni Unite. Rispondono infatti all’appello della campagna della piattaforma ‘Unfair’, The Un Refusal Agency, che tradotto significa ‘Ingiusta’, L’Agenzia del  Rifiuto delle Nazioni Unite’. Ingiusta di fronte ai propri compiti e alle richieste di protezione delle  persone bloccate in Libia a causa delle restrittive politiche europee messe in atto a partire dal 2014.

Come ben ci ricorda il saggio ‘La rotta del Mediterraneo centrale e la strategia di respingimento per  procura’ di Giulio Facchini, direttore di Altreconomia, pubblicato nel Dossier Statistico  Immigrazione 2022, dopo il mancato rinnovo del piano umanitario “Mare nostrum” risalente al 2013 e facente capo alla Marina militare italiana che portò in salvo oltre 160mila persone perché tesa anche  ‘a garantire la salvaguardia della vita in mare’, i governi e la Commissione europea hanno deciso di  far confluire gli sforzi nel controllo delle frontiere marittime esterne e contrastando quella che  divenne a questo scopo una ‘lotta all’immigrazione irregolare’. Da allora “l’operatività degli assetti  è stata quindi arretrata entro le 30 miglia dalle coste italiane e maltesi e da allora lo smantellamento  del sistema istituzionale europeo di soccorso nel Mediterraneo, specie in quello centrale ma non solo,  non ha più conosciuto tregua, lasciando sempre più la “mano libera” ai libici per intercettare i  naufraghi e respingerli indietro”.  

Un rovesciamento di schema, parte del disegno di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione  Europea che si è cristalizzato ulteriormente con la firma del memorandum Italia-Libia nel 2017,  rinnovato tacitamente a novembre di quest’anno, senza che alcun gruppo parlamentare abbia  provveduto a metterlo in discussione prima dello scadere dei termini legali.
La mobilitazione, che si è aperta il 9 dicembre con una conferenza stampa e un presidio durato un’intera giornata in Rue de Montbrillant 94, vuole quindi chiamare a rispondere gli organismi  internazionali. Sollecitare nuovamente a Ginevra, di fronte alla sede centrale dell’Alto Commissariato  delle Nazioni Unite per i Rifugiati, le istanze già portate alla sede libica un anno fa. L’evacuazione  dei rifugiati verso Paesi sicuri, un trattamento equo per tutti i rifugiati, la fine del finanziamento da  parte dell’Unione Europea e da parte dei singoli paesi europei della Guardia costiera libica e dei campi  di detenzione, la richiesta di giustizia per coloro che sono stati uccisi, torturati e detenuti  arbitrariamente. E, quasi per nera ironia, la richiesta di firma da parte della Libia della Convenzione  di Ginevra sui rifugiati del 1951.
Al termine della conferenza stampa, alcuni portavoce della piattaforma di solidarietà e David Yambio  sono stati invitati ad un incontro con Alex Tayler – Senior Liaison Officer for the Middle East and  North African Bureau dell’UNHCR – per discutere delle richieste del movimento. Ritornati al sit-in  hanno però riferito che l’incontro non ha avuto particolari risultati e che le aspettative in tal senso non  sono molto elevate. David Yambio è però intervenuto con energia affermando che“per noi e per me  personalmente la vittoria è tenere il manifesto di Unfair, spiegarne le ragioni, raccontare cosa stia  accadendo in Libia e accettare che il trattamento in Nordafrica sia appunto ‘unfair’. È una vittoria  per me, ma è una vittoria per voi!”. 

Laddove vi è silenzio e omissione da parte degli organismi internazionali di protezione, si scopre la  componente della società civile che sembra correre su un binario parallelo, forse più vicino ai modelli  ispiratori di libertà e uguaglianza di quella stessa Europa che divenuta istituzionale e unificata, si  barrica dietro la difesa delle frontiere e investe ingenti somme per poter estendere il suo controllo al  limitare dei confini territoriali e formare le milizie di Paesi terzi affinché vigilino sulle coste e  respingano il flusso migratorio. Trattenendo per anni e ingiustificatamente sul loro territorio le  persone in rotta verso l’Europa alla ricerca di protezione da guerre o da condizioni di vita insostenibili.

In questi due giorni di manifestazione in Svizzera, il movimento passa dunque nuovamente il suo  testimone di resistenza. Cerca ora di avvicinarsi il più possibile, anche nello spazio fisico, alle  organizzazioni dell’Onu, per tentare di aprire un serio canale diplomatico. Proprio con i rappresentanti  della struttura sussidiaria delle Nazioni Unite, l’UNHCR, vincitrice per ben due volte del Nobel per  la pace negli ormai lontani anni 1954 e 1981, e che dovrebbe garantire e mobilitarsi per assicurare la  protezione internazionale di coloro che la cercano ed evitare che i rifugiati vengano spinti verso  situazioni di pericolo.

In Libia, paese politicamente instabile, dalla situazione molto complessa e non considerato luogo  sicuro, la stessa UNHCR stima che oltre 800.000 persone abbiano bisogno di aiuti umanitari2. Tra i  più vulnerabili vi sono libici sfollati, migranti e richiedenti asilo provenienti prevalentemente dal  Sudan, dalla Siria, Eritrea ed Etiopia, oltreché da Palestina, Somalia, Sud Sudan, Iraq e Yemen. Paesi attraversati da guerre o violenza endemica, ragioni per cui sono in attesa di essere evacuati verso  luoghi sicuri.
E proprio qui le voci dei profughi rimangano sostanzialmente inascoltate. Si lasciano indietro migliaia  di persone le cui testimonianze ci giungono attraverso la protesta iniziata a Tripoli e che rivelano  come l’importanza della missione dell’organismo intergovernativo sembra essersi affievolita perché  compressa da ben più pressanti interessi politici dell’Unione Europea e dei singoli Stati membri, con  l’Italia in prima linea.
Fermare cioè l’arrivo dei migranti, restringere i flussi a tutti i costi. Anche se per farlo si deve ricorrere  alla strategia dei respingimenti su procura, effettuati grazie alla Guardia costiera libica e a milizie  regolari o infiltrate, la criminalizzazione del soccorso e della solidarietà come avvenuto in questi  ultimi anni, la fornitura di motovedette, equipaggiamento elettronico e formazione militare. E a  dispetto di migliaia di vite umane, come restituito dall’ultimo report della missione indipendente del  Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite3, pubblicato nel giugno 2022, nel quale si afferma  che durante il suo mandato la Missione ha riferito di diffuse e sistematiche violazioni contro i  migranti.
Il documento riporta infatti che“sin dal suo primo rapporto, le indagini della Missione hanno fornito  una solida base per confermare che atti di omicidio, riduzione in schiavitù, tortura, imprigionamento,  stupro e altri atti disumani sono stati commessi contro i migranti. Mostrano anche che poco è stato  fatto dalle autorità libiche per riformare le loro pratiche e affrontare questi crimini, o dai loro  partner internazionali, tra cui Italia e Malta, che hanno accordi di cooperazione con la Libia nel  campo del controllo della migrazione.” 

Nonostante dunque anche la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite denunci tali violazioni e parli  di crimini contro l’umanità, si permette che l’Unione Europea, tramite l’agenzia Frontex e la missione  “Triton” che ha quale scopo lo sbarramento e il pattugliamento delle frontiere, unitamente ad accordi bilaterali come il Memorandum Italia-Libia, istituzionalizzi una politica di ‘cooperazione’ che pur di  realizzarsi interloquisce anche con criminali e trafficanti di esseri umani. Una politica che nutre ed  oscura con l’incessante retorica dell’emergenza e della ‘crisi dei migranti’ quello che rischia di essere già uno dei peggiori capitoli della storia europea.

Elena Coniglio

  1. https://www.refugeesinlibya.org.[]
  2. https://data.unhcr.org/en/country/lby.[]
  3. https://reliefweb.int/report/libya/report-independent-fact-finding-mission-libya-ahrc5063-advance-unedited version-enar.[]
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