Dalla sede dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, insediata nello storico edificio che sino al 1918 aveva ospitato gli uffici del Lloyd Austriaco di navigazione, lo scorso 18 novembre l’attuale occupante e direttore, Zen D’ Agostino ha fatto pervenire al CLPT [Coordinamento Lavoratori Portuali Trieste] una secca ed inequivocabile comunicazione di decadenza del Protocollo d’intesa che era stato firmato nel luglio del 2020, con il quale si riconosceva la sigla sindacale con le annesse prerogative di rappresentanza, competenza, e relative agibilità in quanto soggetto sindacale a tutti gli effetti… nonostante – e la vicenda dello sciopero del 18 ottobre col blocco del varco IV al Molo settimo ha evidenziato come la copertura a questa iniziativa sia stata data da un sindacato (FISI) che secondo l’art.17 della legge 300 non avrebbe nemmeno dovuto esistere. Già, ma chi controlla ormai tutta la zona grigia in cui si muovono, con estrema facilità e disinvoltura i professionisti della simulazione postmoderna e della distruzione “creativa” dei diritti del mondo del lavoro?
E’ un cono d’ ombra che andrebbe indagato cosi’ come per tutte le altre attività connesse al MdL e che si alimentano non solo della copertura “ideologica” prima che legislativa della Legge 30 /2002 di “liberalizzazione” e deregolamentazione dei rapporti di lavoro di cui si sono avvalse non solo le imprese ma anche la P.A, e di cui hanno patito le conseguenze soprattutto le giovani generazioni, private della certezza del futuro, e che oltretutto hanno concorso a produrre fenomeni degenerativi inquietanti ed esiziali per la democrazia del lavoro. Trieste è una delle città capitali del riciclaggio di denaro, c’ è un mercato illegale della forza lavoro nel l’edilizia, in presenza di un calo demografico dove oltre 20 mila giovani hanno lasciato la città negli ultimi dieci anni, etc.
Se quindi, nel caso della CLPT si confidava nel sostegno del Presidente… senza prima preavvertirlo del l’iniziativa nonostante il rapporto non solo di collaborazione ma di comprensione esistente tra le parti dopo la vicenda del giugno scorso quando non solo i portuali ma tutta la città era scesa in piazza per difendere la rimozione di Zeno D’Agostino, vittima di una macchinazione tendente a contestarne la rielezione mentre fervevano le manifestazioni di interesse per il ritrovato e rinnovato ruolo strategico del Porto Franco Internazionale e, in aggiunta, non si è tenuto nemmeno in conto quanto previsto dalla L.146/90 (sulla regolamentazione dello sciopero nei servizi ) si comprende che c’è qualcosa che non quadra.
Il CLPT, pur non essendo firmatario del contratto nazionale, ha nel porto di Trieste una consistente rappresentanza, oltre 300 iscritti, ed è pertanto il sindacato maggioritario, avendo la FILT CGIL e la CISL circa 200 iscritti) cadauna e poi l’USB (cui inizialmente il CPLT aveva aderito per poi distaccarsene 5 anni fa, portandosi appresso la stragrande maggioranza dei lavoratori prima iscritti), il quadro si completa infine sommando oltre mezzo migliaio di lavoratori non sindacalizzati. Ma sinora il CLPT è il primo sindacato nell’Agenzia del lavoro portuale -il soggetto ex articolo 17 della Legge sui porti del 1994 e con l’Agenzia il cui compito è anche quello di promuovere la formazione professionale dei lavoratori finalizzata all’acquisizione di tutti i titoli per potere condurre ogni tipo di macchina operatrice ed alla massima polivalenza nonché ad accrescere la sicurezza sul lavoro il CLPT aveva sempre avuto un regolare rapporto e sul tema della formazione si era dato da fare coinvolgendo soggetti sindacali, docenti ed esperti del settore, dell’Università e di Associazioni impegnate sui temi del lavoro, della salute e della sicurezza.
Come mai – allora- questa mobilitazione, questo improvviso protagonismo, con forme, modi e dichiarazioni d’ intenti, tanto spropositati quanto qualunquistici e che però hanno portato in piazza non solo tante persone, ma anche molti troppi interessi ed obiettivi che con la salute pubblica e il contenimento della pandemia c’entrano poco o nulla?
Abbiamo visto tutti le immagini in TV e tutti ora sanno – qualcuno lo ha detto scherzando, ma la situazione è estremamente seria -dove sia collocata geograficamente Trieste, ma in molti si chiedono come mai tutto ciò sia successo e come e perché tutto abbia avuto inizio proprio a Trieste?
La risposta non è semplice da dare e le ipotesi sono tante, forse è meglio dare ancora spazio alle domande, che sono tante e inducono a più retropensieri, sospetti e soprattutto dubbi. In una intervista di Radio Onda d’Urto, Paolo Deganutti, storico militante della sinistra extraparlamentare e titolare della Libreria Einaudi, nonché collaboratore di Limes, ha cercato di spiegare il suo punto di vista – lui era presente il 18 ottobre a Molo VII -avendo preso nota di quanto ha visto accadere: in quella manifestazione i portuali triestini di CLPT che avevano aderito allo sciopero erano una minoranza rispetto alle migliaia dei presenti, un centinaio di iscritti, ma non tutti costoro poi erano scesi in piazza, moltissimi invece i provenienti dal Veneto e dal vicino Friuli.
Oltretutto il blocco del porto di fatto non c’è stato ( a Trieste ci sono otto moli ed attrezzati con supporto ferroviario): su quattro varchi d’ingresso tre erano liberi, solo quello dove si trovavano i manifestanti, il varco 4, dove passano i TIR era oscurato e circondato dal cordone dei manifestanti, ma anche in quel caso gli autoveicoli venivano fatti passare! Quindi l’operatività del porto non ne ha risentito. Ed allora che dire? Al massimo si poteva parlare di un presidio. Ma è vero che, a differenza di altre realtà, dove le manifestazioni erano in gran parte frutto di spontaneismo (su cui la destra ha cercato di inserirsi per strumentalizzarne il percorso, qui a Trieste pochissimi erano i tricolori e gli elementi di destra che vi hanno partecipato erano pochi ed isolati.
Dunque ritorniamo alla domanda che siamo posti all’inizio di questa breve disamina: Cosa è successo negli ultime mesi all’interno del lavoro portuale? Non si parla più di formazione professionale? Ai lavoratori portuali non interessa quanto prevede Draghi sulla riscrittura della legge 84/94? Per Paolo Deganutti, ed anche per chi scrive questa nota, c’è stata nel CLPT una mutazione inspiegabile.
Le cui conseguenze non tarderanno a farsi sentire. E la lettera firmata digitalmente da Zeno D’Agostino in data 18/11 /2022 alle ore 16.41 mette la parola fine ad un rapporto non solo sindacale ma anche umano e politico che era stato alla base del rinnovamento dello scalo adriatico dopo decenni d immobilismo di cui aveva iniziato a beneficiarne tutta la città.
Ha scritto D’Agostino : “Le modalità di comunicazione dello sciopero e le modalità di effettuazione, come messe in atto da CLPT, risultano gravemente lesive de l’art.49 del CCNL Porti (“Codice di autoregolamentazione degli scioperi e procedure di raffreddamento e conciliazione”) in particolare nella parte in cui la disposizione prevede gli obblighi : a) di comunicare alle imprese portuali l’intenzione di avviare uno sciopero con un preavviso minimo di 10 giorni con l‘indicazione della motivazione, della data, della durata e del l’orario di astensione dal lavoro; b) di avere riguardo, nell’effettuazione dello sciopero, alla integrità ed alla sicurezza dei lavoratori, dell’utenza, degli impianti e dei mezzi, nonché; c) di assicurare mediante appositi accordi tra azienda-autorità portuale e R.S.A., la presenza del personale necessario, tra l’altro, a garantire la sicurezza degli impianti e la tutela del patrimonio aziendale”.
In conseguenza di ciò, per farla breve, tutto quanto sin qui prodotto dal “movimento” CLPT-NOGreen Pass si è trasformato in un boomerang contro i lavoratori e la città che vorrebbe cambiare e che, appunto, alle ultime elezioni non ha votato per l’attuale sindaco del centrodestra Roberto Dipiazza, pure riconfermato.
Il Protocollo d’Intesa sottoscritto tra lavoratori portuali e AdSPMAO [Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale] il 27 luglio 2020 adesso non esiste più e di conseguenza- altro che fine della “pace sociale” -i lavoratori avranno uno strumento in meno per far sentire le loro ragioni, e nella divisione tra lavoratori, nell’arretramento delle loro condizioni di lavoro sappiamo chi sarà a guadagnarci di più, ciononostante vale sempre la pena di porre al domanda, niente affatto retorica: cui prodest. E citare quanto è avvento qualche mese fa:
Il ritorno di un ex direttore del Porto, Maurizio Maresca, alla guida di Alpe Adria, società di logistica in forte crescita ed espansione che gestisce il traffico merci su gomma e rotaia da Trieste verso il suo hinterland mittel- e nordeuropeo. Un normale avvicendamento?
Noi qui a Trieste ricordiamo che quando Maresca fu posto alla presidenza de l’Autorità Portuale governava Berlusconi e chissà come, allora, egli da Presidente del l’AdsP di Trieste decise di affidare la gestione del Molo VII alla società slovena Luka Koper (!) operante nel porto di Capodistria, quindi – in teoria- una realtà concorrente, non solo: Maresca aveva dato carta bianca ad un architetto per blindare il Porto Vecchio (oggi in fase di recupero e riutilizzo come possibile sede di un parco ecoproduttivo ed altre attività di ricerca) come se si fosse trattato di un reperto dell’antica Roma… ed oggi ricompare. E come Direttore di Alpe Adria ha presenziato lo scorso settembre all’apertura di una sede a Budapest della società. Daltronde la realtà è questa, e ce la racconta Zeno D’Agostino: “L’incremento delle frequenze settimanali del collegamento ferroviario con Budapest, che oggi può contare su circa 14 circolazioni round-trip a settimana è un chiaro segno della sorprendente reazione positiva del mercato ungherese, frutto anche delle sinergie attivate con la Regione Friuli Venezia Giulia e della capacità degli operatori privati di servire le aree industriali e di consumo ungheresi,” insomma nonostante tutto c’è da guardare avanti, ma così facendo si turbano quegli equilibri, quei rapporti di potere, quelle consuetudini di controllo sociale e di comando che la destra ha sempre saputo esercitare nella città usando i metodi e le armi più diverse, dall’identitarismo nazionale, al revanscismo nazionalista, alla stessa retorica dannunziana, alle espressioni di odio antislavo, e via via sino al l’occupazione dei posti di potere, dalle cariche pubbliche ( l’attuale presidente della Camera di Commercio è stato rieletto per la quinta volta poco tempo fa) a quelle delle aziende ex municipalizzate: vi è la più completa spartizione tra le varie anime del centrodestra, mentre viceversa il centrosinistra arranca e non riesce a smarcarsi dalla subalternità al quadro nazionale ed a quello europeo dove il collante economico collide con una visione del mondo e con una pratica di gestione delle emergenze (economiche, sanitarie, climatiche) sinceramente esecrabile. Ma su questo versante c’è solo un assordante silenzio, e noi ci chiediamo come mai?