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Contro la privatizzazione della conoscenza per un movimento di liberazione globale

di Roberto
Rosso

Siamo inondati da articoli sugli effetti che l’intelligenza Artificiale (I.A.) avrà sulle nostre vite, questo avviene mentre le tecnologie digitali costituiscono una mediazione onnipresente nella nostra vita quotidiana. Come dice Teresa Numerico, noi viviamo, ci esprimiamo attraverso le tecnologie, ciò è sempre stato vero per l’Homo Sapiens, sin da quando cominciò ad utilizzare i primi utensili in pietra, col salto di qualità del neolitico. Si basa su considerazione simili chi afferma che siamo di fronte all’ennesima evoluzione delle tecnologie, che al loro primo apparire vengono demonizzate salvo poi accettarne le conseguenze ed anzi apprezzare la rivoluzione indotta nella vita quotidiana, nella riproduzione sociale.

Da alcuni decenni le tecnologie digitali costituiscono il cuore della trasformazione sociale, in base ad esse produzione e riproduzione sociale sono costellate di ‘oggetti intelligenti’ con cui noi interagiamo, per cui viviamo immersi in una rete di flussi informativi codificati, costantemente connessi ai nodi di questa rete.  La crescita esponenziale della capacità di trattare l’informazione, assieme alla portabilità dei dispositivi, grazie alla miniaturizzazione dei circuiti nei quali l’informazione viene manipolata, ha reso sempre più pervasiva e necessaria la mediazione di ogni attività e relazione tramite il ‘dispositivo digitale globale’.

Se le cose stanno così gli ultimi passaggi evolutivi della cosiddetta I.A., le tecnologie basate sulle reti neurali, sul cosiddetto deep learning stanno determinando un salto qualitativo in questa mediazione universale del digitale oppure siamo in continuità con quanto sta accadendo da decenni, negli ultimi dieci-venti in particolare?

In realtà l’I.A. nelle sue varie accezioni sta intervenendo profondamente da anni in tutti i processi mediati dalle tecnologie digitali, fondati su una gestione sempre più complessa, estesa e profonda di dati ed informazioni; il dato che viene visto come rivoluzionario è la capacità di ‘dialogare’, di rispondere ad  ogni sorta di domanda, facendo ricorso alle gigantesche basi di conoscenza presenti in rete, quanto  meno sino ad una certa data, laddove la risposta non è semplicemente un elenco di siti a cui accedere come tradizionale fa un motore di ricerca, ma proponendo in forma discorsiva la soluzione al problema , al risposta al quesito, con un alto livello di specializzazione, compresa la  costruzione di siti web o lo sviluppo di procedure, di routine in diversi linguaggi informatici. Un salto di qualità rispetto a dispositivi che siamo già abituati ad usare, le cosiddette chatbots, in grado di interloquire in modo discorsivo.

Il salto di qualità, se è tale, consiste nel mediare più in profondità e quantomeno mimando la produzione, lo scambio di conoscenze; la rielaborazione di un corpus di testi, di linguaggi diversi non appare più prerogativa di un soggetto umano, per quanto assistito nella sua ricerca di informazioni e conoscenze, da dispositivi digitali. Si è giustamente sottolineato il fatto che quanto più va in profondità la rielaborazione di un corpo di conoscenze pregresse e cresce in complessità tanto più pericolose sono le cosiddette ‘allucinazioni’ dell’I.A. -le cantonate potremmo dire. Quintarelli nella sua intervista, citata in un precedente articolo, sottolinea la difficoltà di raccogliere e mettere informa correttamente informazioni sempre più specifiche su un determinato oggetto di inchiesta. Il primo interrogativo che nasce è quali funzioni lavorative, attività sino ad ora prerogativa di attori umani, possano essere sostituite -sia pure con forme di controllo opportune- dalle nuove procedure dell’I.A., in realtà il tema di fondo è quello della conoscenza, della sua produzione e condivisione, l’accesso ad essa come fattore primario della lotta alle diseguaglianze, della partecipazione delle popolazioni ai processi decisionali.

Il processo che vediamo affermarsi con questi ulteriori salti tecnologici è la concentrazione del potere nel determinarne l’avvento, l’evoluzione e l’utilizzo, non che manchino reazioni a questo ulteriore evoluzione del dominio sulla conoscenza – abbiamo parlato dell’open source in questo campo- ma contro di esse pesa la disparità delle risorse messe in campo, la capacità di sussumere e mettere a valore comunque processi di cooperazione sociale che nascono liberi da vincoli e padroni; ne abbiamo già avuto esempi significativi nei decenni passati.

In gioco c’è la privatizzazione della conoscenza come motore del processo dii accumulazione. Oltre ai rischi connessi ai nuovi software generativi c’è la riduzione di utenti di un servizio che si pone come mediatore universale della conoscenza universale. Negli ultimi decenni la visione utopica nei confronti delle tecnologie digitali come fattore di liberazione, in termini di riduzione delle diseguaglianze, libero accesso alla conoscenza, liberazione del tempo di vita dal tempo di lavoro, ebbene questa visione si è scontrata con la dura realtà dei vincoli prodotti dalla subordinazione al processo di valorizzazione del capitale. Una nuova stratificazione sociale si è prodotta, contro cui si è infranto il progetto, la visione, l’analisi che vedeva nella nuova forza lavoro le cui funzioni sono caratterizzate da un sempre maggior contenuto informativo, di conoscenza, il soggetto di un nuovo processo di liberazione. La stratificazione sociale a livello nazionale, regionale e globale, la mappa globale della divisione del lavoro, ha prodotto l’isolamento di queste istanze ‘rivoluzionarie’. La rivoluzione dall’alto del capitale sino ad ora ha prevalso.

Massimo Florio nel suo testo ‘La privatizzazione della conoscenza1 così riassume questo processo.

“Si mettono in moto processi cumulativi che possono diffondersi nell’economia in modo ampio e capillare o concentrarsi in punti del sistema. L’oligopolio dei nostri tempi è essenzialmente un addensamento locale di conoscenze e innovazioni diffuse, intorno a cui sono state montate scommesse finanziarie vincenti”.

In questo enunciato si evidenza anche il nesso tra il processo di finanziarizzazione dell’economia e la messa a valore, il processo di sussunzione di attività di ricerca ed innovative che pervadono la società. Noi sappiamo che questo processo di messa a valore ha conseguenze anche sulla distribuzione territoriale delle attività e degli insediamenti, con la formazione e la rivoluzione degli assetti urbani e territoriali, dove i processi di spillover, di contagio, di permeabilità dei diversi settori ai flussi di conoscenza, si coniugano con quelli di concentrazione. Alla dimensione strutturale dei processi di innovazione, alla forza delle dinamiche trasformative si associa la dinamica di quella che Florio chiama l’economia casinò.  Del resto Quintarelli nella sua intervista2 aveva sottolineato la rilevanza dei meccanismi puramente finanziari nel determinare le scelte, in termini di riduzione del personale, da parte delle Big Tech della Silicon Valley.

In un altro passaggio a proposito dell’uso dei brevetti Florio esemplifica come segue. “Un modo grossolano di misurare questo impatto è vedere nelle banche dati dei brevetti le citazioni che un brevetto fa di un articolo scientifico. Si scopre così che i risultati della ricerca fatta a Grenoble, come nelle decine di altre infrastrutture di ricerca analoghe, pubblicamente disponibile in milioni di pagine di articoli scientifici, contribuiscono ai brevetti depositati dalle imprese, cioè alla appropriazione legale privata dei benefici economici derivanti da un servizio gratuitamente reso da una infrastruttura pubblica alla comunità scientifica.”

I dati messi a disposizione nel testo sul finanziamento pubblico della ricerca e l’appropriazione privata del prodotto finale sono molti e significativi e suggerirebbero una modifica sostanziale del ruolo del pubblico nelle attività di ricerca che contribuisce in modo sostanziale a finanziare.

La comunità scientifica non è certamente estranea alla critica dell’attuale modo di produzione e sociale  e appropriazione privata della conoscenza, entro un percorso di creazione della cosiddetta Big Science.

Forse, se si facessero bene i conti, il contributo pubblico alle spese globali di R&S in tutte le sue forme potrebbe essere più vicino alla metà che ad un terzo. Questa scala era impensabile ai tempi di Marx, ma anche ai tempi di Keynes e di Schumpeter. Per quanto soprattutto in Germania le università e le società scientifiche fossero già forti alla fine del XIX secolo, l’organizzazione ed i finanziamenti della produzione di conoscenza alla scala attuale è essenzialmente un fenomeno che decolla in modo iniziale con la Prima guerra mondiale, si afferma alla fine della Seconda guerra e prende (letteralmente) il volo con la Guerra fredda: la scienza diventa Big Science con la corsa alle armi nucleari e ai loro vettori, con i sistemi radar, i computer, i satelliti, le missioni spaziali, la ricerca biomedica pubblica. Il numero di scienziati e di ricercatori cresce a dismisura. Con le dimensioni cresce anche la fiducia degli scienziati nell’utilità sociale del loro lavoro. Soprattutto in Europa si affermano comunità sovranazionali, in grado di convincere i governi a finanziare agende di ricerca sganciate dall’apparato militare-industriale. Nasce una nuova narrazione. La scienza non deve più giustificarsi (esclusivamente) per ragioni militari e di missioni strategiche nazionali.”

L’analisi di Florio produce delle proposte, anche sulla base di esperienze in corso, per rompere gli oligopoli della conoscenza e della tecnologia, proposte che richiederebbero un ribaltamento dei meccanismi che si sono strutturati attorno ai processi di innovazione come motore dell’economia.

“Vi è poi un aspetto più sottile, ma non meno importante, che rende difficile la tassazione di extraprofitti che derivino specificamente dalla privatizzazione della conoscenza: l’estrema difficoltà di scorporare nei bilanci delle imprese la componente di rendita derivante dalla ricerca pubblica da quella derivante da innovazioni a valle sostenute da R&S privata. (…)

I cittadini in larga misura finanziano con le imposte la produzione di conoscenza attraverso la spesa pubblica per la ricerca scientifica, per l’istruzione, per il sostegno diretto e indiretto alla R&S delle imprese. A fronte di questi costi sociali, i benefici finiscono con l’essere catturati in larga misura nella forma di valorizzazione del capitale di imprese oligopolistiche private. (…)

Ad esempio, se si concede alle imprese farmaceutiche di usufruire senza condizioni sia della ricerca pubblica sia della formazione dei ricercatori nelle infrastrutture pubbliche e nelle università sia di finanziamenti diretti e sconti fiscali per la loro parte di spese di R&S, ed infine si concede loro il monopolio legale per venti anni sui farmaci, diventa poco fattibile a quel punto cercare di indebolire il loro potere di mercato e profittabilità con politiche correttive ex post.”

Tutta la vicenda della produzione dei vaccini contro il virus Sars-Cov-2 dimostra da un lato la straordinaria competenza, la complessità delle basi di conoscenza e delle infrastrutture tecnologiche prodotte negli ultimi decenni, dall’altro la forza degli oligopoli, di Big Pharma in questo caso, nell’appropriarsi del processo di produzione sociale della conoscenza. Di questa vicenda è stata fatta una esauriente e documetata analisi tradotta ne report Mapping of long-term public and private investments in the development of COVID-19 vaccines3

Il Forum diseguaglianze e Diversità ha prodotto un manifesto ‘Liberare la conoscenza per ridurre le diversità4, presentato il 12 aprile alla fondazione Lelio Basso che così afferma.

“Le profonde trasformazioni indotte nella società contemporanea dalla quarta rivoluzione industriale, in particolare quelle che aumentano esponenzialmente le capacità di estrazione, raccolta ed elaborazione dei dati (big data, super calcolo, intelligenza artificiale), ci pongono una sfida cruciale in termini di giustizia sociale e democrazia. Una sfida il cui esito dipende dal modo in cui governeremo la diffusione e l’uso della conoscenza nella transizione digitale: da un lato, può essere l’occasione per un miglioramento diffuso delle condizioni materiali e sociali delle persone; dall’altro, essa può condurre ad una concentrazione monopolistica della conoscenza e del controllo dei dati senza precedenti, con un grave peggioramento delle disuguaglianze. La biforcazione che abbiamo davanti tra un uso democratico o autoritario della conoscenza è dovuta alla sua natura non rivale: ad essa potremmo attingere tutti contemporaneamente, senza che il beneficio per l’uno comporti la rinuncia di altri; se però l’accesso al sapere viene privatizzato a vantaggio di una minoranza, ecco che questa nuova rivoluzione industriale rischia di erodere la democrazia, ridurre la libertà sostanziale delle persone, distruggere posti di lavoro senza crearne di nuovi e con maggiore qualità, aumentare la polarizzazione della società tra chi ha sempre di più (risorse, sapere, potere…) e chi sempre di meno. (…)

Il cambiamento di rotta è urgente. Il mito del digitale e di ogni cambiamento tecnologico come neutrale ha, nei fatti, lasciato campo libero ad una concentrazione del controllo sulla conoscenza lesivo delle libertà, ella democrazia e dell’uguaglianza. Dinamica amara e paradossale se pensiamo che le stesse nuove tecnologie permetterebbero, viceversa, una diffusione sempre più ampia della conoscenza e la partecipazione di un numero di persone sempre maggiore alla produzione di nuovi saperi e all’assunzione di decisioni giuste.”

Le nuove tecnologie dell’I.A. rappresentano contemporaneamente rischi straordinari e straordinarie opportunità, ma allo stato attuale delle cose non possono che essere iscritte nel processo di appropriazione privata della conoscenza, contribuendo anzi a rafforzarlo come motore degli attuali rapporti di produzione. Non si intravvede alcun orizzonte salvifico, mentre incombono realtà e orizzonti catastrofici, su cui ci siamo già abbondantemente dilungati, tuttavia esistono e sono radicate in ambiti diversi, globalmente diffuse istanze di critica radicale a questo stato di cose. La connessione di queste istanze, dei soggetti che ne sono portatori  non è impresa facile, ma proprio la struttura attuale dei processi di creazione e condivisione della conoscenza di comunicazione sociale, di contro a quelli di appropriazione privata, l’esistenza di molteplici reti e luoghi di confronto, forse sono in grado di organizzare e condurre globalmente la lotta contro gli oligopoli della conoscenza, che sono peraltro interni a tutti i meccanismi di potere e di dominio, nei diversi regimi politici.

Questo è il contesto nel quale intendiamo approfondire l’analisi degli sviluppi attuali e futuri delle tecnologie digitali, dell’I.A. in particolare. Su di essi anche dal punto nel geo-politico, dei rapporti di forza a livello globale caratterizzati da radicali trasformazioni, porteremo l’analisi, cercando di condividerla e condurla entro un’ampia attività collaborativa.

Roberto Rosso

 

  1. La privatizzazione della conoscenza -collana tempi Nuovi – Laterza  []
  2. https://centroriformastato.it/non-ce-crisi-tecnologica-nella-silicon-valley/  []
  3. https://www.massimoflorio.com/events/post/mapping-of-long-term-public-and-private-investments-in-the-development-of-covid-19-vaccines/   – Questo studio fornisce una mappatura dei fondi forniti da diversi attori per la R&S sui vaccini e per l’espansione della capacità produttiva dei vaccini COVID-19, con particolare attenzione all’UE. Lo studio valuta la necessità di continuare a sostenere pubblicamente la R&S sui vaccini. Inoltre, dopo aver evidenziato gli attuali fallimenti del mercato, lo studio discute possibili nuovi meccanismi di incentivazione nell’interesse pubblico per la ricerca e lo sviluppo dei vaccini, progettati per garantire equità e accessibilità, nonché premi in linea con i rischi. []
  4. https://www.vita.it/it/article/2023/04/12/innovazione-liberare-la-conoscenza-per-ridurre-le-disuguaglianze/166406/   []
finanziarizzazione, Intelligenza artificiale, privatizzazione
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