Dall’inizio della guerra in Ucraina 14 mesi fa, abbiamo assistito ad una forte accelerazione dell’allontanamento di molti dei più grandi paesi – come Cina, Brasile, India, Messico, Indonesia e Sud Africa –, ma anche di tanti altri paesi più piccoli del Sud del mondo, dalle posizioni di politica internazionale sostenute da Stati Uniti e dai loro stretti alleati (paesi europei, Giappone, Sud Corea, Australia, Canada ecc.). Si è messo in moto un dibattito sulla possibilità concreta di costruire un fronte dei paesi del Sud globale e una nuova architettura per un nuovo ordine mondiale multipolare e multilaterale alternativo a quello occidentale. Ciò che è chiaro è che la maggior parte dei paesi del Sud globale, nonostante le grandi differenze nelle tradizioni politiche dei rispettivi governi, sempre più ritengono che l'”ordine internazionale basato sulle regole” degli Stati Uniti non sia più in grado di esercitare l’autorità e il dominio che aveva in passato1.
Un processo di cambiamento degli equilibri geopolitici e geoeconomici globali che si dipana all’interno dello scontro per l’egemonia globale tra Stati Uniti e Cina, giocato su piani multipli (diplomatico, militare, finanziario, monetario, tecnologico, controllo delle catene globali di approvvigionamento e delle materie prime strategiche ecc.). Entrambi i contendenti stanno cercando di ampliare e rafforzare le loro alleanze. Attualmente gli Stati Uniti incontrano grandi difficoltà ad andare oltre i circa 50 Stati che hanno accettato di aiutare finanziariamente e militarmente l’Ucraina e di imporre sanzioni economiche alla Russia2. Anche tradizionali alleati mediorientali (come Israele e Arabia Saudita), latinoamericani (di una regione tradizionalmente sotto l’influenza degli Stati Uniti, in linea con la “dottrina Monroe” del 1823) e africani3 hanno deciso di assumere la postura di paesi non allineati nel conflitto4. Ma anche un paese europeo come la Francia ha recentemente preso le distanze dagli Stati Uniti sulla questione di Taiwan, rivendicando per sé stessa e l’Unione Europea la necessità di percorrere la strada di un’autonomia strategica (si veda il nostro articolo qui).
La Cina porta avanti la sua strategia in modo molto accorto, pacifico5, pragmatico e graduale (si veda il nostro articolo qui), facendo leva su investimenti economici e scambi commerciali. Piuttosto che cercare di generare ulteriori poli di potere – sulla scia degli Stati Uniti – e costruire un mondo “multipolare“, la Cina propone la costituzione di un ordine mondiale “multilaterale” radicato nei principi della Carta delle Nazioni Unite (per cui gli Stati Uniti non sarebbero altro che uno tra i 193 Stati membri), nonché la costruzione di forti sistemi di sviluppo e commercio regionale – BRICS6, Shanghai Cooperation Organization (SCO)7, Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici (CELAC)8 e la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP)9.
Le proposte cinesi sembrano avere un forte appeal perché tese a dare vita ad un nuovo internazionalismo che dovrebbe fare leva sul rispetto reciproco tra paesi (nessuna interferenza nella politica interna) e sulla forza dei sistemi commerciali regionali, delle organizzazioni di sicurezza e delle formazioni politiche condivise. Incontrano l’interesse dei paesi del Sud globale profondamente frustrati per la pessima gestione della globalizzazione da parte dell’Occidente dalla fine della Guerra Fredda10. Inoltre, la Cina offre un approccio win-win sul piano economico ed è ormai diventato il più grande partner commerciale di oltre 120 paesi in tutto il mondo.
Nell’ultima settimana, con la visita del presidente Lula in Cina, è diventato evidente che nel percorso per l’istituzione di un nuovo ordine globale il Brasile di Lula è destinato ad essere un partner strategico della Cina di Xi.
Dopo aver proclamato che “il Brasile è tornato” subito dopo essere stato eletto (novembre 2022), assegnandosi il compito di riparare la reputazione all’estero del suo paese dopo gli anni di antagonismo e isolamento di Jair Bolsonaro, appena insediato Lula aveva fatto visita a Biden a Washington, sostenendo di voler avere buone relazioni con gli Stati Uniti. Si è trattato per lo più di un gesto simbolico teso a ringraziare Biden per aver contribuito a difendere la democrazia brasiliana durante le recenti turbolenze (il tentativo di colpo di Stato dei bolsonaristi a gennaio). Ma, nonostante il suo governo si sia associato alla condanna dell’invasione russa all’ONU, ha anche dato credito all’argomento secondo cui la Russia ha subito un torto. Ha seccamente respinto le pressioni USA e tedesche per fornire armi all’Ucraina, perché intende essere un mediatore credibile per entrambe le parti. Lula ha da tempo lanciato l’idea della creazione di un gruppo di paesi neutrali ed equidistanti (con Colombia e Messico), che possano fare da mediatori per la pace. Già durante la campagna elettorale e poi dopo il suo insediamento, attraverso il nuovo ministro degli esteri, ha rifiutato la lettura manichea del conflitto sulla quale sono allineati la quasi totalità dei mezzi d’informazione dei paesi NATO. Di recente, Lula ha suggerito all’Ucraina di prendere in considerazione la possibilità di rinunciare alla Crimea per raggiungere la pace e, parlando ai giornalisti in Cina, ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare a “fermare la guerra” e che l’Unione europea “deve iniziare a parlare di pace in modo da convincere Putin e Zelensky che la pace interessa a tutti e che la guerra per il momento interessa solo a loro“. Affermazioni che hanno provocato la stizzita reazione del portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti John Kirby: “In questo caso, il Brasile sta ripetendo a pappagallo la propaganda russa e cinese senza guardare ai fatti“, ha detto, aggiungendo che i commenti di Lula erano “profondamente problematici” e fuori bersaglio “suggerendo che gli Stati Uniti e l’Europa in qualche modo non sono interessati alla pace, o che condividiamo la responsabilità della guerra“.
Il Brasile di Lula si erge a potenza regionale e si disallinea dalle tensioni fra Oriente e Occidente. Lula vuole rilanciare il Brasile come paese leader del Mercosur, del Sudamerica e dei paesi dell’emisfero Sud, ma anche come un protagonista dei “non allineati” o della “terza via” nel conflitto aperto tra Mosca e il blocco europeo-statunitense.
Nella sua visita in Cina dal 12 al 16 aprile (la sua terza da presidente), Lula ha chiarito di voler portare avanti una politica estera sempre più autonoma da quella statunitense. È stato accompagnato da una foltissima delegazione di ministri, governatori, deputati, senatori e oltre 250 imprenditori (molti dei quali dell’agrobusiness e dell’allevamento da carne, la stragrande maggioranza dei quali sono stati convinti sostenitori di Bolsonaro), Lula ha confermato la volontà di mantenere ottimi rapporti con la Cina. Sono stati firmati circa una ventina di accordi economici e di cooperazione tra i due paesi (nell’agroalimentare, scienza e tecnologia, istruzione e cultura, portualità e infrastrutture, aerospazio11, cambiamento climatico) e si è discusso dell’adesione del Brasile alla Belt and Road Initiative. D’altra parte le relazioni economiche tra i due paesi si sono notevolmente intensificate negli ultimi anni e la Cina è già il più grande mercato di esportazione del Brasile (da 14 anni), con un commercio bilaterale che ha superato i 171 miliardi di dollari nel 2022 (contro gli 88 con gli USA), con il Brasile che principalmente esporta in Cina prodotti come soia, ferro e suoi derivati, petroliferi, zucchero, cotone, cellulosa e soprattutto carni bovine. Il Brasile è oggi il maggior destinatario di investimenti cinesi in America Latina (il 48% degli investimenti cinesi in America Latina tra il 2007 e il 2020 sono finiti in Brasile12), trainati dalla spesa per linee di trasmissione elettrica ad alta tensione e per l’estrazione di petrolio. La Cina è la principale fonte di importazioni di apparecchiature meccaniche ed elettriche del Brasile, rappresentando il 53% delle importazioni del paese di parti elettriche e meccaniche, e sono state poste le basi per la cooperazione tecnologica per promuovere il potenziamento dei settori manifatturieri brasiliani, come il settore dei veicoli elettrici, con la casa automobilistica BYD che dovrebbe far rivivere una fabbrica nello stato di Bahia che un tempo era uno stabilimento della Ford13.
Lula (come Xi) ha bisogno di contare su un’economia in buona salute per riprendere quelle politiche sociali e di attenuazione della povertà che avevano rappresentato la parte più significativa dei suoi due precedenti mandati (2003-2011). Politiche interne completamente abbandonate, come quelle contro la deforestazione in Amazzonia e nel Cerrado, e il cambiamento climatico, con la disastrosa presidenza di Bolsonaro.
Nell’incontro tra Xi e Lula a Pechino il 14 aprile è stato suggellato un asse politico Brasile-Cina, una partnership strategica14, attorno alla quale potranno aggregarsi altri paesi del Sud America (Uruguay, Argentina e Colombia), Africa (Sud Africa e Nigeria), Medio Oriente (Turchia, Iran e paesi del Golfo), Asia (Indonesia e Malaysia) e delle isole del Pacifico. Secondo Xi, la Cina vede e sviluppa le relazioni con il Brasile da una prospettiva strategica e di lungo termine. Poiché la Cina persegue uno sviluppo di alta qualità e un’apertura di alto livello nella sua modernizzazione, ciò offrirà maggiori opportunità per il Brasile e il resto del mondo, ha affermato. Xi ha invitato le due parti a mantenere frequenti comunicazioni strategiche, approfondire la cooperazione pratica e realizzare più scambi e cooperazione orizzontale (people-to-people). Ha anche affermato che è necessario che Cina e Brasile si considerino reciprocamente come la loro rispettiva importante opportunità di sviluppo, per sostenersi a vicenda nell’intraprendere il rispettivo percorso di sviluppo che soddisfi le condizioni interne e per sostenere congiuntamente i paesi in via di sviluppo nel rafforzare il coordinamento. Di fronte a cambiamenti mai visti in un secolo, la Cina e il Brasile devono stare dalla parte giusta della storia, praticare il vero multilateralismo e promuovere un sistema di governance globale più equo e giusto al fine di costruire insieme una comunità con un futuro condiviso per l’umanità, ha affermato Xi.
Dal canto suo, durante la sua visita in Cina, Lula ha:
– difeso l’ambizione cinese di riorientare la geopolitica e di superare la supremazia statunitense. “I nostri interessi nelle relazioni con la Cina non sono solo commerciali. Abbiamo interessi politici comuni, abbiamo interesse a costruire una nuova geopolitica comune che modifichi la governance mondiale e a dargli una rappresentanza adeguata alle Nazioni Unite”, ha detto durante l’incontro a Pechino con Zhao Leji, presidente dello Standing Committee del Congresso Nazionale del Popolo. Posizione che ha causato reazioni negli Stati Uniti. Il Washington Post ha definito quella di Lula una posizione “contro la politica occidentale”, un “approccio alla politica estera che dà priorità al pragmatismo e al dialogo, e mostra poca preoccupazione se questo va contro gli interessi di Washington o dell’Occidente”. Prima che vedesse Xi a Pechino, l’articolo ha elencato le “colpe” commesse da Lula: “Nei suoi primi mesi in carica, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha rifiutato di unirsi al presidente Biden nel condannare l’invasione russa dell’Ucraina, ha permesso alle navi da guerra iraniane di attraccare a Rio de Janeiro e ha inviato un consigliere anziano per incontrare l’uomo forte venezuelano Nicolás Maduro”;
– criticato l’uso diffuso del dollaro e chiesto la creazione di una moneta unica per il blocco BRICS. “Perché tutti i Paesi hanno bisogno di commerciare con il dollaro? Perché non possiamo commerciare con le nostre valute? Chi ha deciso che debba essere il dollaro?“15, ha chiesto Lula durante la cerimonia di insediamento di Dilma Rousseff (ex-presidente del Brasile dal 2011 al 2016) come presidente della Nuova Banca di Sviluppo (NDB) dei BRICS, creata da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica nel 2016 con un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari, alla quale ora hanno aderito Bangladesh, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Uruguay, mentre altri paesi sono in procinto di aderire (tra questi Argentina, Messico, Algeria e, in particolare, Arabia Saudita);
– attaccato Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale per aver imposto le loro regole di austerità e le cosiddette “riforme strutturali” ai Paesi in via di sviluppo. A questo proposito, Lula ha sottolineato che la Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS, come il Contingent Reserve Arrangement (anch’esso creato dai BRICS con un capitale di 100 miliardi di dollari nel 2016), sono delle alternative a Banca Mondiale e FMI, poiché, a differenza di questi istituti, non imporranno condizioni “capestro” o altri severi requisiti politici per prestare denaro (spesso giustificati con il pretesto dei diritti umani e della democrazia, sebbene interamente correlati alla privatizzazione e all’apertura dei mercati per gli investitori stranieri occidentali). L’ambizione della NDB è di diventare la banca di riferimento del Sud globale, disposta a finanziare vari progetti delle economie emergenti in valuta nazionale (almeno il 30% dei prestiti), senza imporre un’agenda politica, e guidata dal principio dell’eliminazione della povertà16;
– visitato il centro di innovazione di Huawei Technologies a Shanghai, il gigante tecnologico delle tecnologie digitali e di comunicazione leader mondiale nel settore del 5G e 6G che le amministrazioni statunitensi e molte altre dei paesi occidentali hanno escluso dai loro mercati (gli USA lo hanno inserito nella Entity List in quanto considerato una minaccia alla sicurezza nazionale). Una visita che, come ha riferito Bloomberg, avrebbe potuto “infastidire gli Stati Uniti“. Lula ha dichiarato in pubblico che la sua visita a Huawei è stata “una dimostrazione che vogliamo dire al mondo che non abbiamo pregiudizi nei nostri rapporti con i cinesi“. Da anni, Huawei svolge attività commerciali in Brasile e nel 2021 ha vinto una gara d’appalto per la fornitura di apparecchiature per l’implementazione della tecnologia 5G in tutto il Brasile. Cina e Brasile hanno concordato di istituire un gruppo di lavoro per perseguire la cooperazione sui semiconduttori e per facilitare l’installazione di una fabbrica cinese di semiconduttori in Brasile.
Il 17 aprile, mentre Lula era in visita negli Emirati Uniti (dove ha siglato altri accordi commerciali e d’investimento), è arrivato a Brasilia il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, per colloqui con il suo omologo brasiliano, Mauro Vieira17. Brasilia è stata la prima tappa di un tour latinoamericano che ha portato Lavrov in Venezuela, Cuba e Nicaragua, baluardi del sentimento anti-statunitense nel continente. Dopo aver incontrato Vieira, Lavrov ha dichiarato: “Siamo grati ai nostri amici brasiliani per la loro chiara comprensione della genesi della situazione [in Ucraina]. Siamo grati per il loro desiderio di contribuire a trovare modi per risolvere questa situazione”. Ma il governo ucraino ha subito criticato Lula per i suoi sforzi nel mediare un accordo di pace tra Kiev e Mosca, accusandolo di dare uguale peso a “vittima e aggressore“, e lo ha invitato a visitare il paese devastato dalla guerra e vedere di persona le conseguenze dell’invasione russa. A questo punto Lula ha dovuto denunciare la “violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina“. “Mentre il mio governo condanna la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, sosteniamo una soluzione politica negoziata al conflitto“, ha detto Lula in un discorso dopo il suo incontro con il presidente rumeno Klaus Iohannis. Ha spiegato di aver espresso a Iohannis “preoccupazione” per le “conseguenze globali” della guerra “in termini di sicurezza alimentare ed energetica, soprattutto nelle regioni più povere del pianeta”.
Le visite di Lula in Cina e quella di Lavrov a Brasilia fanno parte del rilancio diplomatico che Lula ha perseguito da quando è tornato al potere. Viera sostiene che il Brasile vuole ricostruire e mantenere i legami con tutti i partner, indipendentemente dalle tensioni geopolitiche in corso, seguendo un approccio pragmatico: i principali partner commerciali del Brasile sono la Cina e gli Stati Uniti, mentre fa molto affidamento sulla Russia per le importazioni di fertilizzanti18. Come ha detto Celso Amorim, il principale consigliere di Lula in politica estera, ad un intervistatore cinese, “Posso citare uno dei vostri leader: Non ci importa se il gatto è bianco o nero, a patto che catturi i topi. … Siamo pronti a lavorare con gli Stati Uniti e con la Cina. Cercheremo sempre l’offerta migliore e quella economicamente più conveniente e che possa rispondere alle nostre esigenze. Non credo che dovrebbe creare problemi perché siamo aperti. Quindi non è una questione di ideologia. Il commercio e gli investimenti dovrebbero essere completamente liberi dall’ideologia”.
Ci vorrà del tempo per capire se Lula sarà in grado di mantenere una rotta, comunque difficile, nel mare agitato delle relazioni internazionali, riuscendo a difendere l’interesse nazionale (un tema che interessa anche agli imprenditori dell’agrobusiness e ai bolsonaristi) all’interno di un ordine internazionale multilaterale. Certo, dovrà districarsi tra Cina e Stati Uniti, cercando volta per volta di trovare un equilibrio. Dal punto di vista politico ha come punti di forza il fatto che l’amministrazione Biden considera il suo principale avversario politico, Bolsonaro, detestabile, e al tempo stesso che la partnership strategica con la Cina può funzionare come una assicurazione contro eventuali minacce, interventi sgraditi o boicottaggi da parte degli Stati Uniti.
Alessandro Scassellati
- Ciò a cui si riferisce l’ordine internazionale basato sulle regole dell’amministrazione Biden non è il sistema delle Nazioni Unite, e nemmeno il diritto internazionale, ma piuttosto il sistema delle istituzioni economiche, politiche e militari (FMI e Banca Mondiale, vari accordi commerciali internazionali stipulati da Washington tra cui l’Organizzazione mondiale del commercio, il sistema di cambio basato sul dollaro, la NATO e la rete di circa 800 basi militari e alleanze statunitensi che si estendono in tutto il mondo) che definiscono gli Stati Uniti come un sistema imperiale. Queste strutture hanno avuto origine dopo la seconda guerra mondiale e hanno avuto un ulteriore impulso nell’immediato dopoguerra e con l’avvento dell’ordine mondiale unipolare dominato dagli Stati Uniti. Si veda il nostro articolo qui.[↩]
- Biden parla di multilateralismo in relazione ad una coalizione occidentale delle “democrazie” che si dovrebbe contrapporre alle “autocrazie”, ma nei fatti si tratta di un multilateralismo ristretto (ai paesi a maggioranza di pelle bianca, oltre a Corea del Sud e Giappone), sotto lo stretto dominio americano e gestito attraverso la NATO e altre alleanze a guida USA. Anche l’Unione Europea è stata sacrificata sul piano politico ed economico sull’altare dell’obiettivo di indebolire la Russia (che prima della guerra in Ucraina era il suo principale fornitore di combustibili fossili – gas e petrolio – e altre materie prime a basso costo, ora in parte sostituiti dal gas liquefatto statunitense comprato a prezzi ben più alti), cercando anche di spingerla contro la Cina (il principale partner economico del blocco). Biden usa la retorica dei diritti umani, ma in modo molto selettivo per quanto riguarda i paesi target, mentre continua ad adottare la politica di Trump dei respingimenti in materia di immigrazione e di accoglienza dei richiedenti asilo. In una serie di votazioni delle Nazioni Unite dall’inizio della guerra, circa 40 paesi che rappresentano quasi il 50% della popolazione mondiale si sono regolarmente astenuti o hanno votato contro le mozioni che condannavano l’invasione russa. 58 paesi si sono astenuti dal voto, nell’aprile 2022, per espellere la Russia dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Secondo l’Economist Intelligence Unit, due terzi della popolazione mondiale vive in paesi ufficialmente neutrali o favorevoli alla Russia. Questi paesi non formano una sorta di asse dell’autocrazia; includono diverse importanti democrazie, come Brasile, India, Indonesia e Sud Africa.[↩]
- A seguito di un incontro tra il presidente Biden e 40 leader africani alla Casa Bianca lo scorso dicembre, fu chiaro che i paesi africani non erano interessati a prendere posizione nella guerra in corso in Ucraina. Di conseguenza, il 26 marzo la vicepresidente Kamala Harris è volata in Africa per incontrare alcuni leader africani, con l’unico scopo di allontanarli da Cina e Russia. Uno sforzo che rischia di fallire. Un esempio perfetto del rifiuto dell’Africa di abbandonare la sua neutralità è stata la conferenza stampa tra Harris e il presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo, il 28 marzo. “Potrebbe esserci un’ossessione in America per l’attività cinese nel continente, ma non esiste ossessione qui“, ha detto Akufo-Addo ai giornalisti.[↩]
- Come aveva affermato Macron alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di febbraio, “sono colpito da come abbiamo perso la fiducia del Sud del mondo“. La convinzione occidentale circa la guerra e la sua importanza è accompagnata altrove da scetticismo nel migliore dei casi e disprezzo assoluto nel peggiore dei casi. Una questione di recente trattata con preoccupazione da Foreign Affairs in una serie di articoli – vedi qui, qui, qui, qui e qui.[↩]
- L’enorme aumento di potere economico non è stato accompagnato da una espansione della presenza militare. All’estero la Cina ha soltanto una base militare navale, a Gibuti, alle porte del Canale di Suez, dove ci sono anche le basi militari USA, italiana, turca ed emiratina.[↩]
- BRICS è l’acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. È stato coniato dal Chief Economist di Goldman Sachs nel 2001, come riferimento alle economie emergenti del mondo. Allora era noto come BRIC, con la “S” aggiunta successivamente, quando il Sud Africa si unì formalmente al gruppo nel 2010. Argentina, Iran e Algeria hanno chiesto formalmente di entrare a far parte del blocco allargato BRICS+ e, secondo il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, altre nazioni interessate includono Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Messico e un certo numero di paesi africani.[↩]
- La SCO è un’organizzazione politica, economica, internazionale di sicurezza e difesa eurasiatica. È la più grande organizzazione regionale del mondo in termini di estensione geografica e popolazione, coprendo circa il 60% dell’area dell’Eurasia, il 40% della popolazione mondiale e oltre il 30% del PIL globale. Ne fanno parte la Repubblica popolare cinese, il Kazakistan, il Kirghizistan, la Russia, il Tagikistan, l’Uzbekistan, l’India, il Pakistan e l’Iran. Diversi altri paesi sono impegnati come osservatori o partner di dialogo.[↩]
- La CELAC è un blocco regionale di stati latinoamericani e caraibici creato il 3 dicembre 2011, a Caracas, in Venezuela, con la firma della Dichiarazione di Caracas. Ne fanno parte 33 paesi dell’America Latina e dei Caraibi ed è stato creato per approfondire l’integrazione latinoamericana e per ridurre l’influenza degli Stati Uniti sulla politica e l’economia dell’America Latina. È visto come un’alternativa all’Organizzazione degli Stati americani (OAS), un organismo regionale fondato dagli Stati Uniti e da altre 21 nazioni latinoamericane come contromisura alla potenziale influenza sovietica nella regione. Cuba, che è stata sospesa dall’OSA nel 1962 e da allora si è rifiutata di rientrarvi, è membro della CELAC.[↩]
- La RCEP è un accordo di libero scambio firmato nel 2020 tra i paesi dell’Asia-Pacifico – Cina, Australia, Brunei, Cambogia, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Laos, Malesia, Myanmar, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam. I 15 paesi membri rappresentano circa il 30% della popolazione mondiale (2,2 miliardi di persone) e il 30% del PIL globale ($ 29,7 trilioni), rendendolo il più grande blocco commerciale della storia.[↩]
- Da questo punto di vista, la risposta concertata dell’Occidente all’invasione russa dell’Ucraina ha messo in netto rilievo le occasioni in cui l’Occidente ha violato le proprie regole o quando è stato vistosamente assente nell’affrontare i problemi globali. Tra i paesi del Sud globale c’è una diffusa rabbia e frustrazione per la percezione dei doppi standard occidentali, per lo stallo nella riforma del sistema internazionale e per la mancanza di attenzione e cooperazione riguardo a questioni urgenti critiche come il debito, la sicurezza alimentare, gli effetti della pandemia da CoVid-19 e il cambiamento climatico. Si sostiene anche che l’Occidente abbia mostrato molta più compassione per le vittime della guerra in Ucraina che per le vittime della guerra altrove. L’appello dell’ONU per gli aiuti umanitari all’Ucraina è stato finanziato per l’80-90%. Nel frattempo, gli appelli dell’ONU del 2022 per le persone colpite dalle crisi in Etiopia, Siria e Yemen sono stati finanziati a malapena per metà. Il sostegno ai rifugiati rappresenta un esempio di come i costi globali siano ripartiti in modo diseguale. Sebbene molti paesi occidentali lamentino l’afflusso di rifugiati, i paesi poveri e a reddito medio-basso ne ospitano oltre l’80%. Bangladesh, Etiopia, Giordania, Kenya, Libano, Pakistan, Turchia, Colombia e Uganda accolgono tutti un gran numero di rifugiati. La Polonia, che attualmente ospita oltre 1,6 milioni di ucraini, e la Germania, con 1,5 milioni di siriani, sono valori anomali tra i paesi ricchi. I paesi poveri e a reddito medio-basso ricevono un compenso limitato dai paesi più ricchi per le responsabilità che si assumono e quindi hanno un incentivo limitato ad attuare politiche che promuovano l’inclusione dei rifugiati nel lavoro, nell’istruzione e nei sistemi sanitari. Durante la pandemia, a fronte del disinteresse più completo mostrato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, la Cina ha messo a disposizione 400 milioni di dosi di vaccini e 40 milioni di articoli sanitari per il continente latinoamericano.[↩]
- Ci sono gli aerei civili e militari brasiliani della Embraer e il progetto CBERS-6, la sesta generazione di satelliti costruiti congiuntamente da Cina e Brasile, di cruciale importanza secondo il governo brasiliano per il monitoraggio dell’Amazonia.[↩]
- Negli ultimi 10 anni gli investimenti cinesi diretti in America Latina hanno superato i 130 miliardi di dollari, molti dei quali veicolati attraverso i progetti infrastrutturali della BRI (20 dei 24 paesi del continente hanno aderito alla BRI) e altri 72 miliardi sono andati nelle acquisizioni di imprese in settori del petrolio, gas e altri prodotti minerari (rame, litio ecc.).[↩]
- “Vent’anni fa, la crescita della Cina era visibile, ma ora è senza dubbio una superpotenza“, ha detto il ministro degli Esteri brasiliano Mauro Vieira. “In meno di 20 anni, la Cina è diventata il principale partner commerciale del Brasile, e non solo del Brasile, ma di molti paesi latinoamericani. Quindi questo ha cambiato molto lo scenario e la geopolitica è cambiata”. Il 30 marzo Brasile e Cina hanno annunciato un accordo commerciale che consentirà loro di utilizzare le valute nazionali dei due paesi, rispettivamente lo yuan e il reais. La Banca industriale e commerciale della Cina e il Banco BBM brasiliano sono state incaricate di procedere alle relative operazioni di cambio. Questo passo si rivelerà consequenziale, poiché incoraggerà altri paesi sudamericani a seguire l’esempio.[↩]
- Questo anche se è probabile che Lula cercherà, per quanto possibile, di bilanciare il rapporto con la Cina con quello con gli USA nel breve-medio periodo, seguendo la strategia legittima di mettere le due maggiori potenze economiche del mondo l’una contro l’altra per cercare di rafforzare i legami commerciali e ottenere maggiori flussi di investimenti. Lula è andato in Cina per cercare di ottenere più concessioni anche dagli Stati Uniti e viceversa. Lula ha insistito sul fatto che non prende posizione nella competizione rancorosa tra Washington e Pechino. “Non ho intenzione di entrare in una guerra fredda con nessuno“, ha detto il mese scorso, affermando di volere relazioni “splendide” con entrambi. Una posizione confermata da Vieira: “Non abbiamo un allineamento automatico su entrambi i lati. Abbiamo invece ottimi rapporti con gli Stati Uniti, infatti il prossimo anno festeggeremo i 200 anni di relazioni diplomatiche con gli ambasciatori in ogni Paese. E abbiamo rapporti importanti anche con la Cina. Ciò che ci guida è l’interesse nazionale in un quadro di multilateralismo, di diritto internazionale. Gli allineamenti automatici non portano risultati positivi e vantaggiosi per l’interesse nazionale. Ci possono essere perdite quando c’è un allineamento automatico e ingiustificabile. In effetti, come negli ultimi quattro anni”.[↩]
- Dal 1945, la più grande arma degli Stati Uniti, insieme a Pentagono e CIA, è stata il dollaro che, con il tempo, ha smesso di essere una normale valuta di per sé, per diventare una vera e propria merce. Sono state combattute guerre per garantire che paesi, come l’Iraq e la Libia, restassero fedeli al dollaro. Dopo l’invasione statunitense dell’Iraq nel marzo 2003, Baghdad è tornata a vendere il suo petrolio in dollari. Questa lotta per il predominio del dollaro è stata dolorosamente sentita anche in Venezuela, che ha la più grande riserva di petrolio del mondo, ma è stato ridotto alla miseria per aver tentato di sfidare la supremazia di Washington, la sua moneta. Il dollaro rappresenta oggi il 58,4% (era oltre il 70% all’inizio del XXI secolo) delle riserve globali delle banche centrali (l’euro il 20,5%), mentre lo yuan solo il 2,7%. Ma la situazione è in rapida evoluzione, perché molte banche centrali dei paesi emergenti stanno diversificando le loro riserve monetarie. Sul mercato dei cambi e dei pagamenti dei commerci globali il predominio del dollaro è schiacciante (rispettivamente l’88% e l’87% del totale), ma lo yuan è in costante crescita. Una delle decisioni principali dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN) dopo il loro incontro del 30-31 marzo in Indonesia è stata quella di ridurre la loro dipendenza dal dollaro USA. Hanno concordato di “rafforzare la resilienza finanziaria … attraverso l’uso della valuta locale per sostenere il commercio e gli investimenti transfrontalieri nella regione dell’ASEAN“. Accordi analoghi sono stati raggiunti tra Cina e Brasile, Cile, Argentina, Russia, Indonesia, Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Francia, come tra Russia e India e altri paesi. Anche se ci vorrà del tempo, il processo per ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense è ora in pieno svolgimento. I paesi BRICS, in particolare, stanno guidando la carica e sono destinati a fungere da facilitatori per riorganizzare la mappa economica e finanziaria del mondo.[↩]
- “Non è compito di una banca soffocare l’economia di una nazione, come sta facendo ora il FMI con l’Argentina, come ha fatto con il Brasile per tanto tempo e come ha fatto con i Paesi del terzo mondo“, ha dichiarato Lula. “Quando il Fondo Monetario Internazionale o qualsiasi altra istituzione concede un prestito a un Paese del Terzo Mondo, la gente si sente in diritto di comandare, di gestire i conti di queste nazioni, come se fossero i loro ostaggi“, ha continuato Lula. In questo senso, ha esortato la nuova presidente della NBD a “prestare denaro con l’obiettivo di aiutare i Paesi in via di sviluppo e non di soffocarli“, dal momento che molti già “accumulano debiti impagabili” con le organizzazioni internazionali tradizionali.[↩]
- Lula aveva inviato il suo massimo consigliere per la politica estera, Celso Amorim, per discutere le prospettive di pace con Vladimir Putin in un viaggio discreto a Mosca alla fine di marzo.[↩]
- Circa un quarto delle importazioni di fertilizzanti del Brasile, potenza agricola, proviene dalla Russia, mentre lo scorso anno i due paesi hanno registrato un commercio bilaterale record di 9,8 miliardi di dollari.[↩]