di Maurizio Brotini* – Quale idea dell’Europa ci consegna la risoluzione del Parlamento europeo che equipara nazismo a comunismo?
Quale memoria condivisa vorrebbero imporci le classi dominanti e la loro rappresentanza politica al Parlamento Europeo?
A fronte di un passaggio storico all’interno dell’economia mondo, con la Cina protagonista di un nuovo assetto multipolare, l’obbiettivo sembra sempre essere quello di accerchiare la Russia con le armi della NATO e facendosi imporre le tesi negazioniste di Paesi come Polonia ed Ungheria.
Una visione non solo inaccettabile sul piano storico e morale, ma assolutamente miope pure sul piano geopolitico.
I simboli delle esperienze comuniste fanno sfoggio sulla bandiera e nelle sfilate per i Settanta Anni della fondazione della Repubblica Popolare Cinese: immaginate l’ilarità che suscitano le affermazioni di rimuoverle e cancellarle da parte di un’area come quella europea avviata a divenir se non periferia semiperiferia del sistema mondo.
Un’Europa che chiarisce il nesso tra politiche di austerità e di neoliberismo con la negazione anche simbolica di appartenenze di classe che non siano borghesi, recidendo ogni legame con le esperienze rivoluzionarie che hanno attraversato il nostro continente geografico, arrivando fino a mettere in discussione la Rivoluzione Francese.
Che dichiara spudoratamente come disoccupazione di massa e riduzione dello stato sociale siano scelte politiche consapevoli per colpire la forza organizzata del movimento dei lavoratori e delle loro organizzazioni politiche.
Questo è il senso dell’apologia salvifica del mercato che sanerebbe come un lavacro i Paesi passati sia dalle esperienze di collaborazionismo con i nazisti sia dalle esperienze del patto di Varsavia. Il mercato, la proprietà e la borghesia come gli unici portatori della Storia come Storia della Libertà, riecheggiando inconsapevolmente Benedetto Croce.
Ma è un attacco sguaiato che offende la memoria e la storia, ancora ben viva tra le popolazioni europee, tra chi fossero gli aggressori e gli aggrediti, chi i carnefici e chi le vittime, e quanto tutti dobbiamo nella sconfitta di fascismo e nazismo ai comunisti e a chi ha marciato dietro ai loro simboli.
Certo, si vuol far dimenticare la responsabilità delle democrazie liberali nel mancato contrasto o addirittura nel favoreggiamento di Hitler Mussolini e Franco, ma forse la motivazione è più sottile di quanto gli stolti parlamentari che hanno votato a favore pensino.
Ormai anche per la Germania, per il suo apparato produttivo volto alle esportazioni, non è più procrastinabile un rilancio del mercato interno, essendo assolutamente insufficiente inondare di moneta il sistema bancario e finanziario. Questo presuppone il rilancio di tutti i mercati interni europei ed una diversificazione/riconversione produttiva realizzabile soltanto attraverso un nuovo e rinnovato intervento pubblico nell’economia. Ma aumentare salari e reddito disponibile significa in potenza creare le condizioni per una ripresa di potere delle classi lavoratrici.
Bisogna dunque che le scelte di radicale modifica delle impostazioni neoliberiste vengano come gentile concessione di un’aristocrazia europea illuminata seppur dispotica e non per le mobilitazioni e l’iniziativa di quel che ancora si può chiamare sinistra, sia sociale sia politica.
La piena occupazione così come l’aumento dei salari rispetto ai profitti è una situazione tendenzialmente pericolosa per il realismo capitalista, tanto più che non necessariamente il protagonismo giovanile sulle questioni ambientali sarà ricondotto, come sosteneva Chico Mendes, a una forma di giardinaggio.
Bisogna dunque preventivamente ed ideologicamente far terra bruciata ad ogni ipotesi non dico di Assalto al cielo, ma di protagonismo diretto del Lavoro come classe generale.
Sta qui il senso storicamente aberrante dell’equiparazione comunismo nazismo o addirittura nazismo come elemento scusabile in quanto mosso dall’avversione al comunismo.
E allora, se vogliamo un’Europa diversa, radicalmente altra sia da quella liberal liberista che da quella liberista e xenofoba, riannodare i fili della Memoria è un dovere etico morale e un fatto politico.
Perché la battaglia ideologica delle visioni del mondo deve marciare di pari passo con la battaglia per il miglioramento delle condizioni materiali delle classi lavoratrici e popolari.
La Storia non è affatto finita.
Chi recide le proprie radici non ha Futuro.
* Maurizio Brotini è segretario regionale Cgil Toscana del direttivo nazionale Cgil.