Dopo alcuni mesi di negoziazioni tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, nella notte del 6-7 giugno scorso è stato raggiunto un accordo sul testo della futura Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’Ue. Gli obiettivi sono ambiziosi: correzione delle diseguaglianze e del “gender pay gap”, convergenza sociale verso l’alto e standard di vita decenti per lavoratori e lavoratrici. Lo strumento per realizzarli presenta luci ed ombre. Il testo Ue attende ora le votazioni formali in seno al Consiglio dell’Ue ed al Parlamento europeo.
E gli scandinavi che protestano…
La proposta originaria viene pubblicata dalla Commissione il 28 ottobre 2020. La gestazione non è priva di contrasti; così come tutt’altro che agevole è la strada per la sua approvazione. Diffidenze e resistenze nei confronti dell’iniziativa emergono anche sul fronte sindacale. E poi la materia della “retribuzione” è sottratta alle competenze dell’Unione e riservata agli Stati. La necessità di superare questi ostacoli di natura politica e giuridica spiegano il contenuto finale della futura Direttiva.
Fin dall’inizio dell’iter decisionale si manifesta una fortissima opposizione dei paesi scandinavi, che attraversa trasversalmente la sinistra politica e sindacale. E purtroppo una cicatrice enorme si apre anche all’interno del sindacato europeo. I sindacati scandinavi sentono che la Confederazione europea dei sindacati non è solidale con loro e che gli altri Stati membri non sono ugualmente solidali, perché non capiscono quanto è sensibile la tematica oggetto della Direttiva per la loro “tradizione” di relazioni industriali e quanto sono state dilanianti per loro le sentenze rese dalla Corte di Giustizia Ue nel 2007 nei casi Laval e Viking.
Ma, d’altro lato, c’è anche il punto di vista, ad esempio, dei rumeni o dei greci che possono dire: voi svedesi non siete solidali con noi, perché non capite che il beneficio che noi trarremmo dalla Direttiva è di molto superiore al presunto – e non dimostrabile – vulnus che il sistema svedese potrebbe patire.
Nel corso dell’iter decisionale, a lungo si è tentato di trovare la soluzione tecnica che evitasse la rottura con i paesi scandinavi. Ma non si è trovata e Svezia e Danimarca voteranno contro l’accordo interistituzionale del 7 giugno scorso.
Promozione della contrattazione e tassi di copertura
In linea generale, la futura Direttiva sul salario minimo intende svolgere una funzione “promozionale”: nei paesi dove non esiste il salario minimo legale, sostenendo la contrattazione con i sindacati; nei paesi dove esiste una legge che fissa gli standard minimi salariali, indicando criteri per garantirne l’“adeguatezza”.
Pertanto, nei confronti di tutti i lavoratori rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva (qualsiasi titolare di un contratto di lavoro o di una relazione di lavoro, nel settore pubblico come in quello privato), tutti gli Stati sono obbligati a promuovere la contrattazione in materia salariale; il tipo di “contrattazione collettiva” che la nuova Direttiva intende promuovere è soltanto quella che ha luogo con la partecipazione dei “sindacati”. In aggiunta, viene introdotto il criterio dell’estensione del tasso di copertura della contrattazione per misurare l’adeguatezza dei sistemi di contrattazione, con obblighi specifici per gli Stati il cui tasso sia inferiore alla soglia dell’80% (ai fini della misurazione del tasso di copertura, dovranno essere considerati contratti collettivi non meglio specificati; e questo pone problemi nel caso italiano, ove la presenza di un problema salariale convive con un tasso di copertura che – secondo quanto si legge nel disegno di legge ”Catalfo” depositato al Senato – si attesterebbe addirittura al 98% della forza lavoro impiegata nel settore privato).
Per incrementare il tasso di copertura negoziale e facilitare l’esercizio del diritto alla contrattazione, gli Stati inoltre – sulla scia delle Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro – adottano misure per proteggere i sindacati da qualsiasi atto di interferenza nella loro attività (il riferimento è alle organizzazioni sindacali sotto il controllo dei datori di lavoro, ai sindacati gialli di vario tipo, etc.).
Le norme destinate agli Stati con salario minimo legale
La futura Direttiva si pone il problema della fissazione di parametri quantitativi idonei a individuare soglie minime dalle quali non è possibile derogare (“soglia di decenza”).
Per gli Stati in cui già esiste un salario minimo legale (ad es., Francia, Germania, Spagna, ecc.), si è scelta la seguente soluzione. All’art. 5 si dice che tali paesi, per guidare la valutazione di adeguatezza dei salari minimi, possono utilizzare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, come i due famosi parametri del 60% del salario lordo mediano nazionale1 o del 50% di quello medio2, e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale. Si prevede il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali.
Il punto debole è che i suddetti indicatori non hanno valore vincolante. D’altra parte, nonostante la strenua opposizione del sindacato, la futura Direttiva ammette scostamenti dai minimi di legge per gruppi specifici di lavoratori (art. 6). Di fronte all’ammissibilità di trattamenti retributivi sub-minimali a poco vale la previsione che “nessuna disposizione della Direttiva deve essere interpretata come un obbligo per gli Stati di introdurre” tali pratiche.
Le norme destinate a tutti gli Stati, con o senza salario minimo legale
Con le disposizioni “orizzontali” (cioè valide tutti gli Stati) si istituisce un sistema di monitoraggio da parte della Commissione sull’andamento delle dinamiche salariali nei diversi paesi (art. 10), basato sull’obbligo di comunicare periodicamente una serie di dati anche disaggregati (per genere, età, settore, disabilità, dimensioni dell’impresa e settore). Così tutti gli Stati trasmetteranno alla Commissione (tramite Rapporto biennale, entro il 1° ottobre dell’anno di riferimento), le informazioni riguardanti: il tasso e lo sviluppo della copertura negoziale; il livello del salario minimo legale e la percentuale di lavoratori coperti; la descrizione delle variazioni e delle detrazioni esistenti, nonché la percentuale di lavoratori coperti dalle variazioni; le tariffe salariali più basse fissate dai contratti collettivi che coprono i lavoratori a basso salario o una stima delle stesse e la percentuale di lavoratori coperti da siffatti contratti (per paesi come l’Italia o gli scandinavi); il livello delle retribuzioni percepite dai lavoratori non coperti da contratti collettivi e il rapporto con il livello delle retribuzioni percepite dai lavoratori coperti dai contratti (sempre per paesi come l’Italia).
Infine gli Stati dovranno prendere misure appropriate per assicurare che, nell’aggiudicazione e nell’esecuzione di appalti pubblici, gli operatori economici (ivi inclusi quelli coinvolti nella catena di subappalto) rispettino una serie di obblighi “applicabili” riguardanti i salari, il diritto di organizzazione e il diritto alla contrattazione in materia salariale, come sanciti, tra l’altro, dalle Convenzioni fondamentali dell’OIL. La norma è importante perché impone all’impresa aggiudicataria di rispettare, tra l’altro, la retribuzione prevista dai contratti collettivi applicati nel settore e nell’area geografica pertinente (art. 9).
Conclusioni
L’adozione finale nel mese di settembre 2022 della Direttiva sui salari minimi adeguati nell’Ue concluderà positivamente una fase di cinque anni in cui la Commissione ha messo in forno tutta una serie di castagne ed ha aperto dossier che non ci si aspettava avrebbe mai aperto. Non è questo lo spazio per elencare le numerose misure di attuazione del Pilastro sociale europeo.
Resta la rottura consumatasi con gli scandinavi e purtroppo questa cicatrice enorme all’interno del sindacato europeo difficilmente si rimarginerà.
Come già detto, nel corso dell’iter decisionale, a lungo si è tentato di trovare la soluzione tecnica che evitasse la rottura con i paesi scandinavi. Con la Direttiva sul salario minimo ci si è trovati di fronte a un problema/un concetto di solidarietà prettamente transazionale, cioè si trattava di una transazione/uno scambio. La soluzione tecnica avrebbe potuto risolvere la questione transazionale (per cui gli svedesi mantenevano la loro cipolla e i rumeni la loro patata), ma si sarebbe comunque trattato di una soluzione di corto respiro.
La sinistra europea invece ha bisogno di individuare un modello di solidarietà che sia trasformativo, perché per un problema come quello relativo alla Direttiva sul salario minimo alla fine si poteva anche trovare una soluzione tecnica, però ci sono delle sfide più complesse davanti a noi che non sono gestibili solamente con scambi/transazioni.
La sensazione a Bruxelles è che il Pilastro europeo si stia esaurendo e non ci saranno molte altre iniziative che possono essere ricondotte al Pilastro dopo quella sul salario minimo (e naturalmente la Direttiva sul lavoro tramite piattaforme digitali, la cui approvazione è prevista per dicembre 2022). Quindi ci si domanda se, tra qualche mese, dalla Commissione ci diranno: avevamo questo Pilastro sociale gli ultimi cinque anni e ci siamo dati da fare … missione compiuta! Ora però basta con le Direttive sociali perché l’interesse della Commissione deve focalizzarsi sulla governance macroeconomica, le transizioni verdi (ma con l’enfasi sul verde piuttosto che sulla transizione giusta ed equa).
Tuttavia stanno emergendo anche segnali interessanti: forse la Commissione è disposta ad aprire i dossier sul diritto alla disconnessione e sul telelavoro. Il segnale è interessante perché potrebbe significare che si stanno iniziando a sviluppare nuovi dossier a prescindere dal Pilastro. Però se dovessi scommettere, scommetterei sul fatto che fra poco ci diranno – come dice la canzone – “Chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato ha dato…“.
Andrea Allamprese
- Sulla base dei dati riferiti al 2019, in Italia, il suddetto parametro riferito alle retribuzioni dei lavoratori a tempo pieno operanti nel settore privato (con esclusione dell’agricoltura) equivarrebbe a 7,65 euro lordi orari.[↩]
- Sulla base dei dati riferiti al 2019, in Italia, il suddetto parametro calcolato sugli stessi dati della nota precedente ammonterebbe alla cifra di 10,59 euro lordi orari.[↩]