A circa tre anni dalla ristrutturazione del sito di transform!italia del maggio 2018 vorrei gettare uno sguardo a questi mesi di attività, anche se desidero esprimere una riflessione diversa dalla logica dei bilanci.
In queste settimane si sta consumando una profonda crisi sia nel Partito Democratico che nel M5S,una crisi precipitata dall’avvento di Draghi. Da più parti, a sinistra, si sente evocare l’apertura di “grandi praterie”. Una aspettativa immediata potrebbe essere sia irrispettosa verso chi si trova più o meno confusamente costretto a constatare il fallimento del suo progetto sia disutile a individuare dimensioni e terreno del lavoro politico, come dice anche Fausto Bertinotti nell’intervista che pubblichiamo.
Ritengo che i limiti dei rischi di politicismo diano ancora più senso alla attività svolta da transform.
Si tratta di un migliaio tra articoli, videoconferenze, filmati, centinaia di collaborazioni, decine di pubblicazioni, tanti lettori e lettrici, tanti follower e like, progetti. Una mole in cui fatica, ricerca, studio, impegno per la dimensione europea di una politica di sinistra si sono strettamente intrecciati attraverso tutte le tematiche.
Inoltre transform!italia ha contribuito o si è fatta promotrice di una serie di iniziative che richiamo senza ordine e forse trascurandone qualcuna: il convegno sui populismi, la difesa della memoria e della storia contro il revisionismo, il No al MES, il diritto alla cura, l’opposizione alla riduzione del numero dei parlamentari, quella contro l’autonomia differenziata, il reddito di cittadinanza europeo, e ancora il supporto alla costituzione di un partito europeo, l’iniziativa Lab-Sud che risale all’autunno 2019 e che meriterebbe un approfondimento a parte visto quanto ha attecchito e si è sviluppata.
Queste attività hanno cucito la dimensione europea e internazionale a quella italiana: in Italia nella sinistra permangono verso i processi di integrazione Europea chiusure accanto a subalternità. Invece transform!italia ha mantenuto puntuale la critica anche attraverso transform!europe e il partito della Sinistra Europea. Uno sguardo che ha cercato di coinvolgersi con altre realtà di cui la rivista Left è stata interlocutrice importante.
Peraltro la dimensione europea è stata ben descritta anche da Marco Noris: “La traiettoria storica che si sta delineando in questi anni ci mostra che sarà molto difficile salvare l’una [una Sinistra antisistemica] senza salvare l’altra [la dimensione europea] … Sorprendentemente, quindi, la contraddizione tra Sinistra antisistemica ed Europa diviene puramente apparente.” 1
Questo sarebbe il momento di esprimere un giudizio e vorrei trovare modi e parole per farlo.
Il primo pericolo è quello di sovrapporre il giudizio al carattere collettivo di questa esperienza che si basa su un continuo scambio, attraverso uno stile e un metodo liberi e partecipati.
Inoltre, vorrei che fosse aperto al futuro e appropriabile.
Infine ho bisogno di parole che non siano vuote e tra queste il termine “successo” è una delle peggiori dal momento che ha sostituito la solidarietà e che basa il miraggio individuale sul fallimento dei più.
Nell’esperienza del conflitto anche le parole sono frutto di una lotta. La presa di coscienza della soggettività passa anche per una sovversione del significato delle parole. Scomodando un filosofo potremmo dire che con la presa di coscienza “ci siamo ripresi i predicati delle cose, o per lo meno ci siamo ricordati che noi li abbiamo prestati ad esse”.2
Le lotte producono sia rifiuto che appropriazione di linguaggi e parole: autorità, merito, pace, comunismo… maschile e femminile. Talvolta ci siamo ripresi i predicati delle cose, talvolta se li sono presi altri. Non si è trattato solo di occultamento e svelamento “ideologici” della realtà; ma anche di costruzione di una visione della realtà.
Non a caso, il movimento delle donne e lgbt+ ha sviluppato questa dimensione, ha legato nella critica militante soggetti e linguaggi in modo rivoluzionario e continua a spostare in avanti e in profondità il suo contributo.
Dall’altra parte, i processi di espropriazione e di dominio sono corsi avanti: l’innovazione ha messo alla catena della produzione la comunicazione, i linguaggi e le relazioni. Il digitale centralizzato e privatizzato fa uso della scienza e di tecniche con potenza inaudita per lavorare su questo terreno.
Ma per quanto potente sia questa espropriazione, qualcosa necessariamente sfugge e rimane il motore del processo. Vogliamo far sì che continui a sfuggire, e anche per questo stiamo attenti alle parole.
Ma esprimere un giudizio è necessario anche perché vogliamo far nostra l’esortazione:“stiamo attenti a non perdere, in questa conoscenza, la capacità di prestare, e guardiamoci dall’essere divenuti al tempo stesso più ricchi e più avari.”3 Una esortazione che abbiamo fatto nostra nei fatti e che va rivolta a tutt* nell’attuale disgregazione del fare collettivo.
Con queste cose in mente credo che l’attività di transform!italia sia un successo nel senso migliore.
Successo (o succeduto) deriva da succedere, venire dopo. E’ un termine neutro e la sua trasformazione in “successo personale” è frutto dell’ideologia del merito, del mercato e della fortuna. Il nostro, invece, è un successo dell’intenzione politica e se -come speriamo- verrà condiviso, questo non avverrà “per fortuna” nè ci renderà meritevoli se non dell’essere interni alla trasformazione.
Questo successo continua a scorrere come parte della speranza comune perché ha cercato di farsi correttamente carico dell’importanza del piano della politica in questo muoversi. Giacché a fronte della crescita della possibilità di uscire dalla insensatezza e distruzione che ci circondano, dominio e alienazione penetrano nella società: senza la migliore intenzione politica il passaggio si fa più difficile oggi di quanto fosse ieri.
Per questa urgenza i limiti del nostro successo pesano assieme alla consapevolezza che stiamo facendo del nostro meglio e che non esistono scorciatoie.
A scavare è sempre la vecchia talpa e occorre continuare a darle una mano.