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Alcune considerazioni su quel che stiamo vivendo

di Paolo
Ospici

Quel che abbiamo visto in questi giorni mi spinge a mettere nero su bianco alcune riflessioni. Cosa penso di vaccini, Covid-19 ecc. è chiaro a chiunque si sia soffermato sulla mia pagina fb pertanto non ci torno, però, sempre dalla mia pagina, avevo promesso che avrei, ad emergenza finita, detto la mia su questa vicenda. L’emergenza è tutt’altro che finita in verità, visto che si parla di prolungarla, almeno in Itala, fino al 31 luglio, però accadono cose che inseriscono nella vicenda ulteriori elementi che mi spingono a scrivere queste righe ora. Mi scuso se sarò lungo e noioso ma è inevitabile, voglio spiegare una volta per tutte cosa penso.

Cominciamo dalla stretta attualità: l’ultima sceneggiata del presunto assalto al Campidoglio a Washington davvero non meriterebbe commento se non fosse per un particolare: simboleggia e certifica il passaggio, a tappe forzate, verso la quarta rivoluzione industriale. Del resto le prove generali di creduloneria planetaria erano state fatte, con buon successo, l’11 settembre, quindi, visto che la gente nella sua maggioranza si è bevuta quella balla allora perché non rifilargliene un’altra ancora più incredibile come l’assalto al Congresso da parte di una serie di personaggi vestiti in modo improbabile e presunti sostenitori di Trump? E così è stato, tutti indignati se non allarmati dal grave pericolo che Trump, e il trumpismo, rappresentano per la democrazia per l’intero pianeta, scorgendo già inquietanti paralleli tra i suprematisti bianchi e i razzisti vari di casa nostra. La tesi che voglio dimostrare è che i pericoli per la democrazia vengono da ben altra parte, e provo ad argomentare. Che sia impossibile entrare nel palazzo del Congresso durante la proclamazione del presidente a meno che non si voglia proprio mostrare al mondo la pericolosità di costoro, e di chi li fomenta, lasciandoli passare o addirittura invitandoli ad entrare, e quindi che si sia trattato di un’immonda sceneggiata, questo lo notano davvero in pochi. Ma il nocciolo della questione è un’altro, e cioè perché all’improvviso si è voluto mostrare la pericolosità estrema di una deriva trumpista? Cosa rappresenta Trump che spaventa così tanto i suoi oppositori e li ha spinti ad un’iniziativa tanto spettacolare quanto incisiva al punto da convincere quasi l’intero globo che c’è stata davvero un’irruzione di suprematisti bianchi nel palazzo del Congresso?

Per rispondere a questo quesito bisogna per forza partire dall’analisi che lo sviluppo capitalistico ha raggiunto in questa fase e il tentativo di comprendere cosa ci riserverà il futuro. La crisi del capitalismo tradizionale, quello basato su produzione di merci ecc. ha raggiunto, a mio giudizio, un punto di non ritorno. Infatti, l’indebitamento globale legato al debito privato, quello cioè che grava su aziende non importa se piccole, medie, grandi o addirittura multinazionali, ed anche a singole persone, assommato al debito pubblico contratto dalle sovrastrutture che il capitalismo stesso ha creato per meglio gestirsi e gestire nel corso dei secoli, leggi gli stati come noi li conosciamo e li abbiamo conosciuti, supera abbondantemente le risorse a disposizione di imprese, stati e persone messi insieme. In altre parole, se i creditori, leggi i grandi istituti finanziari, dovessero esigere i loro crediti da un giorno all’altro, il mondo intero fallirebbe non una ma 100 volte tutte insieme. In sostanza si tratta di un credito inesigibile. Ne consegue che i due assi portanti sui quali il capitalismo mondiale ha costruito le sue fortune e il suo dominio, sono entrati irrimediabilmente in rotta di collisione. Finora la grande finanza è andata a braccetto, o ha finto di andarci, coi potenti di tutto il globo, che fossero capitalisti o elementi sovrastrutturali come gli stati. Col meccanismo del prestito ad interesse i grandi gruppi finanziari hanno blandito e lasciato crescere un modello basato sull’industria capitalistica tradizionale. Poco importa ai fini di questa trattazione che l’impresa capitalistica abbia assunto nel corso dei secoli forme di organizzazione interna diverse, alle volte anche profondamente diverse, come per esempio è stato il passaggio dal modello fordista a quello toyotista, quel che conta per spiegare lo scontro attuale tra le due gambe del capitalismo, industria e finanza, è capire l’intreccio reciproco e le loro relazioni attuali. Agli stati inoltre, grazie all’acquisto di bond e quant’altro, i grandi gruppi finanziari hanno permesso di continuare ad esistere in funzione del loro scopo primario, e cioè permettere ed accompagnare lo sviluppo del capitalismo stesso. Questo fino ad oggi, ora non più e vediamo di capire qualcosa su ciò che sta accadendo.

Partiamo dall’inizio, e cioè dalla prima rivoluzione industriale nel XVIII secolo. Lo sviluppo capitalistico, benché impetuoso, non è stato tuttavia lineare come ben abbiamo appreso dai libri di storia, con tanto di fughe in avanti e ritorni all’indietro. Però, alla lunga ha trionfato, complice anche il dilagare del positivismo che è stato il collante ideologico per tutta l’operazione, e che ha coinvolto pressoché la totalità degli intellettuali dell’epoca, scienziati inclusi (il tema del rapporto tra scienza e potere meriterebbe una trattazione a parte, troppo lungo e complesso per essere esaminato qui). Inevitabilmente però, all’inizio e prima che si strutturasse in forma di società organizzata con le grandi metropoli imperniate sull’industria e conseguente migrazione di masse enormi di persone dalla campagna alla città, i primi tentativi di impresa capitalistica avevano carattere sperimentale e, a fronte dei primi successi, ci sono stati anche numerosi fallimenti, sia sul piano organizzativo, incluso un idoneo apparato legislativo che si è costruito solo in un secondo momento, sia sul piano strettamente economico con il fallimento di diverse imprese appena nate. In altre parole, il capitalismo, se non avesse trovato le risorse per provarci, probabilmente non ce l’avrebbe fatta. Ma le risorse c’erano, le avevano proprio i grandi istituti finanziari che nel frattempo si erano ingranditi se non ingigantiti, e come è nella natura della finanza stessa, andavano alla ricerca spasmodica di nuovi investimenti che generassero per loro nuovi profitti, trovati in quella fase facilmente sotto forma di prestiti da elargire ai futuri capitalisti per poter portare avanti i loro piani. Così si è creata la sensazione, verrebbe da dire l’illusione, che i destini degli uni siano indissolubilmente legati a quelli degli altri, però le cose non stanno affatto così, se non altro per una ragione semplice e ovvia, e cioè le banche, e con esse i grandi finanzieri, c’erano già e da ben prima della prima rivoluzione industriale. La banca più antica del mondo, il Monte dei Paschi di Siena, venne fondata nel 1472, all’inizio col lodevole intento di aiutare le fasce disagiate della popolazione, ma ben presto trasformatasi in finanziatrice di principi e proprietari terrieri, cioè i ricchi della società precapitalistica. Così fecero anche gli istituti di credito venuti dopo, e attraverso il meccanismo del prestito alle teste coronate di tutta Europa, iniziarono a condizionare in maniera pesantissima le scelte politiche degli stessi monarchi. Quante guerre e quante sanguinose conquiste sono state fatte infatti per pagare debiti ed interessi sui debiti contratti dai regnanti? (Si legga a titolo puramente esemplificativo lo splendido libro d Eduardo Galeano “le vene aperte dell’America latina”). In sostanza, quando il capitalismo industriale muove i suoi primi passi, la grande finanza c’era già, ed era ben ricca e potente, al punto da condizionare non più solo le scelte politiche dei monarchi, ma anche le linee dello sviluppo industriale che ci sarebbe stato da lì a breve. Vista così verrebbe da dire, e credo si tratti di un’affermazione sostanzialmente corretta, che fin dal principio i capitalisti sono stati al servizio della finanza e non, come comunemente si crede, l’esatto contrario. La finanza l’ha volutamente lasciato credere, continuando però a muovere i fili nell’ombra e da dietro le quinte. Così facendo si è piano piano impadronita non solo di ricchezze sempre più ampie ma anche degli strumenti stessi della produzione capitalistica. Quante sono infatti le aziende che hanno nel loro consiglio di amministrazione, e spesso non come soci di minoranza bensì di maggioranza, rappresentanti di quegli istituti di credito che, ad un certo punto e visto che i proprietari tradizionali dei mezzi di produzione rischiavano vieppiù l’insolvenza dei prestiti a loro tanto generosamente, e proditoriamente, elargiti, sono di fatto diventate proprietà degli istituti di credito stessi? Detto in poche parole, la finanza ormai si è comprata anche i capitalisti. Abbiamo assistito ad acquisizioni da parte di banche addirittura di squadre di calcio!

Ma questa ristrettissima casta di capitalisti, non si può più oramai parlare di classe, proprietaria di tutto e tutti, ha natura e caratteristiche profondamente diverse da quelle dei capitalisti capitani d’industria visti fin qui. Mentre i secondi nascono e si sviluppano all’interno dello stato nazione, i primi hanno da secoli imparato a ragionare in termini globali o quantomeno sovranazionali. I banchieri del ‘500 o del ‘600 mica prestavano i soldi solo ed esclusivamente ai principi e ai maggiorenti dei loro paesi, che i banchieri veneziani o genovesi prestassero a chiunque purché solvibile o potenzialmente tale non è un mistero e così facendo hanno già da allora imposto ai loro debitori scelte costosissime anche e sopratutto sul piano umano finanziando in sostanza guerre predatorie e genocide utili solo a ripagare i debiti stessi. Insomma, il denaro non ha mai avuto confini, l’industria invece sì. La prima crepa si apre con la nascita e lo sviluppo dell’impresa multinazionale, che per sua natura, confini non ne vuole, e si impone quella che è passata alla storia come globalizzazione capitalistica, con tanto di apparato giuridico annesso e di trattati internazionali che praticamente tutti sono obbligati a rispettare (WTO ecc.). Con la globalizzazione però si apre la crisi dello stato nazionale e, con essa, si crea da un lato il bisogno, tutto interno alle classi egemoni, di una governance più ampia, sovranazionale, capace di gestire quella che era una nuova fase dello sviluppo capitalistico, e dall’altro lato si apre un serio conflitto identitario, questa volta tutto interno alle classi subalterne, che ha portato alla rinascita delle forme estreme di nazionalismo se non di razzismo che non sono altro che la risposta, praticamente istintiva e tutt’altro che lucida e razionale, di chi si sente scaraventato fuori dal controllo del corso degli eventi. Si vanno costruendo nuovi centri di potere decisionale, UE, NAFTA, Mercosur e quant’altro e, di riflesso, appaiono nuovi localismi sempre più radicali che rivendicano a livello sempre più piccolo il diritto al controllo dei propri territori. È lo specchio della contradditorietà che ha sempre accompagnato lo sviluppo capitalistico che si mostra in tutte le sue sfaccettature.

Nel mentre, il processo di progressiva acquisizione dei mezzi di produzione da parte dei centri finanziari, globalisti per loro natura e da molto prima della globalizzazione stessa come abbiamo visto, va avanti, ed arriva al punto estremo che abbiamo sotto gli occhi oggi. Ecco quindi che si rende necessario un ulteriore salto di qualità nel processo di governance della globalizzazione, non più blocchi di paesi in competizione tra loro, UE contro NAFTA, NAFTA contro ASEAN ecc., ma un unico, compatto, monolitico centro di potere e controllo gestionale che coincide col nuovissimo ordine mondiale e presumibilmente gestito da quel ristrettissimo gruppetto di proprietari di tutto che si è andato formando nel frattempo o dai loro delegati. Il governo mondiale, ormai da più parti invocato a gran voce, persino dal Papa. Va da sé che se a detenere le leve del potere economico è un gruppetto ristrettissimo di persone, non serve più un mondo policentrico con più centri di comando, quello era funzionale al capitalismo globalizzato ma pur sempre competitivo delle multinazionali, quel gruppetto ha bisogno di un potere unico, ristrettissimo e unificato di controllo e gestione dei loro interessi. Questo è il nuovissimo ordine mondiale, diverso da quello a guida NATO teorizzato da Bush padre, quello era in fondo ancora legato all’idea dello stato nazione, o multinazione, con un ovvio primato degli USA sul resto del pianeta, questo dello stato nazione o multinazionale non sa che farsene.

Nel frattempo però accade una specie di piccolo miracolo, e cioè i padroni della finanza mondiale si accorgono che in realtà la ricchezza, intesa come denaro, si può produrre dal nulla, e questo scompagina le carte ed amplia a dismisura le bramosie dei finanzieri stessi. Si genera cioè la seguente certezza: se siamo in grado di produrre ricchezza, intesa come denaro, dal nulla, non serve più il meccanismo classico della produzione di capitale basata sulla rapina del plusvalore per generare capitali, i capitali stessi si generano da sé. Questo è stato possibile grazie alla “scoperta” che il debito privato poteva essere convertito in titoli ed obbligazioni, e come tale piazzato sul mercato borsistico. Una volta piazzato su quel mercato, poteva essere oggetto di compravendita, con conseguente generazione di profitto per colui che quel titolo ha per primo venduto oppure successivamente negoziato. In sostanza, il debito privato è il motore della generazione di ricchezza dal nulla, tema molto delicato e decisivo sul quale tornerò successivamente. Traendo le somme di questo ragionamento, se i padroni di entrambe le corna dello sviluppo del toro capitalistico sono oramai gli stessi, e se costoro hanno scoperto che possono fare a meno dei meccanismi classici di produzione di ricchezza attraverso il plusvalore, come magistralmente descritto da Marx, ecco che nella mente di costoro, probabilmente in preda anche ad una specie di delirio di onnipotenza, spunta l’idea che, se venisse loro assegnato da masse consezienti il potere assoluto, potrebbero usarlo per il bene di tutti, superando in avanti anche la grave crisi ecologica planetaria che lo sviluppo capitalistico stesso ha generato, e così anche Greta è contenta. Per sintetizzare, una volta risolto il problema del dove andare a reperire i capitali, abbiamo appena visto che si possono tranquillamente reperire dal nulla, la produzione ed il consumo, naturale conseguenza della produzione stessa, non sono più il motore dello sviluppo. Quindi, la classe capitalistica sviluppatasi come sappiamo, può essere tranquillamente spazzata via dalla storia, e sostituita da una casta, quella dei proprietari, che, sempre preda di quel delirio di onnipotenza, sarà in grado di provvedere ai bisogni ed alle esigenze di tutti se lasciata libera di agire. Quel che vuole cioè la cupola che regge l’economia mondiale è avere le mani libere per poter pianificare a suo piacimento lo sviluppo in tutte le sue sfumature, dal cosa produrre al come produrre al come generare ricchezza. Insomma, pianificare. Se non fosse grottesco, verrebbe da dire che il fantasma del socialismo reale, quello stalinista per capirci, ha preso la sua rivincita da morto sul capitalismo. Questo spiega però perfettamente certi ammiccamenti di certi centri di potere al modello cinese, ultimo superstite ormai di un modello di sviluppo basato sulla pianificazione. Si vorrebbe fare cioè, almeno nella mente di qualcuno, del modello cinese il modello da copiare ed estendere su scala planetaria, la cui governance però sia affidata a delegati dal ristrettissimo club dei padroni superstiti. Bisogna vedere se i cinesi sono d’accordo o lo siano solo apparentemente perché in realtà covano altri fini, questo è un elemento che stimola parecchio la mia curiosità.

Naturalmente in tutto questo i soliti buontemponi ritirano fuori dal cassetto senza fondo della storia il solito, e sempre buono, complotto giudo-plutaico-massonico, questa volta con aggregati satanisti, pedofili e quant’altro, dimenticandosi però bellamente, e stranamente, di italiche mafie e IOR che pure di quel ristrettissimo gruppo fanno organicamente parte e a pieno titolo. La solita cortina fumogena alzata di proposito per velare agli occhi dei gonzi, che pure abbondano, la vera posta in gioco, che di complotto plutaico ha molto e molto poco di tutto il resto.

A questo punto siamo tornati all’attualità, nella quale troviamo da un lato un desiderio di centralizzazione estrema dei centri di potere decisionale, esigenza primaria dei pochi “padroni del vapore” rimasti sulla scena, dall’altro il localismo prodotto della reazione istintiva e viscerale degli sconfitti, alleati questa volta, e non stranamente come si potrebbe superficialmente pensare, proprio di quelle classi subalterne che essi stessi hanno creato. Da un lato abbiamo cioé l’esercito dei padroni del mondo e loro servi, dall’altro quello dei perdenti, in primis gli ex capitalisti vistisi espoliati di quelle che ritenevano loro legittime proprietà quasi per diritto divino. A questo punto i comandanti dell’esercito perdente, quello degli ex capitalisti, decidono di tentare il colpo di coda, perso per perso. Ne nasce una narrazione fittizia che però, almeno in parte, risulterà funzionale, che tende a mostrare che gli interessi delle classi subalterne e quelli dei capitalisti espoliati coincidano. In altre parole, secondo questa visione, interessi di sfruttati e sfuttatori coinciderebbero. Che sia una panzana colossale è evidente, però il fatto rilevante è che ha funzionato, al punto che questa alleanza spuria è riuscita a far eleggere presidente degli USA Donald Trump. Questo è ciò che Trump rappresenta e questa è la ragione dell’accanimento dei vincitori finali dello scontro sulla sua persona. Non ci si è accontentati di sostituirlo nelle sue funzioni attraverso delle elezioni forse truccate, si è voluto umiliarlo fino all’estremo, fino a far dire a Nancy Pelosi che non poteva più detenere i codici di attivazione delle armi nucleari, che peraltro in carica non ha mai utilizzato, in quanto instabile emotivamente (sic!) e fino al paradosso di un privato, un certo Zuckerber, membro attivo del club dei vincitori, che decide indisturbato di poter tranquillamente censurare i suoi interventi pur essendo presidente ancora in carica, come ben rilevato tra gli altri da Massimo Cacciari. Per giungere infine alla messa all’indice di Trump stesso come nemico pubblico numero uno di qualsivoglia forma di democrazia, prove ne siano l’assalto al Palazzo dei suoi presunti sostenitori, con un rovesciamento incredibile di ruoli ed obiettivi laddove coloro che vorrebbero spazzare via ogni residua forma, o simulacro, che sembrerebbe oggi termine più appropriato, di democrazia, dalla faccia della terra, per sostituirla col governo mondiale, si ergono invece a difensori della democrazia stessa, e l’accanimento inutile sul piano funzionale, ma utilissimo su quello simbolico, della richiesta di impeachment a pochi giorni dalla fine del mandato. Come dire, ti perseguiteremo anche da (politicamente) morto, se vi ostinate ad opporvi non vi daremo tregua.

Il bello di tutta la vicenda è che ci sono anime candide, come altrimenti definirle, che, ormai assuefatti al codice binario del computer, che è poi quello della cosiddetta “democrazia referendaria” che risolve tutto con un sì o con un no, non trova di meglio da fare che chiedere, e chiedermi, tra i due, chi si preferisce. La mia risposta è ovvia e non può che essere una sola, nessuno dei due, ero anticapitalista prima e non trovo ragioni per smettere di esserlo adesso, casomai si rafforzano quelle dell’anticapitalismo stesso.

Tornando al nuovissimo ordine mondiale, un simile assetto, così piramidale, a base larghissima e vertice strettissimo, abbisogna di alcuni punti fermi che servano da colonne portanti per reggere l’intera costruzione. La prima, già citata, l’esistenza di masse consenzienti. Come si costruisce un simile consenso però? E’ qui che entra in gioco il protagonista assoluto di questi due ultimi anni, quello in corso e quello che si è appena concluso: la star internazionale Covid-19 o Sars-Cov-II che dir si voglia. Che sia stato creato in laboratorio o che si sia diffuso per colpa di mangiatori di pipistrelli crudi poco cambia, quel che conta è che attorno ad una sindemia1 ma, con un uso talmente ossessivo di misure uguali, termini uguali, bollettini uguali e proposte per il futuro uguali che risulta difficile non pensare ad una regia unica. Abbiamo assistito infatti a cambi di strategia repentini anche da parte di chi inizialmente aveva provato a sfilarsi dalla recita universale, si pensi al primo Boris Johnson o allo stesso Donald Trump degli inizi, costretti ad una precipitosa retromarcia da un’opinione pubblica inferocita e/o spaventata sobillata da quei media che brillano solo per omologazione. Si pensi al sistematico oscuramento dei dati provenienti da paesi, pochissimi nel primo mondo ma molti nel terzo, che hanno fatto scelte diverse dal ben noto lock down più o meno duro adottato dalla stragrande maggioranza di quelli che contano, e pazienza se poi la Svezia sta li a dimostrare che lock down o non lock down poco cambia, i numeri e le percentuali di morti e contagiati sono più o meno gli stessi a prescindere da quel che si fa o non si fa. Se poi in Vietnam o in Madagascar non si sia fatto praticamente niente in termine di chiusure e distanziamenti e, nonostante questo, abbiano avuto un numero di vittime che si contano a decine e non a migliaia o decine di migliaia, poco conta, così come poco contano quei paesi nello scacchiere politico mondiale. Comunque, nel dubbio, certi numeri meglio non darli, oppure nasconderli accuratamente giacché non darli del tutto nel villaggio globale è praticamente impossibile. Del resto, che ci sia una strana coincidenza di misure prese su scala globale, lo si vede anche dai simboli scelti a partire dalla museruola e proseguendo con il “distanziamento sociale”, termine in uso non solo in Italia ma ovunque per definire l’obbligo a non avvicinarsi l’un l’altro. Perché si è scelto di chiamarlo così? Perché l’obiettivo è proprio quello, dichiarato sfacciatamente, di abituare le persone a stare lontane le une dalle altre, se fosse solo una misura di carattere sanitario lo avrebbero chiamato, molto più propriamente, distanziamento fisico. Ad ingigantire l’aspetto minaccioso e minacciante di queste misure c’è il divieto, amministrativo, di circolare dopo le 22, che viene però tradotto con un linguaggio mutuato dal codice militare in coprifuoco, e chi viola il coprifuoco, in tempo di guerra, si sa che è destinato alla corte marziale. Le parole non si scelgono mai a caso, soprattutto se scelgono tutti le stesse. Ora, le conseguenze di queste scelte sono già evidenti soprattutto sul piano economico, con effetti che sappiamo bene saranno talmente devastanti da sancire la scomparsa di quella parte della classe media che aveva creduto al miraggio, tipico della fase precedente dello sviluppo capitalistico, della libera impresa in libero mercato, così ben simboleggiata dal sogno americano, in tempi rapidissimi. Vero è che il processo di progressiva riduzione ed impoverimento di questa fetta della classe media era già iniziato da tempo, basti pensare ad alcuni marchi simbolo della prima globalizzazione, tipo i MacDonald, e all’appiattimento culturale nonché all’impoverimento di popoli che hanno prodotto nel loro diffondersi, ma mai un simile obiettivo sarebbe stato raggiunto in così poco tempo se non ci fosse stata questa immensa accelerazione. Di questa classe media rimarrà solo chi a suo tempo scelse di servire direttamente i capitalisti stessi, mettendosi al servizio con zelo e scarso senso critico della sovrastruttura più importante che avevano costruito, lo stato nazionale. Si salveranno cioè dal disastro quasi esclusivamente solo i pubblici impiegati, naturalmente distanziati in telelavoro, opportunamente vaccinati e imbavagliati quando, pur terrorizzati, decidessero di mettere il naso fuori di casa. In fondo di servi scemi c’è sempre bisogno e ce ne sarà anche in futuro.

Intanto, nel terrore globale, la campagna di costruzione del consenso prosegue imperterrita, in modo peraltro trasversale, includendo anche alcuni di quelli che sono destinati ad estinguersi come classe. Con la promessa racchiusa nello slogan “non lasceremo nessuno indietro” e fatta di ricoveri e ristori, si è comprata anche la tacita compiacenza, o almeno rassegnazione, di quelli che oggi appaiono come implumi pulcini nel nido in pigolante attesa a bocca spalancata dell’imboccata di mamma-stato. Quando però mamma-stato giudicherà non più necessario imboccarli allora quei pulcini, ormai cresciuti ed assuefatti all’imboccata, dovranno lasciare il nido e si accorgeranno, disperati, di non aver mai appreso a volare, e, inevitabilmente, precipiteranno giù, non in grado di procurarsi il cibo da soli. Fuor di metafora, una volta esauriti ricoveri e ristori, questa ex classe media, spesso fatta anche di piccoli proprietari di case o altri beni, si ritroveranno nella condizione di accettare qualunque forma di pelosa assistenza che garantisca loro la sopravvivenza, anche rinunciando al loro status sociale. Sorprende, ma forse non troppo, la rassegnazione mediante la quale viene accettato tutto questo, ma forse la ragione sta nel senso di appartenenza alla classe dominante di queste persone, le quali coltivano probabilmente l’illusione che i loro “fratelli” borghesi, incappucciati o meno, alla fine, non li abbandoneranno. Vero è che qualche timido tentativo di protesta si è visto, tipo l’iniziativa #ioapro del 15 gennaio, ma il livello di adesione è stato molto più basso di quello che la gravità della situazione avrebbe richiesto. Ma niente paura, un bel reddito di cittadinanza non si nega proprio a nessuno, neanche ai mafiosi come mostrano recenti cronache giudiziarie.

Fin quando durerà questo “stato di emergenza”? Fin quando non si sarà raggiunto un numero sufficientemente alto di persone, diciamo attorno all’80% della popolazione, disposto ad accettare qualsiasi cosa pur di uscirne, dalla paura in primis, sia essa del virus, della morte o semplicemente di un futuro non più visibile all’orizzonte. Facile prevedere che, pertanto, anche la sindemia-pandemia durerà il tempo necessario, essendo il vaccino nient’altro che il simbolo dell’atteso gesto salvifico, magnanimamente elargito dai futuri padroni del mondo. A poco servono e serviranno le voci dei sempre più numerosi medici che, numeri alla mano, si sgolano per mostrare che la cura c’è già e che non c’è nessun bisogno di aspettare la salvezza dall’alto, basta usare farmaci e rimedi che pure già ci sono; voci alle volte, rare, levatesi anche dai media mainstream2. Per far meglio capire che aria tira si è addirittura arrivati alla minaccia di espulsione dall’ordine dei medici in diretta TV da parte di un viceministro che, sia detto per inciso, non ha neanche l’autorità per pronunciare simili minacce3. Nel frattempo è partita, piuttosto in sordina, un’altra operazione, questa volta tesa ad eliminare qualsiasi forma di espressione, anche artistica, non gradita e non emebedded. Si sta svolgendo sotto gli occhi di tutti, infatti, l’orgia dell’epurazione del politically incorrect a favore del politically correct deciso al solito dalla casta dei potenti. E così apprendiamo, attoniti, che Dumbo e gli Aristogatti vanno censurati poiché razzisti4, e c’è già chi chiede la messa al bando di Dante Alighieri in quanto antisemita ed islamofobo5! A che serve un’assurdità simile se non ad abituarci all’idea che, fra non molto, ci sarà chi, sempre benevolmente, deciderà che film possiamo guardare, che libri leggere e, probabilmente, quali opere d’arte potranno essere esposte e quali no? Docili ed obbedienti, così ci vorranno, e ne vedo già troppi in giro pronti già da ora ad esserlo. In cambio, bontà loro, ci “manterranno” col famoso reddito di cittadinanza. Di nuovo, visto che le parole non si scelgono a caso, perché mai hanno scelto di chiamarlo così ed anzi, proprio sul nome, ci fu un’impuntatura degna decisamente di miglior causa del movimento 5 stelle? Perché non si è scelto di chiamarlo, ad esempio, salario d’ingresso o ancora salario minimo garantito, tutte rivendicazioni peraltro fatte negli anni che furono? Perché proprio di questo si tratta, di una forma di reddito garantita in quanto cittadini e non più attori sociali, pertanto via qualsiasi riferimento al salario che sottende, infidamente e pericolosamente, la richiesta, se non la rivendicazione, del diritto ad essere attivi e non solo passivi nel corpo sociale, questo nel nuovissimo ordine mondiale non sarà più concesso.

Se così pertanto la questione del panem è bella che sistemata, resta aperta quella dei circensem, che saranno fondamentali per tenere buone e sufficientemente ottuse le masse di sfaccendati che l’essere membri della “cittadinanza” produrrà. Spettacoli su spettacoli pertanto, purché politically correct, altrimenti faranno la fine di Dumbo e degli Aristogatti. Si spiega così la precipitosa ripartenza delle competizioni sportive professionistiche, calcio in primis, in palese e stridente contraddizione con il prolungarsi di chiusure di cinema, teatri, sale da concerto; non sia mai che a qualcuno, di questi tempi, non venga in mente di mettere in scena una piece di Brecht o altri autori pericolosi che, ogni tanto, fanno riflettere qualcuno. Nel mondo del futuro spazio per giullari di corte ce ne sarà in abbondanza, ancor di più di quel che vediamo già oggi, purché accettino il loro ruolo subalterno di servitori dei nuovi padroni. In cambio, saranno adeguatamente compensati, così come lo sono già i vari politicanti che, in giro per il mondo, fingono di prendere decisioni quando in realtà stanno recitando solo un copione scritto altrove e da poche mani. Eccola la nuova classe media, quella dei cavalier serventi, ma di nuovo i padroni di tutto sapranno essere riconoscenti, e, almeno ad alcuni di loro, sarà riservata una vita fatta anche di lussi ed agiatezze, le avanguardie le vediamo già, basti vedere lo stile di vita di alcune star dello sport o di Hollywood. Intanto, ci vaccinano anche contro la cultura.

Così facendo il grande reset di Klaus Schwab6, ripreso a Davos7 e ribadito da Ursula Von Der Leyen8, la quale ha anche il “merito” di aver esplicitato che la pandemia è un’opportunità non solo per il grande reset ma anche per il green deal, è bello che apparecchiato. La casta dei proprietari potrà finalmente avere le mani libere e, grazie anche all’impennata tecnologica legata al 5G ed altro, potrà pianificare a suo piacimento il futuro, e ci sarà spazio anche per il green deal, in modo da rendere non solo meno amara la pillola, ma addirittura passare per salvatori del pianeta a fronte della catastrofe incombente. Lasciateci fare, sembrano dirci, stiamo lavorando alacremente per il benessere ed il futuro di tutti.

Può un piano simile trovare realizzazione? È possibile se non probabile, ma non è scontato. Ci sono infatti alcune variabili che non è detto vadano al loro posto, sempre secondo i piani di alcuni. La prima, già citata, la Cina. Accetterà di buon grado di accontentarsi di un posto a tavola oppure vorrà essere lei alla guida del cambiamento? Alcuni segnali inducono a pensare alla seconda ipotesi come più probabile, non ultimo il discorso fatto da Putin proprio a Davos, in teleconferenza per la verità, nel gennaio 20219. Se si ascolta con attenzione parla in modo chiaro dell’esistenza di un asse russo-cinese ed anzi, invita gli europei a scegliere da che parte stare. Di nuovo, non chiedetemi da che parte sto io, se devo scegliere se abbrustolirmi sulla padella o sulla brace scelgo di abbrustolirmi al sole su qualche spiaggia, quello almeno non tradisce mai, neanche quando abbrustolisce.

La seconda variabile è la presa di controllo totale sull’economia e sui flussi monetari, la recente accelerazione verso la moneta elettronica con tanto di ridicoli incentivi tipo lotteria dello scontrino ne è solo un esempio. Tuttavia si notano forme di resistenza passiva, non tutti rinunciano al contante ed anzi alcuni, consapevoli che consegnare tutto il proprio denaro alle banche può essere pericoloso, fanno del pagamento in contante quasi una scelta ideologica. Del resto non mancano esempi, nel passato anche recente, di vere e proprie rapine effettuate ai danni dei correntisti. Molti di noi ricorderanno il prelievo forzoso una tantum di Amato dai conti correnti degli italiani i quali andarono a dormire ignari e si risvegliarono col conto corrente alleggerito nottetempo. Ancora più clamoroso è il caso dei ciprioti i quali, nel 2008, in piena crisi economica che colpì gravemente come sappiamo anche e soprattutto la Grecia, si ritrovarono improvvisamente con le banche chiuse d’autorità e quando finalmente, dopo circa una settimana, le trovarono riaperte, ebbero l’amara sorpresa di scoprire che i loro conti erano stati praticamente saccheggiati. Inoltre, esistono già embrioni di economie alternative al denaro, forme di baratto organizzato già sperimentate per esempio in Emilia-Romagna e, sotto certi aspetti, anche a Roma e provincia e forse anche altrove. Del resto, almeno nello spirito originario, anche la banca del tempo andava in direzione della creazione di forme di economia sganciate dalla mediazione del denaro, anche se poi non ha saputo sfuggire fino in fondo alle dinamiche tipiche di una società mercantile. Ma il grande reset per riuscire ha bisogno del controllo totale dei flussi economici, anche per poter continuare a generare denaro dal nulla, non ci si dimentichi infatti che ad ogni transazione elettronica si paga una commissione che, per quanto piccola, va a finire appunto nelle casse delle grandi centrali finanziarie mondiali. Se si moltiplicano queste microcommissioni per tutte le transazioni che avvengono giornalmente su scala planetaria ecco qua che viene fuori una cifra enorme, prodotta quotidianamente e a tutti gli effetti indebitamente sottratta dalle tasche dei cittadini. Così si spiega la ritrosia ad annullare le commissioni sulle microtransazioni elettroniche da parte dei governi essendo le commissioni stesse uno dei modi che il sistema ha trovato per finanziarsi, essendo l’altro, come già detto, il debito privato. Anche per questo scopo la sindemia-pandemia rappresenta un’opportunità, dato che i soldi alle micro e piccole imprese per andare avanti sia pur boccheggiando li hanno dati non lo stato ma le banche, sotto forma di prestiti garantiti dallo stato ma che difficilmente verranno restituiti almeno in toto. Nel frattempo, anche questi prestiti sono diventati merce di scambio sul mercato borsistico e già da subito generano profitti per i loro “generosi” elargitori. Se poi non rientreranno tutti pazienza, ci penserà lo stato col fondo di garanzia, oppure, alle brutte, qualche immobile in giro sul quale rivalersi lo si trova.

La terza variabile è il fattore umano. Che l’umanità, per quanto terrorizzata ed in messianica attesa della salvezza, accetti tutto di buon grado, è da dimostrare. Ci sono infatti dei fattori nelle vicende umane che risultano incalcolabili ed imprevedibili, bene lo sanno i militari, i quali considerano il fattore “morale delle truppe” come uno dei fattori da tenere da conto in battaglia, sebbene per l’appunto incalcolabile, e ben lo sanno anche gli economisti, i quali si dannano l’anima e si rompono la testa nel tentativo, inutile, di rendere prevedibile e calcolabile il fattore “fiducia” per prevedere l’andamento dei mercati borsistici. L’essere umano è un organismo complesso, e la complessità, Mandelbrot insegna, sfugge alla prevedibilità, troppe le varianti in gioco per poterle conteggiare tutte.

Per tutte queste ragioni l’esito del grande reset è tutt’altro che scontato, ma se, come auspico, il progetto dovesse fallire, bisognerà fin da ora prepararsi ad un dopo, visto che il semplice ritorno allo status quo ante non è ragionevolmente possibile. Mai nella storia infatti, neanche dopo la Restaurazione del 1815, le cose sono tornate esattamente come prima, e cambiamenti più o meno profondi ci saranno per forza. Ad oggi devo constatare che le forze resilienti, e che si spera ben presto divengano resistenti, difettano proprio sul piano della proposta. C’è chi propone l’uscita dall’Euro come soluzione taumaturgica, come se la sostituzione di una moneta con un’altra moneta risolva la questione della supremazia del denaro su tutto il resto, o chi chiede il rispetto, sic et simpliciter, della costituzione ritenendo, forse a torto, illegittimo il protrarsi dello stato di emergenza. Se anche fosse cosa cambierebbe? Cambierebbero ipso facto le politiche sanitarie? Di colpo le cure esistenti, oggi sistematicamente boicottate dalla politica, saranno la bussola che ci guiderà verso il sol dell’avvenire? Ci sarà la rivoluzione a colpi di idrossiclorochina? Personalmente ritengo che sia necessario un salto di qualità nella proposta, non è sufficiente la difesa, sia essa della sovranità nazionale, della costituzione o della libertà di cura. È tempo di passare all’offesa, da troppi decenni si sta sulla difensiva, a partire dal 1985 con il referendum sulla scala mobile. Da allora è tutto un lungo elenco di battaglie difensive, molte perse, qualcuna vinta, buona ultima quella sul fallito tentativo di riforma costituzionale di Renzi, ma nessuna che vada nella direzione di fare un passo in avanti piuttosto che di evitarne uno indietro. Mi associo al coro di coloro i quali sostengono che la pandemia è un’opportunità, ma per invertire quella rotta che si è intrapresa con lo sciagurato referendum del 1985. In questo senso vorrei partire da una riflessione: se oggi vediamo trionfare la a-democrazia del si o no, quella binaria del computer, quella che non conosce né grigi né forse, è in gran parte dovuto al fatto che c’è un deficit di democrazia, su scala mondiale, assolutamente evidente. È su quello che si costruiscono gigantesche campagne mediatiche di manipolazione di dati e coscienze; il progressivo allontanamento dei cittadini dalla politica, sintetizzato nel celebre luogo comune del “tanto sono tutti uguali”, significa un progressivo allontanamento dalle sedi di discussione, prima rappresentate dai grandi partiti di massa e dalle grandi organizzazioni del lavoro, entrate oramai anch’esse in crisi irreversibile. In altre parole, meno i cittadini partecipano e meno sanno, meno sanno e più facilmente si manipolano, più facilmente si manipolano e più facile sarà il reset. Anche qui però il ritorno al passato con sezioni di partito gremite e milioni di lavoratori iscritti ai sindacati sono solo nostalgici e sterili echi di un’epoca che si è definitivamente chiusa, niente di tutto questo sarà più ormai. Però è di primaria importanza, a mio giudizio, capire quale ruolo quelle organizzazioni di massa hanno svolto nel patto sociale che si è andato configurando dopo la seconda guerra mondiale e sigillato dalla carta costituzionale del 1947. In una forma di democrazia basata sulla delega, come del resto è ogni democrazia parlamentare, le organizzazioni di massa rappresentano, o hanno rappresentato quando funzionavano, luoghi dove esercitare la democrazia diretta. Infatti, le discussioni e, alle volte, le decisioni, che lì venivano fatte, costituivano l’unico momento nel quale vasti settori del popolo entravano nel vivo dei problemi, se ne appasssionavano e ne acquisivano consapevolezza. Adesso tutto questo è stato spazzato via, pertanto la delega, data attraverso il voto, è diventata un semplice rito, utile solo a giustificare le scelte che verranno prese al di fuori di qualsiasi vincolo di mandato. In più, la perdita di ruolo e funzione dei parlamenti nazionali con trasferimento di potere ad organi neanche eletti come la commissione europea, filiazione come abbiamo visto della prima globalizzazione capitalistica, ha accentuato il senso di distacco profondo dei cittadini verso il “palazzo”, qualunque esso sia e ovunque collocato, sia Roma o Bruxelles o addirittura Washington, di Davos non c’è ancora sufficiente consapevolezza in giro. In altre parole, delle due gambe sulle quali poggiava la democrazia parlamentare fin qui conosciuta, una, quella legata al ruolo di motore della partecipazione sociale al dibattito ed al processo decisionale svolto dalle grandi organizzazioni di massa, è clamorosamente e fragorosamente venuta meno. Quella superstite, la rappresentanza parlamentare, si è pertanto ritrovata svincolata ed autonoma dalla società, e come tale è oggi percepita. Quindi, per iniziare, non di difendere la costituzione si tratta, bensì di riscriverla, immaginando per il futuro, se ci sarà concesso di averne uno, forme di democrazia diretta e partecipata strutturali e non più delegate ad organizzazioni che, sembrerebbe, hanno esaurito il loro ruolo storico. Finché avremo masse passive e scarsa partecipazione alle cose della vita pubblica e del vivere comune avremo sempre davanti masse manipolabili, ed il grande reset, anche se fosse respinto ora, potrebbe risultare vincente in futuro. Del resto, grazie al “distanziamento sociale”, si è tagliata fuori anche l’agorà, la piazza, luogo naturale di confronto e scambio di idee tra persone, sostituendola con l’arena, che altro non è che i cosiddetti social network, più appropriato sarebbe chiamarli unsocial, dove quotidianamente si scontrano, e non si confrontano, le schiere dei moderni gladiatori.

Non desti stupore una simile proposta, del resto se andiamo a ben vedere, le forme della democrazia si sono evolute in maniera relativamente repentina in un lasso di tempo piuttosto breve. Infatti, nel giro di praticamente due secoli, siamo passati dalle monarchie assolute a quelle costituzionali, dapprima con parlamenti aventi solo un ruolo consultivo con delegati eletti col criterio del censo, a monarchie costituzionali con parlamenti con potere decisionale eletti a suffragio universale solo maschile, a repubbliche parlamentari elette questa volta a suffragio universale. Forse è proprio la democrazia per delega ad essere entrata irrimediabilmente in crisi, al pari del livello dello sviluppo capitalista che la aveva accompagnata e, verrebbe da dire, voluta. È tempo di pensare a forme più dirette e partecipate di controllo popolare, unico antidoto contro le nascenti, o rinascenti, oligarchie. Per questo ci vuole un nuovo e più avanzato patto costituzionale, per rimettere il popolo sovrano al centro dei processi decisionali dai quali oggi, a buon diritto, si sente esautorato. Ebbe a dire Enrico Berlinguer che non c’è socialismo senza democrazia, io aggiungo che ogni passo in avanti verso la conquista di una democrazia sempre più reale e partecipata è un passo in avanti verso il socialismo.

  1. https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)32000-6/fulltext.[]
  2. https://www.facebook.com/corvelva/videos/454624299027739.[]
  3. https://www.la7.it/piazzapulita/video/covid-lo-scontro-tra-il-viceministro-sileri-e-il-dott-amici-siamo-tornati-al-1500-non-sa-manco-come-29-01-2021-362200.[]
  4. https://www.ilcapoluogo.it/2021/01/26/disney-plus-censura-dumbo-e-peter-pan-contenuti-razzisti/.[]
  5. https://www.corriere.it/cultura/12_marzo_12/divina-commedia-eliminare-gherush92_674465d8-6c4e-11e1-bd93-2c78bee53b56.shtml?fbclid=IwAR3tEA71DZ4zi4wa08h25DCVGn1yuurFiHTLlrn03RcH1fKJ33_jHZf-pkA.[]
  6. http://reparti.free.fr/schwab2020.pdf.[]
  7. http://www3.weforum.org/docs/WEF_Global_Risk_Report_2020.pdf.[]
  8. Un estratto del discorso di Ursula Von Der Leyen a Davos 2020: https://www.facebook.com/100010836456957/videos/1233582217012982/ Il discorso completo a Davos 2021: https://www.youtube.com/watch?v=dPcMTsWuF20.[]
  9. https://www.youtube.com/watch?v=ACA7k58aazs&feature=youtu.be&fbclid=IwAR2qSY5jq1PJpEI7NYikI4nYiCCTMNfzz_fnCFspbfBWnZT3KBWJzzNxM_I.[]
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3 Commenti. Nuovo commento

  • nonnoFranco
    11/02/2021 16:33

    Il Potere, nato dal perverso accordo tra sciamani e guerrieri, sembra mutare, ma lo scopo è sempre lo stesso: mantenere il controllo sociale, economico e politico sulla plebe. Con la violenza, le bugie, i cortigiani, la creazione di un nemico.

    Rispondi
  • Paolo Ospici
    11/02/2021 22:02

    Solo per ringraziare sinceramente e sentitamente la redazione per aver pubblicato questo mio scritto, non pensavo meritasse tutto questo spazio e considerazione, grazie ancora

    Rispondi
    • redazione
      23/02/2021 8:41

      Caro Paolo, lasciamo il giudizio ai lettori e alle lettrici… e grazie per il tuo articolo! 🙂

      Rispondi

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