Gli avvenimenti attorno al caso Navalny, il blogger e politico russo avvelenato lo scorso agosto durante un suo viaggio in Siberia e rientrato il 17 gennaio da una lunga permanenza in Germania, vedono sviluppi che potrebbero avere conseguenze inaspettate per la politica interna e estera di Mosca. Le manifestazioni del 23 e del 31 gennaio scorsi nelle principali città russe sono state diverse per partecipazione e intensità, con mobilitazioni significative in centri regionali come Ekaterinburg, Saratov, Iževsk e Vladivostok, mentre a Mosca e a Pietroburgo si son registrati fermi e arresti record e un largo impiego delle forze dell’ordine nello sgomberare le strade del centro, spesso ricorrendo alla violenza. Vi sono strascichi importanti, perché ancora in questi giorni, attraverso le telecamere presenti nel centro di Mosca si procede agli arresti, e a causa della mancanza di posti liberi nei commissariati e nelle prigioni della capitale, alcune centinaia di arrestati son stati trasferiti al centro di detenzione temporanea per i cittadini stranieri a Sacharovo, distante 40 chilometri dal locale raccordo anulare. Anche i cortei spontanei dopo la sentenza di commutazione della pena da condizionale a effettiva per Navalny lunedì scorso son stati dispersi senza troppi complimenti, con ulteriori fermi di polizia. Nei giorni successivi, dallo staff del politico è arrivata la dichiarazione di non voler continuare con la convocazione delle piazze, rimandando alla bella stagione una seconda fase di mobilitazioni, fino a giungere alle elezioni per la Duma, previste a settembre.
Tutto rimandato? In realtà, le conseguenze a prima vista inattese si manifestano già in questi giorni, anche per vie traverse. A Saratov il deputato del parlamento regionale Nikolaj Bondarenko, popolare esponente del Partito comunista della Federazione Russa (Kprf), con oltre un milione di follower nel suo canale YouTube, è stato arrestato l’8 febbraio per aver partecipato alle manifestazioni non autorizzate, a cui si è aggiunta l’accusa di aver finanziato Navalny attraverso donazioni online dirette al Fondo per la lotta alla corruzione (FBK) del blogger. Bondarenko aveva dichiarato di voler candidarsi nel collegio maggioritario di Saratov contro l’attuale speaker della Duma statale, Vjačeslav Volodin, uno degli uomini chiave del sistema putiniano. Il caso del deputato regionale è solo l’espressione di un diffuso sostegno alle mobilitazioni di piazza in un settore del Kprf, intenzionato a dare un maggior profilo di protesta al partito con la partecipazione, a titolo personale o come organizzazioni locali, ad azioni antiputiniane, soprattutto in alcune regioni e a Mosca. Dei partiti presenti alla Duma, solo tra le fila dei comunisti vi sono reazioni simili, un elemento interessante in vista del congresso del partito previsto per aprile, e che potrebbe aprire scenari inediti anche in chiave elettorale.
Anche nelle relazioni estere vi sono conseguenze impreviste legate al caso Navalny, soprattutto a proposito dei rapporti con l’Unione Europea. Le relazioni euro-russe da anni sono soggette a continui scossoni e improvvisi cambi di rotta. L’annessione della Crimea da parte di Mosca e le successive sanzioni nel 2014 hanno segnato il punto più basso a livello diplomatico ed economico, anche se in seguito vi sono stati tentativi di tornare alla normalità. L’avvelenamento di Navalny e il suo rientro in Russia, l’arresto e le manifestazioni di protesta con tanto di cariche e fermi di polizia, potrebbero segnare una nuova svolta nelle tormentate relazioni con Bruxelles, con molte incognite. Al centro di ogni discussione su nuove sanzioni contro Mosca, vi è il North Stream 2, progetto considerato strategico dalla Germania, e che Berlino vuol tener fuori da qualsiasi possibile provvedimento futuro.
Allo stesso tempo, la nuova ondata di repressioni in Russia consolida lo storico fronte ostile a ogni possibile riavvicinamento europeo, che vede nella Polonia e nei paesi baltici i principali protagonisti, spesso e volentieri sostenuti da Washington come proprie pedine all’interno della UE. Questa incertezza nella politica estera europea è emersa anche da quanto avvenuto in seguito alla visita di “mister Pesc” Josep Borrell a Mosca dal 5 al 7 febbraio e ai colloqui con il ministro russo degli esteri Sergej Lavrov. Se durante la visita Borrell non si è sbilanciato a proposito di nuove sanzioni, questa volta personali, nei confronti di Mosca, una volta rientrato a Bruxelles l’alto rappresentante della diplomazia europea ha ventilato tale possibilità come risultato del prossimo vertice dei ministri degli esteri dei 27 paesi membri il 22 febbraio. Anche da parte russa vi sono stati segnali di certo non distensivi, come l’annuncio dell’espulsione di tre diplomatici in servizio presso l’ambasciata tedesca a Mosca e i consolati polacco e svedese a San Pietroburgo proprio durante la visita di Borrell: i tre sono accusati di aver preso parte alle manifestazioni non autorizzate.
Si apre un nuovo periodo di incertezze tra Mosca e Bruxelles, dove si proverà a mantenere un fragilissimo equilibrio tra gli interessi dei paesi dell’Europa orientale, la Germania, e gli stati mediterranei nelle relazioni con la Russia. L’idea adombrata nei mesi scorsi di una gestione del dossier russo da parte di Berlino (con una parziale partecipazione francese), dettata anche dai grossi investimenti tedeschi e dal gas russo, sembrerebbe indebolita da un protagonismo ritrovato delle capitali baltiche e di Varsavia, probabilmente anche in vista di un maggior coinvolgimento statunitense in Europa. Vi sono però ancora tanti tavoli aperti, tra la Russia e l’Unione Europea: oltre alla questione energetica, ai problemi in Bielorussia, all’applicazione degli accordi di Minsk in Ucraina, vi è anche il vaccino, con la conferma dell’efficacia dello Sputnik-V e un suo possibile impiego in altri paesi del continente. Come e quanto le turbolenze interne russe condizioneranno questa partita complessiva, sarà oggetto di analisi e di non poche sorprese nei prossimi mesi.