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Albania, Pdl 1660, Decreto Flussi, tante armi contro chi arriva

di Stefano
Galieni

Le due “missioni” della nave Libra, imbarcazione della marina militare già coinvolta nel mancato soccorso di centinaia di persone affogate al largo di Malta l’11 ottobre, 2013 (la cosiddetta “strage dei bambini”, si sono concluse in maniera a dir poco catastrofica. In base agli accordi sottoscritti col governo albanese la nave in questione, lunga 80 mt e dal peso di 1500 tonnellate, con 64 uomini di equipaggio a cui si aggiunge personale Unhcr e Oim, è uscita in mare due volte dall’inizio dell’esternalizzazione nel Paese delle Aquile, per andare nel Mediterraneo Centrale a soccorrere naufraghi, come noto quelli ritenuti vulnerabili, (donne, bambini, persone che certamente avrebbero ottenuto l’asilo, malati), sono potute entrare in Italia, per gli altri si aprivano le porte del CPR di Shëngjin e Gjadër, il primo, di smistamento sul porto, il secondo all’interno. Nella prima missione sono state salvate 89 persone, di queste solo 16 sono state considerate idonee al viaggio in Albania in quanto provenienti da paesi ritenuti dal governo italiano “sicuri” e quindi, con la quasi certezza di essere destinati rapidamente al rimpatrio. Due di loro erano però malate, altre due risultavano minorenni, i 12 rimasti nell’immenso centro, si sono visti prima rigettare la richiesta di asilo ma poi, colpo di scena, il loro trattenimento è stato sospeso e sono stati riportati in Italia. La ragione per cui il Tribunale di Roma ha preso tale decisione risiede nel fatto che il 4 ottobre scorso la Corte Europea, contestando la nozione del governo italiano di Paese sicuro aveva letteralmente rigettato le decisioni di Roma. L’Italia aveva indicato 22 Paesi, come quelli per cui, procedendo alla cd “procedura accelerata”, in 28 giorni, ricorso compreso, si poteva essere rimandati a casa. La definizione di “paese sicuro” della Corte Europea è però più approfondita e restituisce, almeno in parte, il valore soggettivo e non basato sul paese di provenienza, del diritto d’asilo. Per l’UE a cui tante volte ci si è adeguati con entusiasmo, non è sicuro un Paese in cui ci siano aree soggette a forti tensioni politiche, religiose, legate all’appartenenza ad un’etnia o a una minoranza, un paese in cui ci sono discriminazioni legate all’orientamento sessuale, in cui non sia garantita libertà d’opinione, quasi riprendendo l’articolo 10 della nostra Costituzione. Le persone imprigionate in Albania provenivano da Egitto (cfr omicidio Regeni) e il Bangladesh, in cui gli scontri politici sono all’ordine del giorno. Per tale motivo e rispettando una legge sovraordinante come quella europea, la giudice Silvia Albano, oggi costretta a vivere sotto scorta per le minacce ricevute, ha coerentemente disposto il rientro in Italia delle persone deportate.

Il governo ha deciso di continuare l’operazione, Il Consiglio dei ministri straordinario di lunedì 21 ottobre ha approvato un decreto per blindare le deportazioni dei migranti e rendere norma primaria l’indicazione dei Paesi sicuri per il rimpatrio. Dall’elenco di 22 Paesi, sono stati eliminati – pare per pressioni del Quirinale – Nigeria, Camerun e Colombia. Il giudice non potrà più disapplicare la norma, “ma se la ritiene incostituzionale – ha detto Nordio – può fare ricorso alla Consulta”, cosa che accadrà puntualmente, facendo slittare avanti di diversi mesi, a rimpatrio già avvenuto, ogni problema.

Anche questo tentativo, un po’ raffazzonato a detta dei giuristi, è andato a vuoto, mentre infatti alcune Procure si sono rivolte direttamente all’organismo europeo per contestare e rendere vana tale interpretazione e mentre alcuni parlamentari dell’opposizione preparavano un esposto alla Corte dei Conti contro il Governo per il danno erariale provocato con questa operazione, costata in tutto centinaia di migliaia di euro alla collettività, la Libra riprendeva il largo.

Questa, volta hanno bloccato “l’immigrazione incontrollata” con cui si motiva tanto impegno, fermando 8 persone (otto), provenienti dagli stessi Paesi dell’esperienza precedente. Uno, appena arrivato al porto in Albania è stato rimandato in Italia per problemi sanitari, altri due hanno ottenuto l’asilo politico mentre per i restanti 5 è scattata ancora una volta l’interpretazione della normativa europea e il loro trattenimento è stato sospeso. Sono stati immediatamente riportati in Italia. Il Viminale intende costituirsi di fronte alla Corte di giustizia europea per sostenere le proprie ragioni dopo le decisioni dei giudici, ma nel frattempo, come si apprende da uno dei legali dei migranti, Gennaro Santoro, la stessa sezione per l’immigrazione del tribunale civile di Roma ha sospeso almeno quattro dei dinieghi all’asilo per altrettanti cittadini migranti bangladesi e egiziani, deportati con la prima missione.

La motivazione, riportata nel dispositivo, fa riferimento alla decisione che dovrà essere presa dalla Corte europea di giustizia a cui il tribunale romano si è appellato. Nel decreto, che fissa una nuova udienza per i migranti, si legge anche che “non è disponibile la videoregistrazione dell’audizione innanzi alla commissione territoriale”. Un’altra anomalia delle spese pazze dei centri di trattenimento e rimpatrio di Gjader: per le 22 aule per lo svolgimento delle udienze in via telematica è stato speso più di un milione di euro. Ma le videoregistrazioni non ci sono.

Difficile capire se ci saranno ulteriori operazioni di propaganda elettorale in questa settimana sempre utilizzando le vicende già elencate, nel frattempo 50 agenti di polizia, di stanza in Albania, sono tornati in Italia, lasciando i centri quasi vuoti.

Al di là dei miseri attacchi inferti a giudici che, secondo Salvini, “dovrebbero candidarsi con Rifondazione Comunista” (si ringrazia per la pubblicità indiretta), o delle dichiarazioni del fascista 4.0 Elon Musk che, anche se statunitense, vorrebbe far cacciare i magistrati italiani che applicano le leggi, la situazione determinatasi in Albania è nel caos più totale. Somiglia più ad un tragico vaudeville che ad un’azione, anche criticabile, di contrasto all’immigrazione irregolare e rischia di produrre, ce lo auguriamo, un enorme effetto boomerang.

Ma la repressione contro le persone migranti è nel dna di questa destra come nella storia più misera del Paese. Dopo la promulgazione della Bossi – Fini, ancora in vigore, frutto di emendamenti restrittivi alla legge Turco Napolitano, sono intervenute una sessantina di modifiche in 22 anni per rendere la vita a chi viene in Italia, sempre più impossibile. E, si badi bene, parliamo di leggi che, in gran parte, non hanno operato unicamente in funzione delle sacre parole “ordine e sicurezza”, ma soprattutto per disciplinare il mercato del lavoro. Il governo Meloni opera un innalzamento dell’asticella che rende ancora più chiaro il disegno: da una parte, dopo tanti anni di governi tecnici se non di centro sinistra, un piano di ingressi regolari, soprattutto per lavoro stagionale, su base triennale, per soddisfare solo in minima parte le richieste delle imprese. Dall’altra l’accentuazione di elementi normativi discriminatori e lesivi di ogni dignità ma perfettamente in regola con il paradigma della guerra in cui l’Europa è immersa. Siamo, purtroppo certi che in tal senso l’Italia è da anni un laboratorio in cui anticipare leggi repressive, che all’inizio colpiscono esclusivamente o quasi le persone migranti ma potranno divenire norma per chiunque osi rifiutare le condizioni date e le limitazioni democratiche imposte.

L’1660 ultima frontiera della repressione

Per chi è giunto in Italia, le indicazione contenute ad esempio nel Pdl 1660, prossimo ad essere approvato in Senato, contengono elementi che faranno in filigrana, parte dell’applicazione concreta del New pact on migration and asylum, realizzato nel settembre del 2020 e che nel 2026 riguarderà l’intera UE. E anche questo Patto sarà la chiave di volta per delimitare la vita di tutte le cittadine e dei cittadini europei che non accetteranno le nuove condizioni sociali.

Già dall’articolo 1 del testo, nella relazione si legge che “L’esperienza investigativa e giudiziaria mostra come siano stati numerosi i soggetti trovati in possesso di documentazione ascrivibile a gruppi terroristici internazionalmente riconosciuti, nei confronti dei quali, tuttavia, il giudice penale non ha potuto fare a meno di assolverli, per la parte relativa alla mera detenzione documentale, dalle fattispecie loro contestate. Tuttavia, il procacciamento di materiale idoneo a facilitare la commissione delle suddette attività sovversive costituisce condotta di per sé allarmante e pericolosa, a livello sociale, indipendentemente dalla effettiva realizzazione di atti terroristici, in quanto sintomatica di una progressione capace di portare repentinamente alla commissione di atti violenza con finalità di terrorismo. È nota, al riguardo, l’abilità e la rapidità delle organizzazioni terroristiche di trascendere dalla dimensione concettuale a quella reale, soprattutto grazie alla pervicace diffusione di un’azione propagandistica confezionata appositamente non solo per condizionare ideologicamente e psicologicamente il potenziale affiliato o seguace ma, finanche, per insinuarsi e fornirgli «a domicilio» le motivazioni e gli spunti operativi per passare – anche isolatamente – all’azione. Si parla, a tal proposito, di «terrorismo della parola», in grado di alimentare, in forma sia orale che scritta, la macchina del terrore internazionale, come pure di innescare la radicalizzazione violenta che conduce al compimento di attività terroristiche.

Sul terreno di questo conflitto asimmetrico, combattuto con le parole, gli scritti, la retorica e il proselitismo, sono allora fondamentali le politiche generali di prevenzione della radicalizzazione, nel cui solco questo intervento si inserisce […] Il riferimento alla finalità di terrorismo consente di circoscrivere l’ambito di punibilità definito dalla norma alla raccolta delle sole informazioni dirette in modo non equivoco alla pianificazione o alla commissione di atti terroristici.

Le citate condotte sono sanzionate con la reclusione da due a sei anni. Si parla esplicitamente di “terrorismo della parola” e di associazioni che sono considerate terroristiche come il PKK curdo, ma anche come i movimenti di resistenza palestinese. Nei fatti si potrebbe essere condannati a reati che, come vedremo dopo, possono portare alla perdita della cittadinanza se si condanna il genocidio a Gaza, con un margine di interpretazione lasciato in mano ai tribunali o, peggio ancora, in quelle del Viminale. Non riguardano esclusivamente migranti ma colpiscono e intimidiscono le persone, anche di seconda generazione, nella loro espressione politica, alla faccia del “mondo libero” con cui ci si riempie la bocca.

Ulteriori accenni emergono con l’art 7 che specifica le ragioni con cui si potrà revocare la cittadinanza italiana. Tale perdita non sarà più limitata unicamente a chi è condannato definitivamente per reati gravi: con finalità di terrorismo o eversione dell’ordine costituito che comportino pene superiori ai 5 anni, alla ricostituzione, anche sotto falso nome o in forma simulata di associazioni sovversive di cui sia stato ordinato lo scioglimento; partecipazione a banda armata; assistenza ad appartenenti ad associazioni sovversive o con finalità di terrorismo, anche internazionale; sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento del terrorismo Due le modifiche alla legislazione attuale: da una parte si impedisce di togliere la cittadinanza a chi è apolide – banale buon senso che interviene – dall’altra si estende il periodo dall’ottenimento della cittadinanza in cui questa potrà essere revocata da 3 a 10 anni. Altro strumento per evitare alle tante e ai tanti che da tanto tempo sono concittadini, di esporsi a condotte considerate riprovevoli.

Con l’articolo 8 si interviene pesantemente nel contrasto all’occupazione arbitraria di immobili destinati a domicilio. Si introduce un nuovo reato nel codice penale. “Si tratta di un delitto – perseguibile a querela della persona offesa – volto a punire le condotte di quei soggetti che, mediante violenza o minaccia, occupano o detengono senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui, ovvero impediscono il rientro nel medesimo immobile da parte del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente. La pena prevista è quella della reclusione da due a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi si appropria di un immobile altrui, con artifizi o raggiri, o cede ad altri l’immobile occupato, nonché colui che – fuori dei casi di concorso nel reato – si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile, riceve o corrisponde denaro o altra utilità per l’occupazione”. Da notare come il nuovo reato che colpisce soprattutto ma non solo persone immigrate, magari cacciate dai centri di accoglienza, mette a repentaglio la cittadinanza per la pena che si rischia, dall’altra come si incentivi a scoraggiare ogni forma di sostegno alle occupazioni, anche dovute, come sempre accade a condizioni di necessità. Nel codice penale si prevede poi, nel comma 2, una specifica procedura per la reintegrazione nel possesso dell’immobile occupato. Il reato è comunque punibile d’ufficio se commesso per immobili pubblici o a pubblica destinazione e il testo che a lungo si sofferma su questa fattispecie di problema sociale risolto con utilizzo dell’ordine pubblico, disciplina in maniera ferrea la restituzione degli immobili ma non menziona affatto le condizioni in cui si ritroveranno a vivere le persone occupanti.

L’articolo 10 interviene invece sul DACUR, meglio noto come DASPO urbano, coniato nel 2017 da governi di centro sinistra. La sanzione pecuniaria che i sindaci potranno erogare e l’ordine di allontanamento dal luogo della condotta illecita “in violazione di divieti di stazionamento o di occupazione di spazi, limiti la libera accessibilità e fruizione di infrastrutture (fisse e mobili) ferroviarie, aeroportuali marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze : vi rientrano condotte come la «prostituzione con modalità ostentate» o «l’accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti» che, in senso più ampio, limitano o comunque recano disturbo alla libera fruizione di tali spazi da parte dei cittadini; chi – nei suddetti spazi – viene trovato in stato di ubriachezza, compie atti contrari alla pubblica decenza ovvero esercita il commercio abusivo . Se con le precedenti disposizioni in caso di recidività del comportamento suddetto, il questore poteva disporre l’allontanamento per un massimo di 12 mesi, oggi si aggiunge la possibilità di estendere tali divieti a persone comunque denunciate o condannate per reati contro la persona o il patrimonio. Un grado di discrezionalità che non ha eguali. Le sanzioni amministrative non sono ritenute dissuasive per simili comportamenti, meglio quindi prevedere condanne da sei mesi ad un anno e, nella forma aggravata, fino a due anni, “svolgendo così una funzione di prevenzione di possibili reati che costoro potrebbero ivi commettere”. L’articolo 11, più generalisticamente interviene per contrastare i blocchi stradali e/o ferroviari, altro cruccio degli ultimi governi, inserendo aggravanti speciali se tali atti sono realizzati da più persone che possono comportare due anni di reclusione. Perché riguarda le persone migranti? Uno dei comparti più conflittuali nel mondo del lavoro è quello della logistica, per fermare l’attività molto spesso chi lavora, in gran parte personale straniero, non può far altro che impedire l’uscita dei camion. Ecco un modo per scoraggiare tale forma di protesta ma guai ad intervenire su appalti e subappalti che dominano in questo comparto.

Di uno squallore abissale, nonché contraria alla Convenzione Onu per i diritti del fanciullo, l’articolo 12 che modifica alcuni articoli del codice penale in materia di esecuzione penale, in caso di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti). Il rinvio della pena per donne incinte e madri di prole fino a un anno viene reso facoltativo (attualmente è previsto come obbligatorio, salva la possibilità di disporre, in alternativa al differimento, la detenzione domiciliare. In tal modo tale ipotesi viene allineata a quella – già prevista in termini di rinvio facoltativo – della madre di prole di età superiore a un anno e inferiore a tre anni. Una disposizione studiata specificatamente per le madri rom

L’articolo 13 si scatena contro l’accattonaggio, guai a indagarne le ragioni in quanto questione sociale, si innalza il limite di età entro cui è punibile lo sfruttamento di minori – da 14 a 16 – si innalza la pena per tale condotta e si introduce il reato di induzione all’accattonaggio, anche con aggravanti se ciò avviene con minacce o violenza. Peccato che a pagarne le spese non saranno mai le ragioni che costringono, violenza o meno, a procacciarsi da vivere in questa maniera.  

Nell’articolo 18 si interviene, nonostante i reiterati suicidi e i pestaggi di detenuti, soprattutto migranti, con normative riguardanti la tutela dell’ordine pubblico nel contesto degli istituti di pena che viene rafforzata con un duplice intervento introducendo un’aggravante speciale a effetto comune per il reato di istigazione a disobbedire alle leggi, ove la condotta sia consumata all’interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni dirette a persone detenute e soprattutto istituendo il nuovo reato di rivolta all’interno di un istituto penitenziario. Il reato punisce le condotte di promozione, organizzazione o direzione e partecipazione una rivolta consumata all’interno di un istituto penitenziario da tre o più persone riunite, mediante atti di violenza o minaccia, tentativi di evasione o atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti. Anche la resistenza passiva (lo sciopero della fame?) diventano punibili. La descrizione delle modalità della condotta tipizza azioni già previste dall’ordinamento penitenziario, a giustificazione dell’impiego della forza fisica e dell’uso dei mezzi di coercizione da parte del personale degli istituti penitenziari. E tali azioni vengono normate, articolandole in diversi commi: circostanze aggravanti per il caso dell’uso di armi e di eventi di lesione o morte quale conseguenza della rivolta e nei casi in cui tali eventi avvengano immediatamente dopo la rivolta in conseguenza di essa. A maggior ragione questo vale, secondo il governo nei CPR e nelle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti). Si introduce, nell’ambito del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, un nuovo comma in cui è punito (con la reclusione da uno a sei anni) lo straniero o il cittadino dell’Unione europea (nei casi di trattenimento previsti dall’articolo riservato ai “neocomunitari” nel 2007, che – durante il trattenimento o la permanenza in una delle strutture, mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti, posti in essere in tre o più persone riunite, promuove, organizza o dirige una rivolta. La pena prevista è da 1 a 4 anni per chi partecipa alla rivolta, salvo il fatto che il nuovo reato sia commesso con l’utilizzo di armi (?) prevedendo il raddoppio delle pene. Se durante tali sommosse qualcuno dovesse perdere la vita, si rischiano da 10 a 20 anni, indipendentemente da chi sia il morto e da chi sia stato causato. A questo si aggiunge quello che è considerato un “mero coordinamento normativo” per aggiungere tale reato al T.U. sull’immigrazione. Nell’articolo successivo (20) si definiscono disposizioni in materia di licenza, porto e detenzione di armi per gli agenti di pubblica sicurezza). Si consente di fatto agli agenti l’impiego di armi diverse da quelle di ordinanza a soggetti che, senza licenza, comunque possono detenerla. A tal fine viene estesa agli agenti di pubblica sicurezza, rivalendosi di regi decreti del 1940 e del 1931, secondo cui «il Capo della polizia, i Prefetti, i vice-prefetti, gli ispettori provinciali amministrativi, gli Ufficiali di pubblica sicurezza, i Pretori e i magistrati addetti al pubblico Ministero o all’ufficio di istruzione, sono autorizzati a portare senza licenza le armi di cui all’articolo 42» del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, quindi di usare rivoltelle o pistole di qualunque misura. Gli agenti di pubblica sicurezza, finora autorizzati a portare solamente le armi di ordinanza, hanno spesso evidenziato la necessità di poter acquistare, detenere e portare, senza licenza, un’arma privata quando operano in borghese o non sono in servizio. Per quale ragione? L’intervento legislativo proposto è necessario anche per evitare gli effetti negativi derivanti dal detenere un’arma diversa da quella d’ordinanza quando non si è in servizio. Ovvero molti agenti hanno già armi senza licenza ma non possono usarle, in questa maniera si sana il danno. L’uso che ne viene fatto, in chiave repressiva, sovente superando la proporzionalità del reato in cui si incappa, motiva tale decisione. Questo proprio quando il Consiglio d’Europa ha ammonito il governo Italiano accusando le forze di polizia ivi operanti, di frequenti comportamenti razzisti e discriminatori.

Nell’articolo 21 si entra, col pretesto di contrastare il contrabbando di tabacchi, nel fatto che il capitano della nave nazionale che non obbedisce all’intimazione di fermo di una unità del naviglio della Guardia di finanza è punito con le pene stabilite dall’articolo 1099 del Codice della navigazione». Da applicarsi anche per le Ong? Anche chi commette atti di resistenza o di violenza contro una unità di naviglio della Guardia di finanza è punito con le pene stabilite dall’articolo 1100 del Codice della navigazione, alle citate condotte, pertanto, sono applicate le medesime pene stabilite dal richiamato codice suddetto, quando tali atti illeciti sono commessi ai danni di una nave da guerra nazionale. Poco conta se le fattispecie penali in parola risultano applicabili solo quando le unità della Guardia di finanza risultano impegnate in attività di vigilanza nello specifico settore. Citando il testo emerge che “Al riguardo, occorre evidenziare che i compiti istituzionali del Corpo hanno una rilevantissima proiezione nell’ambiente marino anche in altri comparti. Infatti, il quadro giuridico vigente demanda al Corpo della guardia di finanza le funzioni di: vigilanza in mare per fini di polizia finanziaria e concorso ai servizi di polizia marittima, assistenza e segnalazione ; concorso, anche con il proprio naviglio, alla difesa politico-militare delle frontiere e, in caso di guerra, alle operazioni militari; sicurezza del mare in via esclusiva – in relazione ai compiti di polizia, garantendo il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica in tale ambiente geografico – ivi compresa l’attività di prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare e conseguente direttiva sui comparti di specialità delle forze di polizia. In proposito, si rileva che specifiche competenze nel settore del contrasto del traffico illecito di migranti via mare vengono, altresì, demandate al Corpo dal decreto del Ministro dell’interno 14 luglio 2003 (Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina) e dal relativo accordo tecnico-operativo del 14 settembre 2005, i quali assegnano al medesimo Corpo – nelle acque territoriali e nella zona contigua – anche compiti di coordinamento dei mezzi appartenenti a diverse amministrazioni. “Pertanto, l’estensione dell’equiparazione quoad poenam del rifiuto di obbedienza e degli atti di resistenza o violenza contro unità di naviglio del Corpo della guardia di finanza «impiegate nell’esercizio delle funzioni istituzionali a esse attribuite dalla normativa vigente» assicurerebbe al personale del citato Corpo una maggiore tutela penale contro atti illeciti commessi a loro danno, quando impegnati nelle proprie attività istituzionali. Per le medesime finalità, tale tutela penale viene contemplata anche quando le condotte oggetto della norma punitiva in rassegna sono poste in essere da navi straniere. Tali modifiche sono state orientate a garantire la piena salvaguardia delle previsioni contenute dalle norme internazionali nella specifica materia

Non basta, con l’art 25, parlando di concessione dei benefici a detenuti ed internati, si estende il catalogo dei reati ostativi, quali ipotesi aggravata di istigazione a disobbedire alle leggi. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione potranno essere concessi solo a condizione che non sussistano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. L’articolo con cui il Pdl ha fatto sobbalzare molti è però il 32, una sorta di “last but not least”. Partiamo da due elementi: i tempi lunghi, non rispettosi degli impegni presi, con cui vengono rilasciati o rinnovati i permessi di soggiorno, di protezione speciale, gli status di rifugiato ecc… e lo stato di necessità in cui viene a trovarsi chi, in terra straniera, considera fondamentale mantenere un contatto con connazionali o col Paese di origine. Si modifica il codice relativo alle “comunicazioni elettroniche” introducendo questa grottesca novità. Le S.I.M potranno essere vendute da parte degli operatori solo se gli acquirenti osserveranno gli obblighi di identificazione, di fatto il possesso del permesso di soggiorno o di titolo equipollente. L’esercizio che non ottempera a tali norme può essere chiuso da 5 a 30 giorni e i gestori subiranno sanzione amministrativa. Una normativa che si esercita solo contro i richiedenti S.I.M. non appartenenti all’UE. Se tale “delitto” è commesso al fine della sottoscrizione del contratto, si rischia l’incapacità di contrattare con gli operatori, per un periodo che va da sei mesi a due anni. Non solo un provvedimento assurdo e discriminatorio, ma destinato ad alimentare il traffico illegale di tali schede e lo sfruttamento di chi intende magari solo comunicare ai cari la propria esistenza in vita, senza alcuna apparente allarme sociale a motivarlo.

Trappole anche nel “decreto flussi”

Anche il nuovo decreto che dovrebbe garantire l’ingresso regolare per motivi di lavoro, in parte stagionale, per donne e uomini provenienti da Paesi con cui ci sono accordi in tal senso, contiene interessanti retroscena. Fa per esempio discutere l’obbligo, da parte di chi arriva, di far visionare alle autorità i propri telefoni cellulari. Tra le misure che più hanno fatto discutere alla vigilia, l’obbligo, da parte dei migranti, di far visionare alle autorità i loro telefoni cellulari. Secondo il legislatore tale misura ha il solo scopo di garantire la corrispondenza dell’identità e la provenienza geografica. Secondo il sottosegretario Alfredo Mantovano. “I dati cui si avrà accesso sono solo quelli finalizzati all’identificazione o alla conoscenza della provenienza, con divieto, contenuto nella nuova norma, di accesso alla corrispondenza e a qualsiasi altra forma di comunicazione. È poi prevista la possibilità della presenza all’operazione di un mediatore culturale e sarà redatto un verbale. Questa ispezione deve essere comunque autorizzata dall’autorità giudiziaria”. Resta per chi scrive una inaccettabile interferenza nella privacy della persona esaminata. Si conferma l’accesso a 452 mila persone nel triennio 2023/2025, cifra ritenuta dalle imprese troppo bassa – se ne chiedono quasi il doppio – cambia la normativa dei cosiddetti click day che saranno differenziati per tipologia di lavoro, tanto per rendere ancora più complesso l’incontro persino fra domanda e offerta di lavoro. È questa logica del decreto che non funziona ma guai a spiegarlo al legislatore.

 

“È evidente – aveva dichiarato Alberto Favero, vice presidente di Confindustria Vicenza – che quella del ‘click day’ è una modalità che non ha più ragione di esistere. Una lotteria che niente ha a che fare col merito e niente ha a che fare con il fabbisogno del Paese, delle aziende e i diritti delle persone, con tantissimi datori di lavoro si sono sottratti alla logica da lotteria”. Insomma una norma che scontenta persino i padroni.

Per limitare il fenomeno degli ingressi gestiti dalle mafie, nel nuovo decreto è previsto un tetto massimo di domande per datore di lavoro. “Per l’anno 2025 – si legge – ciascun datore di lavoro persona fisica può presentare un numero di richieste di nulla osta al lavoro complessivamente non superiore a tre”, un limite che però non dovrebbe essere applicato alle richieste trasmesse dalle organizzazioni dei datori di lavoro della categoria di riferimento”. Sarà valutato lo storico delle aziende che accedono al “click day” per accertare eventuali anomalie: in molti casi si sono registrati un numero basso di assunzioni a fronte di richieste molto elevate. Inoltre, lo stesso datore di lavoro dovrà sottoscrivere il contratto di soggiorno entro e non oltre otto giorni dall’ingresso del lavoratore sul territorio italiano. Una norma che punta a dare un colpo al fenomeno del caporalato, che utilizza il miraggio del permesso di soggiorno per sfruttare i lavoratori nei campi lasciandoli in una sorta di limbo. Il nuovo testo prevede poi la sospensione dei nuovi visti di lavoro per chi arriva da Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka. Inevitabile notare come si condanna i cittadini e le cittadine provenienti da un paese considerato “sicuro” come appunto il Bangladesh, a poter entrare solo in maniera illegale. La ratio di tale norma resta ignota.

Inserite anche delle verifiche preventive al rilascio del nullaosta – o se il nullaosta è già rilasciato prima del rilascio del visto – per i cittadini di Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka, dove le irregolarità sono state le più pesanti. Questi paesi non escono dal decreto flussi ma nell’immediato il rilascio di visti di lavoro sarà sospeso per consentire verifiche effettive in Italia. Risibili o di fatto rifacentisi a norme mai applicate, i tentativi di erigersi a governo che combatte “situazioni di violenza o abuso” o comunque di sfruttamento del lavoro, che potranno giovare di un permesso di soggiorno, esteso a tutti i membri della loro famiglia, della durata di sei mesi e rinnovabile di anno in anno. L’obiettivo è permettere a queste persone di sottrarsi agli sfruttatori e al contempo avere accesso ai servizi essenziali, allo studio e poter svolgere lavoro autonomo o subordinato dopo l’iscrizione all’anagrafe. Si tratta infatti di rielaborazione di una mai realmente applicata legge contro il caporalato, soprattutto in agricoltura, partorita dopo la tragica morte del cittadino indiano Satman Singh nei campi dell’Agro Pontino. Ma nel decreto flussi entrano anche misure di “contrasto all’immigrazione illegale. L’intenzione è quella di facilitare la detenzione dei richiedenti asilo nei CPR, se sprovvisti di documenti di identità, passaporto o che non siano in grado di presentare “idonea garanzia finanziaria”. Da ultimo, non poteva mancare, una norma anti Ong con cui si intende limitare la libertà di azione dei velivoli utilizzati per la ricerca di migranti in situazioni di difficoltà nel mar Mediterraneo. Nel testo si legge che “gli aeromobili privati, anche a pilotaggio remoto, che, partendo o atterrando nel territorio italiano, effettuano attività non occasionale di ricerca finalizzata o strumentale alle operazioni di soccorso, avranno l’obbligo di informare di ogni situazione di emergenza in mare, immediatamente e con priorità, l’Ente dei servizi del traffico aereo competente e il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo responsabile per l’area in cui si svolge l’evento, nonché i Centri di coordinamento del soccorso marittimo degli Stati costieri responsabili delle aree contigue”. Non si tratta soltanto di un ulteriore passaggio burocratico che rallenterà i soccorsi e che prevede pene severe in caso di violazione, con sanzioni amministrative da 2 mila a 10 mila euro, ma del tentativo osceno di contribuire, inviando informazioni simili a governi come quello libico e quello tunisino, di incrementare i respingimenti illegittimi e indirettamente o direttamente, i naufragi.

In pochi mesi il quadro e le prospettive per chi vive già in Italia e per chi ci arriva, si fa più fosco, nonostante i fallimenti in Albania, ma attenzione. Si tratta di un cambio ulteriore di paradigma in cui ognuna/o di noi potrà essere il prossimo bersaglio.

 

Stefano Galieni

 

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