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Aiutiamoli a casa nostra

di Stefano
Galieni

Che differenza c’è fra l’oscenità della guerra e la distruzione arrecata da una catastrofe naturale? Da una parte si tratta di contesti radicalmente diversi: la guerra è dovuta a scelte umane scellerate, la seconda – anche se magari a volte ha nessi con i danni causati al pianeta o con il dissesto idrogeologico- può essere ricondotta a fenomeni naturali da sempre esistiti. In comune, a volte hanno il risultato prodotto. Si pensi al conflitto in Ucraina come ad uno dei tanti che insanguinano il mondo: morti, case distrutte, ambiente devastato, necessità di trovare altrove uno spazio per vivere, almeno temporaneamente. Ma le reazioni dei governi, di Paesi coinvolti indirettamente, sono diverse. Ci sono conflitti per cui vale la pena sostenere le popolazioni sfollate, magari donare armi ad una delle parti in causa – divenendo cobelligeranti, e conflitti da dimenticare, i cui prodotti percepibili, i profughi, vanno tenuti con ogni mezzo lontani dai nostri confini come dal nostro immaginario. Di fronte a catastrofi naturali immani, come il sisma che ha investito il sud est della Turchia e il nord est della Siria, nelle prime ore prevale un afflato di solidarietà. Si mandano aiuti per salvare i sopravvissuti, per curare le persone ferite, per prestare assistenza sul campo. Al punto che Paesi sull’orlo, negli stessi giorni, di innescare un conflitto anche nucleare, oggi, compatti, dichiarano di volersi prodigare in aiuti. Ma la logica, che di per sé ha un valore positivo, ne determina un’altra: “aiutiamoli a casa loro”.

Le città distrutte in Turchia e molte di quelle situate nel nord della Siria che il Presidente della Repubblica italiano ha, con poco tatto, dimenticato nei suoi discorsi, stanno subendo un dramma nel dramma. Molte sono città in guerra da anni, da quando l’esercito di Ankara ha deciso di eliminare la resistenza kurda, invadendo anche per una fascia di 30 km il territorio siriano. Da quando il presidente siriano Assad ha prima lasciato si che le milizie kurde Ypg combattessero contro lo Stato Islamico pagando un prezzo elevatissimo e poi permesso che i battaglioni di Erdogan, si scatenassero contro chi ha materialmente impedito l’espansione islamista. Tutt’ora ci sono centri abitati in Siria in cui è negata la possibilità di far giungere aiuti, tutt’ora si continua a bombardare come se nulla fosse. Il sisma catastrofico – impossibile ad oggi conoscere il numero delle vittime, dei feriti, di chi non ha più un tetto sotto cui ripararsi – ha colpito senza fare distinzioni. Jihadisti, combattenti per la democrazia e sostenitori dei due regimi, turchi, kurdi, siriani e delle altre minoranze, persino le donne e gli uomini rifugiatisi in Turchia dopo esser fuggiti dalla decennale guerra civile in Siria e dal regime di Ankara considerati affidabili al punto da poter ripopolare i villaggi distrutti dalla repressione anti kurda.

Forse a guardarli dall’alto, i paesaggi delle città ucraine bombardate e quelle distrutte dal terremoto, sono terribilmente simili: morte, polvere, distruzione e disperazioni. Il punto in comune è che a farne le spese sono intere popolazioni. E allora perché non partire da questo dato di fatto incontrovertibile? La Commissione Europea, con un atto di importanza storica, il 2 marzo del 2022, decise di stanziare alcuni miliardi di euro per le popolazioni ucraine e di applicare la direttiva 55 del 2001, per rendere meno difficoltoso a chi fuggiva, l’ingresso in Europa. Investimenti per la prima accoglienza, per l’inserimento scolastico dei minori, per l’avviamento al lavoro, per garantire i trasporti. Una scelta giusta. Persino una sorta di sburocratizzazione delle pratiche necessarie ad ottenere i titoli di soggiorno che ha permesso, in Italia ad esempio, a fine settembre erano oltre 171.500 le persone, in maggioranza donne e bambini, giunte attraverso questa direttiva, in Germania (dati inizio 2023), oltre 1 milione.

Il loro ingresso nei diversi nei paesi UE non ha creato grandi scompensi, soprattutto grazie agli incentivi messi a disposizione dalla Commissione, la loro presenza – considerata transitoria – non è considerata fonte di minaccia o in grado di far perdere consenso ai partiti, soprattutto del centro destra, di governo. E allora diviene opportuno rivolgere alla comunità internazionale una proposta: dopo che l’UE ha versato ad Erdogan miliardi di euro, in almeno 3 tranche, per fermare i profughi della guerra civile siriana, che arrivavano unicamente per chiedere asilo perché non predisporre canali sicuri e volontari di ingresso in Europa per chi ne ha bisogno? L’estensione della direttiva 55/2001 – che ad avviso di chi scrive dovrebbe valere per ogni persona che fugge – potrebbe almeno divenire un’ancora di salvezza per chi oggi è costretto ad abbandonare la propria terra a causa del sisma? Una proposta che porterebbe nei fatti a rimettere in discussione gli accordi con la Turchia del marzo 2016, in nome di ragioni prettamente umanitarie, garantendo una protezione temporanea in Europa a chi abita in quelle aree dei due Paesi colpiti dal terremoto.

Si tratta di uomini, donne, bambini, di cui soltanto oggi, la parte opulenta e guerrafondaia del pianeta, pare riconoscere l’esistenza, le case distrutte con l’immensa faglia che si è aperta col sisma sorgevano vicine ad abitazioni abbattute da caccia forniti dalle potenze mondiali e regionali della regione, ma a cui, se si toglie la breve parentesi del 2015, è stato negata qualsiasi prospettiva di futuro. Ci si provi oggi, come forma di risarcimento tardivo, a garantire una via di scampo, l’UE che sta giustamente fornendo risorse per la solidarietà col popolo ucraino, invece di alimentare i conflitti (la Turchia, Paese NATO chiede una fornitura di aerei F16), ne destini altrettante per sostenere, non necessariamente e non soltanto “a casa loro” chi oggi vive in un nuovo incubo. Ragionando in maniera pragmatica, partendo dal presupposto che una parte consistente di coloro che vorrebbero abbandonare, almeno temporaneamente, i propri paesi, potrebbero aver modo di ricongiungersi con amici e parenti presenti. Kurdi, siriani, soprattutto ma anche turchi vivono, tanto per antiche migrazioni dovute a ragioni economiche che, da almeno 25 anni, in quanto in fuga da guerre e repressioni, vivono stabilmente in Europa, costituiscono nel continente una rete sociale forte e in grado di accompagnare le istituzioni europee. Il contesto geopolitico in cui ci si trova è complesso e numerosi sono gli attori che intervengono premendo per soluzioni spesso non compatibili. Non è escluso che il cinismo che anima le diverse forse in campo, porti a considerare il cataclisma come un’opportunità per modificare i rapporti di forza in una delle aree centrali per l’equilibrio mondiale. Un nuovo impegno Usa e Nato, l’opportunità per Erdogan di imporre, anche attraverso gli aiuti, il proprio dominio, la possibilità per Assad di liberarsi dei fastidiosi elementi di dissenso interno? Comunque vada a rimetterci sono in questa fase le popolazioni disastrate che dovranno sopportare – come forma di aiuto – una presenza militare ancora più pressante.

Una sinistra alternativa e internazionalista dovrebbe considerare una soluzione di ordine umanitario ma dal forte impatto politico, come il minimo sindacale, come la messa in pratica concreta dei valori a cui si richiama. Una sinistra che pone la pace al primo punto della propria ragion d’essere non deve e non può accettare limitazioni alla libertà di movimento soprattutto di fronte a queste condizioni in cui non è possibile restare in silenzio o accompagnare una ricostruzione che non verrà certo realizzata sulla base dell’interesse collettivo. Se vuole essere tale, non si sparisca, come si è fatto tante e tante volte in passato, spostando i riflettori su una nuova crisi e lasciando, chi è rimasto senza nulla e con la sofferenza dei propri cari sommersi dalle macerie, da sola o da solo, a cercare di rialzarsi.

Stefano Galieni

Siria, terremoto, Turchia
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