editoriali europei

A tavola con le lobby

Che una parte rilevante dei gas serra derivino dal sistema agricolo-alimentare, lo abbiamo imparato da tempo. Ancorché tardivamente, la Commissione Europea ha avanzato una proposta per tentare di affrontare la questione, la Strategia Farm to fork, riduttivamente tradotta in “dal produttore al consumatore”; una espressione che da noi ha storicamente messo in evidenza l’intermediazione, spesso parassitaria. Qui si tratta invece di intervenire su tutti i momenti della filiera: dall’industria a monte della produzione agricola fino all’atto dell’assumere cibo, cogliendo in ciascuno di essi la politicità di ogni comportamento. Anche quando mangiamo stiamo compiendo un atto politico.

Naturalmente una questione di tale portata non poteva non scatenare la mobilitazione delle diverse lobby coinvolte nella filiera: da quelle dell’industria chimica e delle sementi, a quelle dell’agricoltura capitalistica, dell’impot-export e della grande distribuzione. Inevitabilmente, questo ha influito sulle timidezze e le lacune (per esempio il nesso con la PAC)  che mostra la proposta della Commissione. La Risoluzione, adottata il 19 ottobre 2021, dal Parlamento Europeo cerca di andare al di là di queste timidezze, ma è evidente che il suo testo finale ha dovuto fare i conti con posizioni diametralmente opposte e soprattutto con la potenza d’influenza delle lobby.

Non sorprendono più (anche se ne dovrebbe dare continuo scandalo) le posizioni antiambientaliste e di difesa di interessi corporativi dei Gruppi di destra, a cominciare da quelle espresse dai deputati della Lega e di Fratelli d’Italia. Ciò che siamo costretti a domandarci è: quali interessi hanno difeso i deputati italiani del PD, nel momento che in cui hanno votato un emendamento che tendeva a ridurre la portata politica della Strategia proposta dalla Commissione europea? E, solo per curiosità, cosa ha spinto Carlo Calenda ad astenersi nella votazione finale della Risoluzione?

I particolari nelle Notizie dal Parlamento Europeo.

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