Perché una rubrica dedicata al Parlamento Europeo
Sappiamo tutti che una quota importante del cosiddetto “deficit democratico” di cui soffre l’Unione Europea risiede proprio nelle limitazioni imposte dai Trattati ai poteri del Parlamento. Ciononostante, il Parlamento è l’Istituzione dell’Unione che condivide con il Consiglio il potere legislativo. Questo significa che, sebbene il Parlamento non abbia, tranne che per il Bilancio, un ruolo esclusivo nelle decisioni prese dall’Unione Europea, è lì che i rappresentanti eletti dai cittadini europei discutono e deliberano, nella dialettica democratica tra maggioranze e minoranze, i diversi provvedimenti legislativi.
Peraltro, il Parlamento, che non ha potere di iniziativa legislativa, il più delle volte, lo esercita indirettamente facendo “pressione”, anche attraverso atti formali quali le Risoluzioni d’iniziativa, sulla Commissione Europea che ha da sempre il potere esclusivo di iniziativa legislativa.
Il Parlamento Europeo ha, fin dal 1970, il potere di approvare il Bilancio dell’Unione. Dai tempi di Altiero Spinelli fino alla recente vicenda del Recovery Fund – quando si è trattato di questioni fondamentali – esso ha usato la minaccia del blocco dell’approvazione del Bilancio, per fare breccia nei muri spesso alzati dal Consiglio.
L’iter legislativo nell’UE è più complesso di quello di un Parlamento nazionale – anche se, in generale, più veloce che in Italia. La complicatezza è dovuta soprattutto ai meccanismi della “codecisione” con il Consiglio, che dopo il Trattato di Lisbona, si chiama “procedura legislativa ordinaria”, perché si applica alla maggior parte delle materie di competenza dell’Unione (per le altre il Parlamento svolge un ruolo soltanto consultivo, come il Comitato Economico e Sociale Europeo e il Comitato Europeo delle Regioni). Questo significa che su una proposta legislativa (per esempio, Direttiva o Regolamento), presentata dalla Commissione, ci può essere un rimpallo tra Consiglio e Parlamento, e se le due Istituzioni non trovano un accordo dopo la seconda lettura (cioè se il Consiglio non accetta gli emendamenti apportati dal Parlamento), la palla passa a un Comitato di conciliazione. Il testo approvato da questo Comitato viene sottoposto a una terza lettura da parte delle due istituzioni. Se ambedue lo accettano il provvedimento è approvato, se, invece, anche solo una delle due Istituzioni non accetta il compromesso, la proposta viene respinta.
Nella realtà pratica, il meccanismo funziona abbastanza speditamente, anche grazie ad accordi politici in corso d’opera conclusi con il cosiddetto “trilogo” (Parlamento, Consiglio, Commissione). Infatti, all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (1999) a tutto il 2020, sono stati approvati 1893 provvedimenti legislativi: di questi, la stragrande maggioranza è stata approvata in prima (1367) e in seconda (405) lettura, 121 approvati in Conciliazione e solo 4 sono stati respinti perché non si è trovato l’accordo. C’è da dire che spesso gli accordi politici raggiunti nel “trilogo”, vedono prevalere la forza negoziale del Consiglio, cioè dei Governi. D’altra parte, se così non fosse, non saremmo in una Unione intergovernativa.
Il Parlamento Europeo ha anche un ruolo di controllo e monitoraggio delle altre Istituzioni. Come è noto, il Presidente della Commissione e i singoli Commissari, designati dai Governi nazionali, sono sottoposti all’approvazione del Parlamento che può anche obbligarli a dimettersi.
Oltre che per la rilevanza del suo ruolo istituzionale, per noi è importante seguire da vicino il Parlamento Europeo perché è l’unico luogo significativo in cui la politica si esprime nella dialettica tra formazioni politiche che, se pur embrionalmente, rappresentano una organizzazione “partitica” a dimensione europea. Questo è consentito dal fatto che i Gruppi politici che lo compongono – anche per la loro regolamentazione: ogni Gruppo deve avere un minimo di 23 deputati in rappresentanza di almeno un quarto degli Stati Membri – si confrontano sulla base delle loro differenze politiche e programmatiche.
Seppure, negli ultimi decenni, il Parlamento abbia perso molto della “spinta propulsiva” federalista che lo portò a votare nel 1984 il progetto di Trattato proposto da Altiero Spinelli, esso rimane il luogo in cui, almeno tendenzialmente, la dialettica politica tra i rappresentanti dei cittadini di ventisette paesi, avviene su contenuti programmatici di parte, ma sovranazionali, e non sulla base di interessi nazionali.