“Ci sono condizioni che favoriscono più di altre comportamenti imprevedibili e disfunzionali e dobbiamo saperle riconoscere, essere pronti a cogliere i segnali e intervenire. Per farlo bisogna stare bene, essere in pace o comunque in contatto con se stessi, in equilibrio. Se ci sono altre sofferenze in corso, per motivi sentimentali, familiari o professionali, si potrebbe essere essere meno in grado e mancare quei segnali importanti che i ragazzi ci inviano”. Sono parole ponderate e profonde di Patrizia Mattioli, madre di Leonardo, raccolte dal Fatto Quotidiano il 18 ottobre 2024. Leonardo, 15 anni, si è ucciso con un colpo di pistola il 13 ottobre. Aveva studiato tutto, era evidentemente senza speranza, e questa situazione l’aveva fatto agire in maniera organizzata, come se portando a termine tutto il piano avrebbe risolto i suoi problemi, avrebbe vinto una sfida con gli altri.
Voglio provare a confrontare questa sua organizzazione mentale al termine di un periodo di sofferenza, con la mia difficoltà a superare i miei bisogni di conferma, di attestati di valore. Io ho vissuto l’adolescenza in un liceo scientifico, a 35 chilometri da Senigallia, a Pesaro, a cavallo fra anni 60 e anni 70. Era tutta un’altra vita, non rischiavi di vedere le tue figuracce trasmesse su youtube, su tik tok, non so neanche dove. La mia generazione, molti di noi, pensava di cambiare il mondo; erano gli anni di Woodstock, del Vietnam, del 68 e di lì a poco del 77. Ma avevamo anche noi i genitori, i compagni di scuola, e alcuni compagni e compagne di scuola, che erano dispettosi e spietati come a quell’età si può essere, senza molta applicazione. I dispetti, gli scherzi, serie di episodi che possono benissimo essere raccolti sotto il nome di bullismo erano diffusi. Avevano una partecipazione più corale, ricordo una goliardia “di sinistra” che metteva la virilità fra i valori consolidati, magari in contrapposizione col fascismo. Non inneggiavano certo allo stupro, i giovani attori, piuttosto alla derisione del compagno di scuola “secchione” e magari un po’ efebico.
Ricordo ritrovi notturni, ai quali io ho partecipato come spettatore, per sentirmi un po’ del gruppo, nei quali il malcapitato veniva sottoposto ad una trappola, e doveva pagare un pegno, diciamo sopportabile.
Provai anch’io sulle mie spalle la derisione da parte dei membri di una compagnia di sesso misto, con scherzo pesante finale il cui significato era chiaro: “Sei troppo ragazzino per stare con noi!” Mi chiesi chi avrebbero infastidito dopo me ma non cercai di saperlo.
Probabilmente tornai da altri amici, che mi avranno rimproverato di averli considerati di serie B. “Non ci sono donne nella nostra compagnia, ma almeno non ti facciamo scherzi”. Poi, inutile sottolinearlo, arrivò la fede politica a portarmi altrove: altri valori, altre compagnie, i primi amori. Ora Leonardo si è ammazzato, altri ragazzi muoiono all’interno di percorsi che hanno a che fare col bullismo, con la gelosia; piccoli gruppi ordiscono trame per attirarne uno o una in un luogo e ucciderlo, o umiliarlo, ma non è una novità, ripeto. Cambia il contesto a rendere questi episodi meno episodici e più neri.
I genitori sapevano, sanno, non sempre sono distanti o non si interessano. E’ stato così anche nel caso di Leonardo, ma ciò che hanno fatto non è sufficiente, come non lo è ciò che fa la scuola. Una chiave di lettura è nelle parole della psicanalista: può una persona che non si ascolta essere capace di mettersi a disposizione di un’altra?
Provocatoriamente dico: è sano, dà prospettive per noi adulti un mondo nel quale ci si prova a vedere a latere di una presentazione di un libro, di un evento, di un cinema? Dove non ci si visita più nelle case ma ai corsi, agli eventi, che interessino o meno?
“E’ vero che abbiamo tanto da fare che non facciamo mai niente”parole del compianto Claudio Lolli che anticipava le tristezze dei decenni futuri in anni in cui avevamo una prospettiva, quella di cambiare il mondo. Chi non lo voleva cambiare ci chiedeva un long playing in prestito, e piano piano, per un breve periodo, conquistarono cittadinanza anche i ragazzi e le ragazze che non seguivano i canoni di bellezza.
Come possono invece ora i ragazzi non essere fragili davanti a un futuro bianco, vuoto? Non lo descrivono, forse, ma così lo sentono. Un’ultima domanda: vengono utilizzati i consultori sanitari dalle nuove generazioni, per ricevere istruzione ma anche incontrarsi? A 200 metri da casa mia c’è Ancona Check Point che è una struttura interamente gestita dalle associazioni, dedicata alla somministrazione di test per la salute sessuale al di fuori dell’ambito ospedaliero. Qui, chiunque arrivi, oltre a poter fare i test, può ricevere supporto e informazioni su tutto ciò che riguarda le infezioni sessualmente trasmissibili da esperti e volontari appositamente preparati. Che io sappia, con il passaparola delle associazioni, funziona a pochi anni dalla fondazione. E’ di 15 anni fa uno studio svolto dall’assessorato regionale dei servizi sociali delle Marche e dal circolo federativo Caleido ARCI GAY LESBICA , dal titolo Bulli in Ballo. Va aggiunto, non solo per etimologia, che il termine bullo in anconetano significa “figo”, “divertente”, tant’è che di una persona simpatica e conquistatrice di cuori femminili si diceva, e forse si dice ancora: “Bello, bullo e balla be’”.
Evoluzione dei significati, passaggio dalla goliardia popolare a qualcosa di peggiore. E io, per primo, posso solo prendere spunto da una visione non nostalgica della mia adolescenza, per affermare che siamo di fronte, specialmente verso le nuove generazioni, alla stessa scelta che abbiamo per l’emergenza climatica: ci opponiamo perché è giusto e ci rende etici e comprensivi, oppure acceleriamo la fine per non soffrire ad aspettarne la catastrofe.
Marcello Pesarini