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Violenza privata e violenza pubblica

di Valentina
Mira

Riprendiamo da jacobinitalia.it, con lo stesso titolo, l’articolo di Valentina Mira –

 

La verità sul Salone del Libro di Torino: parla un’attivista di Non una di meno che c’era. Perché i giornali non devono porgere il microfono a chi già ne ha altri dieci pronti ad amplificarne la voce, ma verificare ciò che chi ha il potere dice

Sono giorni che Eugenia Roccella si racconta come silenziata, censurata, una donna zittita da altre donne. Lo dice su La7 da Parenzo, lo ribadisce dalla prima pagina de Il Foglio, lo lamenta a Quarta Repubblica su Mediaset. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito, perché non c’è davvero un solo megafono d’Italia che non sia stato impegnato, negli ultimi giorni, ad accogliere le lagnanze di Roccella che proprio non può parlare. In tv quotidianamente: esempio lampante di donna silenziata, non c’è che dire.

Eppure, su quegli stessi schermi non abbiamo visto neanche mezza volta le attiviste e gli attivisti di Non una di meno e di Extintion Rebellion che l’avrebbero, a sentir lei, zittita.

Noi abbiamo sentito un’attivista di Non una di meno Torino che era lì e che chiede di non divulgare il suo nome vista la questione delle denunce. Partiamo da queste, quindi: la ministra dice che non le hanno permesso di parlare, ma sono loro ad aver pagato il diritto di parola con delle denunce. «Abbiamo appreso delle denunce a mezzo stampa. Evidentemente è stato l’ufficio della questura a renderlo noto, noi stiamo aspettando che ci vengano notificate. Questa cosa ci preoccupa molto». Il capo d’imputazione di cui hanno parlato i giornali è addirittura «violenza privata», reato che per essere attuato necessita di violenza o minacce. «Si vede dalle immagini – continua l’attivista – eravamo persone di tutte le età che con i loro corpi e a volto scoperto hanno fatto resistenza passiva. Se la nostra diventa violenza privata, la loro è violenza pubblica».

Del resto, come hanno segnalato diversi intellettuali, è molto pericoloso considerare sullo stesso piano di potere una ministra e quello delle attiviste. «La ministra Roccella non è stata contestata in quanto autrice di quel libro, ma in quanto rappresentante istituzionale. Roccella rappresenta il Family day e le posizioni contro l’aborto. Non aver potuto parlare del suo libro sul palco per due ore [ma farlo in tv per giorni successivamente, ndr] non è paragonabile alla violenza delle politiche di questo governo che noi viviamo quotidianamente sui nostri corpi e nelle nostre vite».

Sembra inoltre che il famoso «dialogo rifiutato» dalle attiviste sia un’altra notizia falsa, o più precisamente rigirata ad arte. Roccella ha chiesto loro di salire sul palco, e un’attivista lo ha fatto leggendo un comunicato. A questo punto Roccella ha risposto «con frasi volutamente provocatorie, dicendoci che se davvero ci interessavamo alle donne avremmo dovuto parlare di Gda [Gestazione d’appoggio, Ndr], e poi ha aggiunto che l’obiezione di coscienza non impedisce l’esercizio del diritto all’aborto». Non sorprende che poi, quando Nicola Lagioia ha provato a stimolare nuovamente il dialogo, le attiviste e gli attivisti si siano rifiutati di salire ancora sul palco. «La ministra Roccella dice che non ha potuto parlare, ma noi eravamo solo una ventina, è stato il pubblico ad accogliere le sue dichiarazioni sull’aborto con i fischi, e non era un pubblico fatto solo da noi, anzi. Era il pubblico del Salone. In più, è rimasta molto oltre il tempo previsto per il suo libro, impedendo di presentare il libro successivo e impallando la scaletta».

Subito dopo Roccella, ci sarebbe dovuta essere la presentazione del libro del Torino Pride e lei si è rifiutata di andarsene dal palco. Gravissimo, per una che sbandiera in televisione in lungo e in largo quanto sia anti-democratico impedire a qualcuno di parlare. Il pubblico insieme a Non una di meno e a Extintion Rebellion si è organizzato per presentare quel libro sotto al palco; l’unica alternativa presentata era quella dell’assessore Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia che ha proposto di salire su e spartirsi la scena con lui, cosa che non era in programma, anche perché lui frequenta le manifestazioni contro le coppie omo-genitoriali e le sue posizioni sull’aborto non ha bisogno di gridarle, visto che la regione Piemonte ha appena stanziato un milione di euro alle associazioni antiabortiste.

Quello che è successo è grave perché non è possibile che una ministra passi il suo tempo a fare il giro delle televisioni e dei giornali a lamentarsi di «non aver potuto parlare» (non sta forse parlando, e dal più alto scranno che la democrazia le consenta?) e perché se una protesta non-violenta che consiste nell’usare la propria voce, nel leggere un comunicato e nello sdraiarsi per terra risulta passibile di denuncia, per di più per «violenza privata», si sta aprendo un inquietante livello di repressione. «Minacciosa intolleranza», lamenta Roccella dalla prima pagina del Foglio del 24 maggio. Eppure, a essere private della voce sono state le persone che attendono la notifica di denunce ingiuste.

Visto che il giornalismo dovrebbe essere non solo porgere con grazia il microfono a chi già ne ha altri dieci pronti ad amplificarne la voce, ma anche verificare quello che chi ha il potere dice, ne approfittiamo per chiarire una cosa.

Eugenia Roccella, in ogni sua intervista, continua a sostenere che chi è femminista non dovrebbe occuparsi di aborto ma lottare contro quello che lei chiama «utero in affitto». Ma è un modo per depistare l’opinione pubblica. Spieghiamolo coi numeri. Prendiamo un paese in cui, a differenza del nostro, ci sono dei dati sulla Gda: la Russia. In Russia nascono circa 2.000 bambini con la Gda ogni anno (ricordiamo che la Russia ha più di 140 milioni di abitanti); gli aborti invece sono mezzo milione all’anno. Un governo non dovrebbe provare a insegnare alle altre donne cosa è importante per loro. Eppure continua a far passare il suo discorso sulla Gda come «quello di cui dovrebbe occuparsi il femminismo». Una donna su quattro in Italia ha abortito: la si smetta di mentirci sulle nostre priorità e di calpestare i nostri diritti ballando il valzer del piagnisteo e facendo passare delle ragazze e dei ragazzi che si sdraiano per terra per i cattivi della storia. La verità è che c’è chi prova a farsi ascoltare in modi fin troppo pacifici, come la grande manifestazione di Ancona di pochi giorni prima del Salone di Torino, che i grandi giornali non hanno coperto minimamente rispetto alla questione «Roccella non può presentare il libro che parla di Roccella». Speriamo che almeno abbia pagato bene il ghostwriter.

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