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Venuto dalla fine del Mondo, si è battuto perché il Mondo non finisse con la guerra

di Roberto
Musacchio
“… Sono venuti a prendermi quasi alla fine del Mondo…”
Sono tra le prime parole che sentii pronunciare da Bergoglio che, eletto Papa, aveva scelto il nome “scandaloso” di Francesco. Nessuno prima di lui, gesuita e peronista, per dirla in lingua volgare.
Ricordo che telefonammo a dei compagni argentini perché giravano già allusioni a sue presunte responsabilità nelle tragedie di quella terra. Ci dissero che non era così e che dalla “fine del Mondo” arrivava un Papa che sarebbe stato un buon Papa. Ma quando si può dire che un Papa è buono? Sono andato a rivedere la prima pagina dell’Unità del 4 giugno 1963 dedicata alla morte di Giovanni ventitreesimo. “È morto”, titolava, lasciando un messaggio di Pace ed alla chiesa di Roma un insegnamento innovatore. E, nell’articolo sotto pagina, Kruscev ricordava il suo impegno per la Pace.
Ecco, l’impegno per la Pace, è stato portato avanti da Francesco fino all’ultimo istante. “Non c’è pace, senza disarmo”. Il suo testamento. Tanto più prezioso, e disperato, a 62 anni dalle parole dedicate dal quotidiano del PCI alla morte di Giovanni ventitreesimo. Allora, un Mondo diviso in due, sempre sull’orlo di un conflitto tra sistemi ideologici che si definivamo opposti, pure sapeva mantenere un qualche senso della propria responsabilità verso la Storia e gli Uomini di buona volontà, che si erano palesati a provare a farla, la Storia, e a non esserne più concime come nella terribile immagine di Benjamin e nell’indicibile dei campi di sterminio o dei grandi funghi atomici di Hiroshima e Nagasaki. Il dialogo tra comunisti e cattolici era parte di questa ricerca, ben prima e assai di più di quanto poi il compromesso storico fosse capace di tradurre l’esigenza di una Pace che ha bisogno di Giustizia.
Oggi, Francesco è apparso solo. Le costruzioni ideologiche ormai devastate e il Mondo ricondotto al volere arbitrario di dominanti e potere. Quel capitalismo senza più avversari che quasi solo lui ha continuato a chiamare in causa col suo nome. Fino all’ultimo, additando nei mercanti di armi, i mandanti della guerra che definiva guerra mondiale a pezzi. Come aveva saputo fare il movimento dei movimenti, che aveva colto la realtà terribile delle guerre militari ed economiche, preventive e permanenti. Ma che ora si è ritratto, lasciando solo questo “monarca di una istituzione patriarcale” a combattere contro i disastri di tutte le istituzioni segnate dal dominio maschile e capitalistico. Certo, anche un parodosso degno di una tragedia. Ma anche il segno della inesauribilità umana che, loro, chiamano provvidenza. Come dice De André, guardo a lui come all’uomo, che ha combattuto fino all’ultimo. Ma pensando ad uno dei pochi film di Moretti che mi ha coinvolto, Habemus Papam, guardo a lui come al Papa che non si è rifiutato di esserlo nel tempo in cui forse è quasi impossibile esserlo. Ha fatto il Papa. Non ha saputo liberare quella istituzione, anche se non è stato fermo. Non ha detto che Dio è mamma per poi purtroppo morire in un tempo brevissimo. Ma non ha benedetto guerre. Non ha combattuto il comunismo per poi accorgersi di quale mostro fosse il capitalismo lasciato a se stesso. Non si è consolato nella filosofia e nella dottrina dell’irrisolvibile della esperienza umana. Ha combattuto per la Pace contro gli spacciatori di guerre giuste. Ha combattuto a fianco degli scarti, poveri e migranti. Ha reso enciclica il sapere ambientalista e comunitario. Ha incontrato persone e movimenti. No, non si è negato come Papa. Non so se fosse possibile andare oltre l’istituzione. So che l’ha servita con onore, non è fuggito. Ho voluto scrivere queste righe non sapendo se “mi toccasse”. Certo ne ho bisogno sentiti i tanti farisei spacciatori di armi, guerre, odio che, chiedo scusa perché non dovrei essere io, scaccerei dal tempio.
Roberto Musacchio
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