Quest’anno le nuvole della guerra si addensano e un antico spirito di crociata vorrebbe riaffacciarsi in Europa. Vediamo coscienze che si allineano estusiaste o rassegnate sotto le bandiere della mobilitazione. E dunque si può sentire che lo spirito del 25 aprile 1945 è lontano.
Per tornare a avvicinarcelo, per riviverlo vorrei proporre un esercizio mentale, emotivo o sentimentale: ditemi voi. Si tratta di provare a immedesimarci con coloro che vissero il 25 aprile 1945 e a tentare di sentire cosa avessero provato. Certamente ci metteremo del nostro e non vorrà essere una ricostruzione esatta, non sarebbe possibile; ma può ugualmente darci qualcosa e ridare qualcosa al ricordo di allora.
Di solito a me da giovane, pensando al 25 aprile, veniva in cuore un senso di vittoria, di rivincita verso il fascismo, di speranza entusiasta. Accanto c’era l’immaginazione del sentimento di fratellanza con le sorelle e i fratelli partigiani –così simile, pensavamo, a quello che si stava costruendo nelle lotte- e immaginavo anche il senso di appartenenza a un popolo martirizzato e l’esaltazione per la società nuova che esso aveva da costruire.
Forse per questo il racconto diretto che ricevetti mi lasciò a lungo indeciso: il ricordo che mi è stato trasmesso è un panorama e un punto di vista. La mattina del 25 aprile dalle basse colline a nord di Mantova vediamo la pianura e distinguiamo i paesi con i loro campanili. Ecco che con il passare delle ore spuntano una a una le bandiere, issate quando l’insurrezione ha avuto luogo e il paese è libero da fascisti e tedeschi.
Vorrei impadronirmi di questo ricordo: c’era il sole? Di che consistenza la vista in lontananza? Come erano fatti i campanili? Perchè è una visione che richiama uno spazio, che è piena di cose non ancora concluse, di possibilità e di speranza. E’ una visione vitale, di insieme e impregiudicata. Su quella collina sembra che la liberazione facesse spazio a una speranza collettiva.
Non saprei se sia stato il tono o l’espressione del viso con cui mi fu raccontata questa esperienza, ma seppi che oltre alla gioia c’era stato sollievo. Posso immaginare le circostanze: fino a un momento prima che si uscisse verso il Comune, la piazza, la Casa del Fascio c’era solo la decisione di scendere per strada e un proclama del CLN Alta Italia e del Comitato Volontari della Libertà: assistere a questi eventi, vederli realizzarsi tutto attorno doveva essere davvero un gran sollievo: ce la stiamo facendo!
Ma credo che il sollievo fosse dovuto anche al carattere conclusivo dell’insurrezione che metteva fine a anni terribili di insicurezza, di minaccia, di paura.
E quali erano le paure da cui gli italiani di allora si stavano liberando? Era la faccia feroce e spietata del dominio, l’oscenità di un padre maschio, dittattore, intimamente debole che passava in rassegna anime perse tra cui giovanissimi in divisa con i teschi sulle mostrine. Erano i colpi di un potere che al suo crepuscolo svelava con imprevista profondità la sua natura implausibile. Erano gli arruolamenti forzati e il lavoro coatto, la fame e la paura dei bambini, le malattie e la mancanza di medicinali, i bombardamenti, gli stupri, i rastrellamenti, le fucilazioni, le torture, le spie e i ladri. Era terrore. Era il fascismo ed era la guerra.
Questa è una prospettiva che si sta riaffacciando attorno e in mezzo a noi. La guerra torna a circondarci da vicino e a sedurre. Il potere, concentrato nelle mani di pochi individui, mostra la sua irrazionale nemicità verso di noi ma si accompagna con una mortifera attrazione e con una terribile seduzione verso la subordinazione.
Per questi motivi vorrei che questo 25 aprile portasse il sollievo di una grande mobilitazione contro le guerre e contro il riarmo. Per liberarci dalla paura, per ritrovare gli spazi per vivere e per lottare. Vorrei il sollievo civile di una dirigenza europea rimandata a casa assieme ai fantasmi di guerra che si è dimostrata così abile da coltivare.
Giancarlo Scotoni