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Variante Delta: paga ancora il Sud?!

di Natale
Cuccurese

È in preparazione l’ennesima fregatura per il Mezzogiorno che si ritroverà “mazziato e cornuto”, pur senza colpa, per una possibile serrata in previsione della sempre maggiore diffusione della variante Delta, che ad agosto potrebbe bloccare la stagione turistica del Sud a tutto vantaggio delle spiagge e località turistiche del Centro-Nord.
Vediamo come…

Sabato scorso il ministro Speranza ha dichiarato che: “Per i nuovi colori ospedali decisivi”. “In una fase caratterizzata da un livello importante di vaccinazione è ragionevole che nei cambi di colore e nelle conseguenti misure di contenimento pesi di più il tasso di ospedalizzazione rispetto agli altri indicatori”, annuncia il ministro. Si sta ragionando se affiancare all’indicatore dei 50 casi per 100mila abitanti, oltre il quale si va automaticamente in giallo, anche quello dei letti di terapia intensiva occupati da malati Covid: il 10 per cento per l’emergenza e il 20 per i reparti ordinari.
La domanda è: dove ci saranno più posti disponibili rispetto ai cittadini residenti in ospedale e in terapia intensiva, al Nord o al Sud…?! E quindi chi raggiungerà prima la quota di emergenza oltre la quale scatta il giallo…?!
Risposta scontata, sperando ovviamente, per tutti, che l’impatto della variante Delta in termini di ospedalizzazione non sia quello temuto…

La Campania, ad esempio, pur con più abitanti e meno posti in terapia intensiva, conta 43.000 operatori sanitari pubblici contro i 59.000 del Veneto e 58.000 dell’Emilia Romagna, cosa questa che mette a rischio il diritto costituzionale alla salute. Giusto poi rimarcare che in modo particolare nei mesi di maggio e giugno la Campania, pur con la maggior densità abitativa d’Italia ha ricevuto meno dosi di vaccini rispetto alle altre Regioni italiane. Molti dimenticano che la Campania, così come quasi tutte le regioni del Sud, esce da poco da un lungo periodo di commissariamento alla Sanità, mentre la Corte dei Conti un paio di anni fa ha svelato il trucco contabile che permette alle “virtuose” Regioni del Nord di assumere dieci volte più in campo sanitario di quelle del Sud.
Infatti nel 2018, rispetto al 2004, al Nord i costi per assumere nuovi dipendenti negli ospedali sono lievitati di oltre il 23%, mentre al Mezzogiorno solo dell’8,5%.

Scarto che, nell’ultimo decennio, ha amplificato il divario Nord-Sud, riuscendo a creare due sistemi sanitari.
Il governo Berlusconi nel 2010 impose un vincolo alla spesa per il personale sanitario: ogni Regione avrebbe potuto investire al massimo la stessa somma del 2004 ridotta dell’1,4%. Un vincolo, però, che, come certificato dalla Corte dei Conti, è stato aggirato da Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, cioè da coloro che hanno potuto garantire ugualmente il pareggio dei propri bilanci attingendo dal fondo autonomo.
Così, mentre Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana nel 2017, hanno speso 2,96 miliardi in più rispetto al 2014 per le assunzioni, nello stesso periodo il saldo totale di Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia e Molise è di appena 247 milioni.
Il Nord ha speso 10 volte di più rispetto al Sud, mentre la Calabria (ancora commissariata) ha aumentato i suoi costi di appena 73 milioni.
Non bisogna poi dimenticare che il Fondo sanitario nazionale già oggi, grazie alla ripartizione fatta a solo vantaggio del Nord delle “quote capitarie ponderate”, riconosce in media 80 Euro in più ad ogni cittadino alle Regioni del Nord.
Questa situazione è fra le prime cause della “emigrazione sanitaria” dal Sud per un valore annuo di ben 5 miliardi. Bisogna rimarcare che senza questi soldi le Regioni “virtuose” andrebbero in disavanzo, ecco perché vi è stata la necessità politica di dover cronicizzare la situazione affinchè non crollasse la favola propalata da troppi anni della “locomotiva del Nord”.

Non va mai dimenticato, per chi non è un razzista, che le differenze di sviluppo e di possibilità fra diversi territori sono solo la conseguenza di precise scelte politiche.
Scelte politiche che con questa improvvida dichiarazione di Speranza sembrano andare come sempre a esclusivo vantaggio del Nord, mettendo in difficoltà la ripresa nel Mezzogiorno che dispone di molti meno letti in terapia intensiva per le ragioni viste sopra e che quindi in proiezione andrà a riempire le proprie “quote di letti occupati” (10 o 20 %) molto prima degli ospedali del Centro-Nord che dispone, sempre per quanto visto sopra, di molti più posti letto anche con una minore popolazione. Se a questo aggiungiamo poi una ripartizione di dosi di vaccini sbilanciata, come nel caso della Campania, possiamo ben immaginare come anche in caso di pandemia i cittadini italiani si dividano per questo governo, così come quelli che lo hanno preceduto, in cittadini di serie A al Nord e di serie B al Sud, con buona pace del dettato costituzionale.

Ma attenzione perché non è finita qui, visto che pochi giorni fa la Ministra per gli Affari Regionali Mariastella Gelmini ha ribadito in Commissione Questioni Regionali la volontà di voler accelerare l’iter del regionalismo differenziato, con l’approvazione di una legge quadro entro settembre, per dare “più competenze e risorse alle regioni che ne fanno richiesta”, ignorando le dolorose diseguaglianze evidenziate dalla pandemia e con la complicità di tutte le forze presenti in Parlamento (nessuna esclusa), così da portare a compimento la nascita di venti piccoli staterelli a tutela una sola parte del Paese, quella più ricca e forte. Segnando così l’inizio della fine del Paese che si avvierà, inevitabilmente e definitivamente, sulla strada degli egoismi regionali e della conseguente frammentazione.

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