Riprendiamo da fuoriluogo.it l’articolo di Susanna Ronconi –
Dopo gli immigrati, per Trump è l’ora dei senza dimora, dei consumatori di droghe e delle persone affette da disturbi mentali. Anzi, è l’ora di colpire gli americani che assommano in sé tutte e tre le condizioni, facendo della massima sofferenza sociale l’oggetto di una nuova crociata di “tolleranza zero”. Con un ordine esecutivo presidenziale – che obbliga tutte le amministrazioni, federali e statali – denominato «Porre fine alla criminalità e al disordine sulle strade americane», si rende operativa la radicale criminalizzazione delle persone senza dimora, individuate come prima causa di insicurezza urbana e minaccia ai cittadini. Al contempo, partendo dal dato che «la stragrande maggioranza di questi individui è dipendente da droghe, soffre di problemi di salute mentale o entrambe le cose», la direttiva sterza in maniera repressiva anche sul consumo di sostanze e sulla pericolosità sociale del disagio mentale. L’obiettivo è sgombrare le strade da questo popolo sofferente: «far rispettare i divieti sull’uso di droghe illecite in pubblico, i divieti sul vagabondaggio urbano, i divieti sulle occupazioni abusive», e lo strumento cardine è il «trattamento ambulatoriale obbligatorio o il trasferimento in centri di cura o altre strutture appropriate tramite ricovero obbligatorio», nella dichiarata convinzione che «il trasferimento dei senzatetto in contesti istituzionali a lungo termine attraverso l’uso appropriato del trattamento obbligatorio ripristinerà l’ordine pubblico».
Per garantire la piena attuazione di questo immane internamento coatto di massa – i senza dimora sono (sotto) stimati in 650mila – il testo dettaglia alcuni passaggi: innanzitutto, la competenza, sui singoli casi, delle Procure e l’ancillarità dei pareri di servizi sociali e sanitari; chi decide su modalità e durata dell’internamento non ha in mente la salute, ma l’attuazione di una norma di controllo. Poi: modifica delle norme sul consenso informato per ampliare il campo d’azione del trattamento obbligatorio; identificazione di standard del trattamento obbligatorio “massimamente flessibili” per chi soffre di malattie mentali; raccolta dei dati sulla salute e loro cessione alle Procure; e, per gli amministratori locali, il ricorso, se necessario, ai fondi straordinari per le Emergenze sulla sicurezza.
Ma non solo: per garantirsi il rispetto della direttiva in tutti gli usa, e per sottomettere anche gli stati e le città riluttanti alle logiche trumpiane, incombe – proprio come per le università – la minaccia di tagli ai finanziamenti federali per chi non ottemperi. In particolare questo attiene agli interventi sulle droghe: si invita «a non finanziare programmi che non riescono a raggiungere risultati adeguati, compresi i cosiddetti sforzi di “riduzione del danno” o di “consumo sicuro” che non fanno altro che facilitare l’uso illegale di droghe»; si invitano poi le Procure a verificare che non si ravvisino reati per chi «gestisce “siti di consumo sicuro” o distribuisce consapevolmente strumenti per l’uso di droga». E non manca, sul piano sociale, l’attacco diretto allo housing first, che garantisce una casa anche a chi usa sostanze, cosa che secondo Trump «rinuncia a promuovere trattamenti e riabilitazione».
Insomma, è un processo alla logica della Riduzione del danno (RdD), e con essa alle strategie di inclusione sociale, a solo poco più di un anno da quel “cambio di rotta” annunciato in sede onu, a Vienna, con cui gli usa avevano annunciato che la RdD era una strategia necessaria a contrastare, tra l’altro, anche la crisi del fentanyl.
Con Trump, la war on drugs ricomincia, e lo fa nel modo più odioso: come una “guerra di classe”, che internerà un popolo di esclusi, arricchirà il privato e cercherà di far tacere con la forza del penale e dei soldi le voci critiche.