Gli Stati Uniti stanno fronteggiando il loro declino come potenza economica e politica dominante e la debacle subita nel corso del recente 9° Vertice delle Americhe a Los Angeles ha dimostrato quanto questo declino sia evidente nelle relazioni con l’America Latina, il tradizionale “cortile di casa”. Oltre che essere insidiato dall’influenza cinese, il dominio statunitense viene messo in discussione dal rifiuto dei governi latinoamericani di assecondare imposizioni, sanzioni, misure punitive, destabilizzazioni, esclusioni unilaterali, improvvisazioni ed idiosincrasie diplomatiche disfunzionali o incoerenti che spesso rispondono unicamente a pressioni politiche interne agli stessi USA.
Il 9° Vertice delle Americhe, tenutosi a Los Angeles dal 6 al 10 giugno, è stato deludente sia per gli Stati Uniti sia per l’America Latina, una regione che da quasi 200 anni gli USA, in linea con la “dottrina Monroe” del 1823, hanno notoriamente considerato il loro “cortile di casa“, la loro “sfera di influenza“, e che in questa occasione, come ha osservato Foreign Policy, è apparso “disconnesso”. La rivista Politico ha definito il vertice una “debacle” per Biden, trattato anche dai media mainstream americani come un evento di secondo piano, mal gestito e mal preparato. Alcune testate importanti, a cominciare dal New York Times, hanno parlato di un fiasco diplomatico, un flop, una delusione1.
Il peccato originale del vertice è stata la decisione dell’amministrazione Biden di invitare solo 23 Paesi, escludendo dall’invito a partecipare alla conferenza continentale tre Paesi considerati “nemici” e sotto embargo economico e politico in quanto identificati come non democratici, non rispettosi di diritti umani e libertà, Cuba, Nicaragua e Venezuela (un Paese da cui sono fouriusciti oltre sei milioni di persone negli ultimi 5 anni a causa della crisi dovuta all’embargo economico imposto dagli USA dal 2019), essenzialmente sabotando la conferenza continentale ancor prima che iniziasse2.
E’ assai probabile che l’esclusione dei tre Paesi, nonostante l’insistenza dell’amministrazione Biden sul fatto che si trattasse di una questione ideologica in linea con lo schema democrazia vs. autocrazia, sia stata dovuta alle pressioni della politica interna: se Biden avesse invitato Cuba, Nicaragua e Venezuela, ci sarebbe stato un prezzo politico molto alto da pagare in Florida (dove ci sono milioni di espatriati cubani, venezuelani e nicaraguensi), New Jersey (lo Stato del senatore democratico Robert Menendez che presiede la Commissione per le relazioni estere del Senato ed è un falco sulle questioni relative ai tre Paesi) e al Congresso (in particolare al Senato), a cinque mesi dalle elezioni di medio termine, cruciali per la sopravvivenza politica dell’amministrazione Biden fino al 2024.
In ogni caso, l’esclusione è arrivata nonostante le obiezioni di diversi leader latinoamericani, in particolare del presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador, che dopo aver apertamente esortato la Casa Bianca a riconsiderare la sua posizione, alla fine ha rifiutato di partecipare al vertice per protesta. Altrettanto ha fatto il Presidente della Bolivia Luis Arce3. Anche i presidenti di alcuni Paesi caraibici e di tre Paesi centroamericani, cruciali per il controllo dei flussi di migranti verso gli USA, – Guatemala, El Salvador e Honduras – hanno deciso di non partecipare, mentre i leader del Belize e dell’Argentina, hanno usato i loro momenti sotto i riflettori per rimproverare Biden per le esclusioni4.
Non è stata tanto una questione di sostegno per i leader dei tre Paesi esclusi, Daniel Ortega, Miguel Diaz Canel e Nicolas Maduro. La maggior parte dei governi dei Paesi latinoamericani li considera autoritari e antidemocratici, così come Washington. Ma, escludendo unilateralmente tre Stati che fanno parte delle Americhe, sostenendo che non soddisfano i necessari requisiti democratici, la Casa Bianca ha riportato l’orologio all’era pre-Obama. “Nessuno può salvarsi da solo. Dobbiamo unire le forze per ottenere uno sviluppo migliore. Abbiamo il diritto di dire che l’esclusione non è il modo. Storicamente non ha mai raggiunto risultati. E quando gli Stati Uniti tentano di escludere alcuni Paesi, alla fine questo serve solo a rafforzare le azioni dei loro leader in patria“, ha detto il giovane neopresidente cileno Gabriel Boric. Temi rilanciati anche dai rappresentanti politici di Bahamas, Barbados, St. Vincent and the Grenadines, e Antigua e Barbuda.
Il Messico ha denunciato l’esclusione dei tre Paesi in quanto frutto dei doppi standard di Washington sulla democrazia, soprattutto mentre il Comitato della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti che indaga sull’attacco al Capitol Hill il 6 gennaio 2021 ha messo in mostra la fragilità democratica di un Paese ormai fortemente polarizzato. Lopez Obrador ha mandato il suo ministro degli Esteri e ha detto ai giornalisti che la politica egemonica degli Stati Uniti “è una politica anacronistica, vecchia e ingiusta che deve essere messa da parte e deve essere inaugurata una nuova tappa nelle relazioni di tutti i popoli e Paesi fraterni del continente americano“.
Insomma, per una parte dei governanti latinoamaericani, invece di appellarsi al dialogo e all’impegno, il governo degli Stati Uniti continua a cercare di imporre le sue opinioni sulla regione attraverso sanzioni, misure punitive e interventi unilaterali. Lungi dal segnalare la volontà di collaborare con i Paesi latinoamericani per affrontare questioni comuni, ancor prima che il vertice iniziasse Washington ha dato l’impressione di cercare di approfittare del vertice per cercare di ripristinare la sua influenza, ormai declinante da almeno 10-20 anni, e contrastare la crescente presenza economica della Cina in nazioni latinoamericane sempre più diffidenti nei confronti degli interessi e delle reali motivazioni degli Stati Uniti.
La Cina è ora il partner commerciale numero uno per le maggiori economie del Sud America – Brasile, Argentina, Cile, Uruguay e Perù – che producono gran parte del rame, del litio, della soia, e del mais del mondo. Per i restanti Paesi del continente la Cina è comunque diventato il secondo partner commerciale, dopo gli USA. Il commercio totale tra Cina e America Latina ha raggiunto 67,5 miliardi di dollari nel 2021 e i progetti realizzati nell’ambito del programma Belt and Road Initiative continuano ad aumentare, fornendo un’alternativa all’agenda di austerità del Fondo Monetario Internazionale. E mentre l’influenza economica e politica della Cina cresce costantemente anche in America Centrale e nei Caraibi, la leadership un tempo incontrastata di Washington nel suo ex “cortile di casa” è probabilmente scesa ai minimi storici. Il progetto di egemonia americana sul continente deve anche affrontare una crisi esistenziale causata dalle debolezze del proprio sistema politico ed economico, con fondi pubblici disponibili limitati per gli investimenti all’interno, per non parlare all’estero.
Il vertice è stato una delusione, un’occasione persa, in un momento in cui l’America Latina avrebbe davvero bisogno di leadership e investimenti economici efficaci. L’inflazione è alle stelle e il turismo è stato in stasi negli ultimi anni a causa del CoVid-19 e, sebbene il linguaggio grandioso della “Partnership per la Prosperità Economica” proposta da Biden sia stato considerato apprezzabile rispetto a quello nazionalista, unilaterale e ostile usato da Trump tra il 2016 e il 2020 (tra l’altro Trump non aveva neanche partecipato all’8° Vertice del 2018 a Lima), il contenuto della proposta rimane vago (apparentemente, la proposta economica di Biden non era stata neanche discussa con altri Paesi prima del vertice) ed equivalente a una recitazione di discorsi progressisti che sono sembrati essere rivolti più a segmenti della base interna democratica che ai leader del continente o alle loro popolazioni.
Questo mentre per ora buona parte delle economie dell’America Latina stanno facendo i conti con gli impatti della guerra in Ucraina meglio di molti altre economie emergenti. I prezzi di grano, mais, gas, petrolio e altre materie prime strategiche sono aumentati di oltre il 20% dall’inizio della guerra, a vantaggio di Paesi come Argentina (terzo esportatore di grano nelle Americhe dopo USA e Canada), Brasile, Messico e Colombia, questi ultimi esportatori di petrolio e gas. In gran parte dell’America Latina, le esportazioni di materie prime costose hanno fornito un afflusso costante di valuta forte, consentendo a persone e aziende d’importare beni a buone condizioni. Molte valute della regione si sono rivalutate rispetto al dollaro, in netto contrasto con il resto dei Paesi emergenti. Questo ha dato ai politici un po’ di spazio fiscale per cercare di proteggere i loro elettori dalle sofferenze dei prezzi elevati di cibo ed energia, una condizione che molti altri Paesi a medio e basso reddito non possono permettersi.
Ma, le famiglie di tutta la regione stanno vedendo che i loro bilanci sono martoriati dal caro vita provocato da guerra e speculazione. Questo trauma s’aggiunge a diversi recenti problemi e, a medio termine, le prospettive per alcune economie latinoamericane sono burrascose. La produzione è rimasta al di sotto delle tendenze pre-pandemiche in molte economie e il carico del debito è aumentato in modo sostanziale. I problemi della catene di approvvigionamento e l’aumento dei prezzi hanno frenato i consumi delle famiglie, mentre il rialzo dei tassi di interesse nei Paesi ricchi sta allontanando i capitali da quelli poveri, aumentando la pressione finanziaria sulle aziende e sui governi, già in difficoltà nel far quadrare i conti. I Paesi latinoamericani sono afflitti da un’estrema disuguaglianza, che è stata esacerbata dalla pandemia da CoVid-19, per cui una distribuzione ineguale delle difficoltà presenti e future potrebbe aggravare l’instabilità politica del continente.
A causa della mancanza di una reale volontà politica e di sostanziali risorse economiche impegnate da parte degli Stati Uniti, il vertice non ha offerto vere soluzioni per risolvere i problemi urgenti della regione, come le cause strutturali dell’immigrazione di massa, le disuguaglianze, il traffico di armi5 e la debole assistenza sanitaria pubblica6.
Ad esempio, per quanto riguarda il tema della migrazione, al vertice Washington ha fatto passare una “Los Angeles Declaration on Migration and Protection” (sottoscritta solo da 20 Paesi, tra cui Spagna e Canada, dopo giorni di forti pressioni da parte degli USA), una dichiarazione non vincolante che mira a rafforzare i suoi schemi tesi a contenere gli aspiranti migranti nei loro Paesi di origine o di transito, senza prevedere di investire ciò che è necessario per ridurre la povertà, il fattore trainante della migrazione di massa dal centro e dal sud del continente (a questo proposito si veda il nostro articolo qui).
L’amministrazione Biden si concentra solo sulla ricerca di un contenimento dell’immigrazione, cercando di diffondere la responsabilità di affrontare il problema della migrazione in tutta la regione. Un’altra necessità determinata dalla politica interna americana7, ma così il fenomeno delle “carovane di migranti” centroamericani non si risolverà perché le sue cause – povertà economica e di diritti sociali e politici, violenze delle organizzazioni criminali e dei governi, effetti disastrosi dei cambiamenti climatici – non verranno affrontate. Tra l’altro, mentre i funzionari dell’amministrazione Biden hanno pubblicizzato il patto migratorio come il fulcro del vertice, l’assenza di leader dei Paesi che sono la principale fonte di migranti, tra cui Messico, Guatemala, Honduras ed El Salvador, ma anche Venezuela, Cuba e Nicaragua, ha intaccato il significato della dichiarazione.
Al vertice, Washington ha promesso 314 milioni di dollari in assistenza umanitaria per i rifugiati venezuelani e i migranti vulnerabili. Si è impegnata a riavviare i programmi che consentiranno ad alcuni cubani e haitiani di riunirsi con i familiari negli Stati Uniti, e a reinsediare 20 mila rifugiati dalle Americhe nei prossimi due anni. Un numero molto modesto se si considera che la polizia di frontiera americana ha intercettato più di 234 mila i migranti al confine meridionale nel solo mese di aprile (da gennaio ad aprile quasi 1,5 milioni, per circa l’84% provenienti da Cuba, Nicaragua, Venezuela, Haiti, El Salvador, Guatemala, Honduras e Messico). Altre misure includono l’impegno da parte di Stati Uniti e Canada a prendere più lavoratori temporanei in agricoltura e fornire percorsi alle persone dei Paesi centroamericani più poveri per lavorare in quelli più ricchi che accettano una maggiore protezione per migranti e richiedenti asilo. Anche il Messico accetterà più lavoratori centroamericani, secondo una dichiarazione della Casa Bianca. Al tempo stesso, Biden ha esortato gli altri Paesi a far rispettare le frontiere e ad espellere le persone che non hanno diritto all’asilo.
Il vertice ha anche prodotto vaghe proposte/promesse di accordi regionali su sviluppo economico, politica climatica, promozione delle energie rinnovabili, innovazioni, sicurezza alimentare e ripresa post-CoVid-19, per le quali sono stati previsti impegni di finanziamenti quasi simbolici, senza delineare misure di intervento specifiche. Biden ha esortato i dirigenti d’azienda statunitensi a sostenere le economie in difficoltà della regione con maggiori investimenti e sostegno per il suo piano di partenariato ecologico e per rafforzare supply and value chains in accordo con la strategia del cosiddetto friendshoring promossa dalla sua amministrazione sotto il coordinamento della vicepresidente Harris, in particolare per quanto riguarda il Centro America
Biden ha delineato una sua proposta di “Partnership per la Prosperità Economica”, dicendo che mira a portare le catene di approvvigionamento più vicine a casa, riformare la Banca Interamericana di Sviluppo, razionalizzare gli investimenti e dare il via alle azioni per il clima. Ma il piano, che sembra essere ancora in via di definizione, non offre uno sgravio tariffario e inizialmente si concentrerà sui Paesi che hanno già accordi commerciali free trade con gli Stati Uniti (ossia Canada, Messico, Cile, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama e Perù), continuando a penalizzare l’export di molti dei Paesi più piccoli.
Facendo un velato riferimento polemico alla Cina, Biden ha dichiarato: “Vogliamo assicurarci che i nostri vicini più stretti abbiano una scelta reale tra lo sviluppo della trappola del debito che è diventato… sempre più comune nella regione e l’approccio trasparente di investimenti infrastrutturali di alta qualità che offrono guadagni duraturi per i lavoratori e le famiglie“. Tuttavia, sulle proposte svelate e le nuove politiche presentate dall’amministrazione Biden sono mancati i dettagli e le indicazioni delle risorse finanziarie impegnate e questo ha dato la sensazione che il vertice non fosse l’affare diplomatico soddisfacente che era stato preventivamente promesso. Inoltre, sale scarsamente frequentate nelle sessioni del vertice e una mancanza generale di eccitazione dentro e fuori le sedi sono stati argomenti ricorrenti nei commenti sull’evento da parte sia dei partecipanti sia dei media.
In una delle sessioni plenarie, Biden ha detto che: “Non c’è motivo per cui l’emisfero occidentale non possa essere la regione più lungimirante, più democratica, più prospera, più pacifica e sicura del mondo. Abbiamo un potenziale illimitato. Abbiamo enormi risorse e uno spirito democratico che rappresenta libertà e opportunità per tutti“. Eppure l’America Latina non è stata finora una priorità per l’amministrazione Biden, che ha concentrato la sua attenzione sull’Indo-Pacifico in funzione anticinese e sulla guerra Russia-Ucraina (con molteplici vertici del G7 e della NATO con gli alleati europei). Anche il principale collegamento della Casa Bianca con la regione – la vicepresidente Kamala Harris, incaricata di arginare la migrazione verso gli Stati Uniti soprattutto dalle nazioni del cosiddetto “Triangolo del Nord” centroamericano – ha visitato la regione solo due volte dal gennaio 2021. Lo stesso Biden non ha ancora messo piede in America Latina da presidente, mentre quando era vicepresidente di Obama aveva fatto 16 viaggi.
Il vertice ha creato delle griglie per poter affrontare dei temi, ma non è chiaro se ci saranno conseguenze operative che porteranno a qualcosa di concreto. Affinché questo avvenga gli Stati Uniti dovranno dare seguito, prestare un’attenzione continua e dedicare risorse reali. Il primo ministro del Belize ha fatto notare che “Sappiamo che il problema non è il denaro. In meno di tre mesi, due Paesi di questo emisfero [USA e Canada] hanno impegnato 55 miliardi di dollari in Ucraina“.
Biden, nel suo discorso, ha detto che aveva intenzione di ascoltare gli altri leader e che voleva che tutti lavorassero insieme. “Non importa cos’altro sta succedendo nel mondo“, ha detto, “le Americhe saranno sempre la priorità per gli Stati Uniti d’America“. Forse, come sostengono due acuti osservatori, Michael Shifter e Bruno Binettie, ciò di cui l’emisfero avrebbe bisogno ora dagli Stati Uniti è un approccio mirato e più umile che riconosca i limiti dell’influenza di Washington: una politica, in altre parole, per un’America Latina post-americana. Meno grandi pronunciamenti retorici e più risorse economico-finanziarie e azioni concrete realmente concertate con i Paesi partner.
Alessandro Scassellati
- Il Vertice delle Americhe, che si tiene ogni tre anni dal 1994 (ritardato solo dalla pandemia di coronavirus), è un evento importante che aveva suscitato molto entusiasmo ai tempi dell’amministrazione Clinton a Miami, quando gli USA erano in ascesa e si trovavano in cima ad un mondo unipolare dopo il crollo dell’Unione Sovietica. E quando anche l’America Latina stava attraversando una trasformazione, non più una regione di dittature militari, dato ch e quasi tutti i Paesi avevano un governo eletto democraticamente e molti erano ansiosi di lavorare con Washington. “Vi prometto un nuovo capitolo nelle nostre relazioni, una collaborazione tra pari“, aveva detto l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama ai suoi colleghi al quinto vertice nell’aprile del 2009, poco dopo il suo insediamento. All’epoca Cuba era ancora esclusa, ma quando Obama ha partecipato al suo ultimo vertice, era seduto allo stesso tavolo con il presidente Raul Castro. Gli Stati Uniti non sono mai stati in grado di imporre completamente la propria agenda a questi vertici. Al terzo vertice di Quebec City (2001) e al quarto vertice di Mar del Plata (2005), i movimenti popolari hanno tenuto ampie contro-proteste; a Mar del Plata, il presidente venezuelano Hugo Chávez ha guidato una grande manifestazione, che ha portato al crollo dell’accordo sulla zona di libero scambio delle Americhe voluto dagli Stati Uniti. Il quinto e sesto vertice di Port of Spain (2009) e Cartagena (2012) sono diventati campi di battaglia per il dibattito sul blocco statunitense su Cuba e la sua espulsione dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). A causa dell’immensa pressione degli Stati membri dell’OSA, Cuba è stata invitata al settimo e all’ottavo vertice di Panama City (2015) e Lima (2018), contro la volontà degli Stati Uniti.[↩]
- “Non c’è una sola ragione che giustifichi l’esclusione non democratica e arbitraria di qualsiasi Paese dell’emisfero da un evento continentale“, ha affermato il governo cubano in una nota. “Quello che la nostra regione richiede è cooperazione, non esclusione; solidarietà, non meschinità; rispetto, non arroganza; sovranità e autodeterminazione, non subordinazione“. Anche con Biden gli USA non pongono fine all’embargo commerciale contro Cuba, che dura da decenni. “Gli Stati Uniti hanno sottovalutato il sostegno a Cuba nella regione, mentre cercavano di imporre la loro politica di ostilità unilaterale e universalmente rifiutata nei confronti di Cuba, come se fosse una posizione consensuale nell’emisfero“. Il primo ministro di una delle nazioni più piccole dell’emisfero, il Belize, John Briceno, ha detto a Biden che era stato “imperdonabile” non invitare tutti i Paesi e ha definito la campagna di pressione statunitense di oltre mezzo secolo (dal 1962) contro Cuba un “crimine contro l’umanità“.[↩]
- Arce ha insistito sul fatto che “è tempo che il governo degli Stati Uniti metta fine all’insensato e criminale blocco economico, commerciale e finanziario che grava su Cuba, così come alle oltre 500 sanzioni coercitive unilaterali imposte a Venezuela e Nicaragua”.[↩]
- In contemporanea al vertice ufficiale, c’è stato anche il Vertice dei Popoli, organizzato da oltre 200 gruppi sociali e sindacali provenienti dagli Stati Uniti e da tutta l’America Latina, con diversi panel e workshop che hanno discusso su questioni quali il tipo di democrazia esistente nei cosiddetti Paesi sviluppati e il tipo di democrazia che i popoli vogliono, nonché sul fatto che Cuba subisce il blocco da 60 anni e sulla necessità di porvi fine.[↩]
- Le autorità messicane stimano che almeno mezzo milione di armi fluiscano illegalmente ogni anno dagli Stati Uniti nelle mani di criminali a sud del confine, alimentando la violenza armata. Nell’agosto 2021, il governo messicano ha intentato una causa presso un tribunale federale degli Stati Uniti contro otto produttori e distributori di armi statunitensi, accusandoli di essere coinvolti in pratiche negligenti e illecite che favoriscono il contrabbando di armi. Fermare il flusso di armi attraverso il confine si rivela elusivo anche perché la National Rifle Association è la più potente lobby nella politica americana, influenza la politica finanziando le campagne elettorali e di rielezione dei legislatori statunitensi.[↩]
- I Paesi latinoamericani rimproverano agli USA il modo in cui hanno affrontato la questione della pandemia da CoVid-19 in relazione al resto del continente. Si sono isolati, hanno chiuso le frontiere, lasciando soli i Paesi dell’America Latina a combattere con i propri focolai, aiutati solo da medici e vaccini cubani. Nel 2020 l’America Latina ha subìto un calo del PIL maggiore rispetto a qualsiasi altra parte del mondo. La pandemia ha provocato la rinuncia agli investimenti, la perdita di ore di scuola, e un freno della produttività. È probabile che ciò deprima la crescita economica negli anni a venire. Finora, gli importi offerti dai programmi di cooperazione degli USA attraverso l’Agenzia per lo sviluppo internazionale sono stati molto modesti.[↩]
- I Repubblicani, che mirano a riprendere il controllo del Congresso degli Stati Uniti alle elezioni di medio termine di novembre, hanno aspramente criticato Biden per aver invertito alcune delle politiche restrittive del suo predecessore repubblicano, Donald J. Trump, e hanno cercato di inquadrare la situazione dei migranti al confine come una crisi esistenziale. Ma, l’amministrazione Biden sta ancora allontanando le persone al confine usando le norme sanitarie del Titolo 42 che il suo predecessore ha messo in atto durante la pandemia, una politica che costringe i richiedenti asilo ad aspettare per mesi in campi non sicuri in Messico. La revisione completa delle leggi sull’immigrazione, che Biden ha promesso, rimane bloccata al Congresso, senza prospettive di progresso.[↩]
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Questa frase “una scelta reale tra lo sviluppo della trappola del debito che è diventato… sempre più comune nella regione e l’approccio trasparente di investimenti infrastrutturali di alta qualità che offrono guadagni duraturi per i lavoratori e le famiglie“ detta dagli USA “comandanti “del FMI e della Banca Mondiale che impongono il cappio delle riforme ultraliberiste e capitaliste ai malcapitati che cadono nelle loro grinfie di cravattari e’ una delle espressioni piu’ tipiche dell’ipocrisia “occidentale” …se la Cina avanza con progetti di sviluppo e’ una invasione invece se lo fanno (direttamente o indirettamente) gli USA apportano “democrazia sviluppo e benessere”…Che schifo!