di Francesco Tanzarella
Il risultato delle elezioni regionali dell’Umbria del 27 ottobre erano ampiamente previste, anche se non nella misura eclatante (57,55% contro il 37,48 della “coalizione di nuovo conio”) con cui la coalizione delle destre ha vinto. Infatti, la crescita elettorale delle destre in Umbria è iniziata nel 2014 con la conquista del comune di Perugia, ed è proseguita ininterrotta conquistando gran parte dei maggiori comuni della regione. Nelle elezioni europee di maggio aveva già toccato i 51 punti. Questa crescita elettorale è stata parallela all’aggravarsi delle condizioni economiche del territorio che dall’inizio della grande crisi nel 2008 ad oggi ha visto ridursi il PIL pro capite del 18% e aumentare la percentuale di povertà relativa al 14,3% in connessione a una discesa dei redditi da lavoro,
Il risultato delle elezioni regionali in Umbria del 27 ottobre 2019 era ampiamente previsto, anche se non nella misura eclatante (57,55% contro il 37,48 della “coalizione di nuovo conio”) con cui la coalizione delle destre ha vinto.
Infatti, la crescita elettorale delle destre in Umbria è iniziata nel 2014 con la conquista del comune di Perugia ed è proseguita ininterrotta, conquistando gran parte dei maggiori comuni della Regione. Nelle elezioni europee del 26 maggio 2019 aveva già toccato i 51 punti percentuali!
Questa crescita elettorale è stata parallela all’aggravarsi delle condizioni economiche del territorio umbro. Questo, dall’inizio della crisi nel 2008 a oggi, ha visto la riduzione del PIL pro capite del 18% e l’aumento della percentuale di povertà relativa pari al 14,3%, in connessione con una discesa dei redditi da lavoro; questi dati avvicinano l’Umbria ai parametri sociali e economici del Mezzogiorno piuttosto che a quelli del Centro-Nord. Un parallelismo che traspare anche nelle analisi dei flussi elettorali, dai quali emerge una connessione tra picchi di voti alle destre e piccoli comuni di zone più interne, lontane da infrastrutture e con un livello basso dei servizi.
Il declino umbro è aggravato dagli squilibri prodotti dal federalismo fiscale e dal cattivo funzionamento del fondo perequativo per gli enti locali, come recentemente denunciato anche dalla trasmissione televisiva Report.
I due maggiori poli occupazionali dell’Umbria, la Perugina e l’acciaieria di Terni, di proprietà di due grandi multinazionali, rispettivamente la Nestlè e la Thyssenkrupp, in questi anni hanno visto il succedersi di crisi di mercato, ristrutturazioni con tagli di organico, minacce di svendita, esuberi, utilizzo ripetuto di cassa integrazione. A tutto ciò, i lavoratori hanno risposto con mobilitazioni anche determinate e protratte nel tempo, ma che hanno trovato il loro ostacolo maggiore nell’assenza di interesse e di rappresentanza da parte del sistema politico. Le ultime lotte nell’acciaieria di Terni sono raccontate nel romanzo “Inox” scritto da un ex lavoratore licenziato a causa della prima manomissione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Eugenio Raspi racconta di un conflitto di classe che non è affatto scomparso dalla vita delle persone, ma che segna il passo davanti a una potente multinazionale dell’acciaio contro cui persino lo sciopero diviene un’arma spuntata, mentre il sistema politico – che nella storia regionale del ‘900 da quelle lotte era nato – ora rimane inerte.
E’ in questa miscela di malessere economico e sociale, e di solitudine del conflitto operaio, che le destre hanno potuto coltivare a piene mani il rancore contro le forze che hanno governato la Regione negli ultimi 50 anni.
Tuttavia quello che era stato un voto di protesta, che aveva trascinato il M5S al 27,53% alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, ha fatto un salto di campo più netto: quei voti non tornano più indietro, ma transitano alle destre trascinandole in avanti di altri 6 punti rispetto alle europee di maggio 2019. Oppure finiscono in astensione, lasciando il M5S al 7,4%.
Quella di Salvini in Umbria è stata una campagna elettorale condotta da una macchina da guerra, che produce rancore e offre “gocciolamento” liberista al malessere economico. Contrapporgli un campione dell’antipolitica come Vincenzo Bianconi ha significato spingere in avanti la frana della stessa antipolitica e del M5S con essa.
Del resto quella che era “la coalizione di nuovo conio” guidata da Bianconi – e immortalata dalla foto di Narni che doveva simbolizzare il lancio della svolta zingarettiana basata sull’alleanza strutturale col M5S – era caratterizzata proprio dall’essere un contenitore privo di contenuti, nel cui programma non vi era traccia della crisi economica in corso nella Regione da 10 anni, nulla sulle aziende in crisi, nulla sull’autonomia differenziata che completerà il divario economico avviato dal federalismo differenziato, nulla sui part-time involontari e la precarizzazione del lavoro in corso, nulla sui migranti pur in presenza del 10,8% di residenti stranieri. Mai è stato così evidente – come in queste elezioni – che l’appello all’unità di “tutti contro Salvini” può essere tanto apparentemente saggio, quanto sostanzialmente inefficace.
A questa contraddizione non si è sottratta la lista Sinistra Civica Verde, apparentata al candidato Bianconi e che nel suo appello al voto si è chiaramente richiamata all’asse politico governativo. Ai già scarsi risultati raggiunti da La Sinistra alle europee di maggio scorso è mancato un ulteriore 0,5%, ma in realtà, considerando che Articolo1 è confluito in questa lista invece che in quella del PD (come invece fatto nelle europee), i voti persi sono molti di più.
L’impraticabilità da sinistra della coalizione Bianconi ha reso quindi comprensibile la scelta d’autorità della segreteria nazionale di Rifondazione Comunista di sfilarsi dalla lista SCV, sia pure in zona cesarini.
Del resto, per le forze di sinistra, queste elezioni regionali erano fortemente condizionate da una legge elettorale regionale di tipo maggioritario a turno unico secco, cioè senza soglie minime per la vincita del Presidente e del premio di maggioranza. Condizione che spinge o all’alleanza di scopo contro le destre, oppure a una presenza autonoma puramente testimoniale.
Sarà purtroppo la stessa alternativa imposta dalle leggi elettorali delle altre sette Regioni che andranno al voto entro la primavera (a eccezione della Toscana dove si vota con doppio turno); leggi regionali sbagliate che renderanno sempre più difficili le opzioni per le sinistre ancora in campo.
avvicinando l’Umbria ai parametri sociali e economici del Mezzogiorno invece che del centro nord. Un parallelismo che traspare anche nelle analisi dei flussi elettorali dai quali emerge una connessione tra picchi di voti delle destre e piccoli comuni di zone più interne, lontane da infrastrutture e con scarso livello di servizi. Un declino cioè, aggravato dagli squiIibri prodotti dal federalismo fiscale e dal malfunzionamento del fondo perequativo per gli enti locali, come recentemente denunciato anche dalla trasmissione Report. I due maggiori poli occupazionali della regione, la Perugina e l’acciaieria di Terni di proprietà di due grandi multinazionali, la Nestlè e la Thyssenkrupp, in questi anni hanno visto il succedersi di crisi di mercato, ristrutturazioni con tagli di organico, minacce di svendita, ùesuberi, utilizzo ripetuto di cassa integrazione. A tutto questo, i lavoratori hanno risposto con mobilitazioni anche determinate e protratte nel tempo, ma che hanno trovato il loro ostacolo maggiore nell’assenza di interesse e di rappresentanza da parte del sistema politico.
Le ultime lotte vissute nell’acciaieria di Terni sono raccontate in un romanzo “Inox” scritto da un ex lavoratore licenziato grazie alla prima manomissione dell’art.18. Eugenio Raspi racconta di un conflitto di classe che non è affatto scomparso dalla vita delle persone, ma che segna il passo davanti a una potente multinazionale dell’acciaio contro cui persino lo sciopero diviene un’arma spuntata, mentre il sistema politico che nella storia regionale del ‘900 da quelle lotte era nato, ora rimane inerte. E’ in questa miscela di malessere economico e sociale e di solitudine del conflitto operaio, che le destre hanno potuto coltivare a piene mani il rancore contro le forze che hanno governato la regione negli ultimi 50 anni.
Tuttavia quello che era stato un voto di protesta che aveva trascinato il M5S al 27,53 del 4 marzo 2018, ha fatto un salto di campo più netto: quei voti non tornano più indietro, ma transitano alle destre trascinandole in avanti di altri 6 punti rispetto a maggio. Oppure finiscono in astensione, lasciando il M5S al 7,4%. Quella di Salvini in Umbria è una campagna elettorale condotta da una macchina da guerra che produce rancore e offre “gocciolamento” liberista al malessere economico.
Contrapporgli un campione dell’antipolitica come Vincenzo Bianconi ha significato spingere in avanti la frana della stessa antipolitica e del M5S con essa. Del resto quella che era “la coalizione di nuovo conio” guidata da Bianconi e immortalata dalla foto di Narni che doveva simbolizzare il lancio della svolta zingarettiana basata sull’alleanza strutturale col M5S, era caratterizzata proprio dall’essere un contenitore privo di contenuti, nel cui programma non vi era traccia della crisi economica in corso nella regione da 10 anni, nulla sulle aziende in crisi, nulla sull’autonomia differenziata che completerà il divario economico avviato dal federalismo differenziato, nulla sui part-time involontari e la precarizzazione del lavoro in aumento continuo, nulla sui migranti pur in presenza del 10,8% di residenti stranieri. Mai è stato così evidente come nelle elezioni umbre che l’appello all’unità di tutti contro Salvini può essere tanto apparentemente saggio, quanto sostanzialmente inefficace. A questa contraddizione non si è sottratta la lista
Sinistra Civica Verde apparentata con Bianconi e che nel suo appello al voto si è chiaramente richiamata all’asse politico governativo. Ai già scarsi risultati raggiunti da La Sinistra alle europee di maggio è mancato un ulteriore 0,5%, ma in realtà considerando che Articolo1 ha partecipato a questa lista invece che a quella del PD, come nelle europee, i voti persi sono molti di più. L’impraticabilità da sinistra della coalizione rende quindi comprensibile la scelta d’autorità della segreteria nazionale di Rifondazione Comunista di sfilarsi da SCV, sia pure in zona cesarini.
Del resto, per le forze di sinistra queste elezioni regionali erano fortemente condizionate da una legge elettorale regionale di tipo maggioritario a turno unico secca, cioè senza soglie minime per la vincita del Presidente e del premio di maggioranza. Condizione che spinge o nell’alleanza di scopo contro le destre o in una presenza autonoma ma testimoniale. Sarà la stessa alternativa imposta dalle leggi elettorali delle altre sette regioni in cui si voterà entro la primavera, ad eccezione della Toscana dove si vota con doppio turno, e che anche per questo renderanno ancora più difficili le scelte per le sinistre ancora in campo.