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Una Scienza libera e una ricerca indipendente? Astronauti, miliardari, e persone senza cibo

di Riccardo
Rifici

Senza dubbio l’intreccio tra teorie complottiste e irrazionalità scientifica ha, una matrice comune. Una matrice di destra, una matrice eversiva che tende a confondere e a disorientare le persone. Una matrice che alimenta il populismo e che nasconde la realtà dei problemi che milioni (miliardi?) di persone si trovano di fronte in modo sempre più drammatico.  Un esempio fra tutti è quello americano, dove la destra repubblicana e movimenti come QAnon, hanno messo insieme, contando purtroppo sullo scontento di ceti popolari, il peggio del populismo reazionario con l’oscurantismo scientifico.

Tale intreccio si combatte, con lo smascheramento delle teorie complottiste e un’informazione ed un’educazione adeguata.

Per fare questo, come già accennato in precedenti articoli pubblicati da Transform, è necessario riprendere quella capacità di riflessione ed analisi sui temi che riguardano l’utilizzo della scienza e della ricerca scientifica nella moderna società capitalistica, evitando di accettare supinamente un modello di ricerca scientifica e una nozione di “progresso tecnologico” completamente asserviti alle strategie delle multinazionali e delle grandi potenze.

L’accettazione acritica di queste strategie comporta il dover sopportare gravi conseguenze, come quelle relative ai dati diffusi da Oxfam sul drammatico aumento delle diseguaglianze nel mondo seguito della pandemia Covid, dove alcuni soggetti hanno guadagnato miliardi di dollari in poco tempo, e molti milioni di persone si sono ulteriormente impoverite. O come quelle relativa alla assoluta inadeguatezza delle scelte dei governi mondiali per affrontare la crisi climatica.

Uno spunto, un po’ controverso, ma proprio per questo utile per approfondire la discussione sui condizionamenti a cui è sottoposta la ricerca scientifica, può essere quello dato da una riflessione sul rapporto costi/benefici delle imprese spaziali, in particolare su quelle che non si limitano a lanciare sonde per lo studio di fenomeni celesti, ma che prefigurano un uso privatistico e a scopo di profitto dei viaggi spaziali (magari per solo per far fare un po’ di turismo spaziale a un po’ di ricconi)

In proposito è utile ricordare che il costo per mandare la sonda Perseverance su Marte, sembra sia stato di circa 2.7 miliardi di dollari, mentre i costi stimati per mandare, entro il 2028, tre astronauti su sulla Luna potrebbe essere intorno a 35 miliardi (Programma Artemis). E, ancora, le stime di costo fatte per portare qualcuno su Marte entro i prossimi 30 anni si aggirerebbero tra i 200 e i 400 miliardi di dollari.

La domanda che molti si pongono è: ma con tutti questi soldi non si potrebbero fare cose più utili? Tipo finanziare la ricerca per combattere le cause di povertà, contrastare la fame, curare molte malattie, affrontare seriamente la crisi climatica, ecc…? .

Le risposte a questa domanda sono già state diverse nel corso della storia dell’esplorazione spaziale.

Le principali giustificazioni sono riassumibili in questi punti:

  1. La ricaduta in termini di tecnologia e conseguenti vantaggi economici per l’industria e in particolare per il settore delle telecomunicazioni;
  2. Il miglioramento nelle capacità di organizzare vasti programmi scientifici
  3. Le ricadute per la ricerca nel campo delle scienze astronomiche, e nelle altre scienze fisiche
  4. Le importanti ricadute nelle applicazioni militari
  5. Infine è stato anche richiamato (come in parte avvenne ai tempi della guerra fredda) un vantaggio etico, consistente nello spostare la competizione politica tra le grandi potenze dal campo militare a questo campo.

A fronte di queste giustificazioni, la risposta che appare più plausibile sembra essere la quarta risposta: le ricadute nelle applicazioni militari.

Infatti gli altri risultati, a parte forse quelli riguardanti le scienze astronomiche (che però potrebbero sicuramente fare a meno delle spedizioni umane), si potrebbero avere investendo nella ricerca in vari settori, sia nel campo della fisica, che nel campo della biologia, o della medicina, o delle scienze della terra. Le ricerche in questi settori oltre a comportare una densità di spesa minore, porterebbero vantaggi immediati per la popolazione del mondo. Infatti, mentre la ricerca e gli sforzi tecnologici nel settore dei viaggi spaziali (soprattutto quelli che comportano il trasporto di esseri viventi) richiedono grandi concentrazioni di risorse umane e finanziare in solo comparto, la ricerca in altri settori permetterebbe un uso più articolato e diffuso delle stesse risorse, e soprattutto avrebbe delle ricadute molto più immediate nella vita di tutti i giorni per gli abitanti del pianeta.

Oltre a ciò va sottolineato che la ricerca come quella che ha ricadute in campo militare, prevede una produzione di prodotti sempre più costosi destinati ad un uso molto limitato e sicuramente eticamente discutibile, mentre altre ricerche permetterebbero una produzione su larga scala di prodotti accessibili e utili ai bisogni di larghe masse.

Ad esempio gli studi per combattere la malaria, che ad oggi vede ancora oltre 220 milioni di casi con oltre 400.000 decessi l’anno (la maggior parte bambini), hanno portato a risultati apprezzabili solo negli ultimi 20 anni (è di poco tempo fa la messa a punto di un vaccino (ancora poco efficace)), ciò a caso della inadeguatezza delle risorse (finanziarie ed umane) impiegate dal dopo guerra ad oggi (l’unico intervento consistente è stato l’uso massiccio di DDT nelle zone malariche).  Lo stesso si può dire per molte altre malattie dove la ricerca è costretta a ricorrere alle donazioni e alla carità di privati.

L’altro esempio importante è quello sulla ricerca nel campo dell’energia, dove, dopo decenni di ritardi o di assoluta inazione, si ha ancora un’inadeguata ricerca su nuove tecnologie, come ad esempio il fotovoltaico biologico, o su altre tipologie di accumulatori diversi dalle attuali batterie. Insomma le tecnologie sulle rinnovabili, se pur con i progressi di questi ultimi anni, sono ancora non al passo con le attuali esigenze.

Volendo, poi allargare il campo dei temi della ricerca non ancora adeguatamente finanziati si potrebbe passare ai temi legati alla tutela ambientale, a quello delle tecnologie per la sicurezza delle persone o a quello dell’educazione e della diffusione delle conoscenze.

Tutto ciò senza entrare nel merito del rapporto tra ricerca pubblica (sempre più ridotta in percentuale) e ricerca privata (se pur finanziata in larga parte con soldi pubblici).

Questi esempi, per riaffermare che l’accettazione supina della scala di priorità negli investimenti nei vari settori della ricerca che ci viene proposta quotidianamente, anche in modo surrettizio, comporta l’accettazione di una scala di valori, sia dei beni che ci vengono proposti (materiali o immateriali), sia dei modelli di comportamento e di relazioni sociali.  Insomma ci rende sempre più disarmati di fronte ai processi di ristrutturazione capitalista.

Potremmo infine porci un’altra domanda: se la ricerca condotta negli ultimi 50 anni non fosse stata condizionata dalle esigenze politiche, economiche e anche militari, delle grandi potenze e delle multinazionali, che scienza avremmo a disposizione, in termini di contenuti, metodi di lavoro, e importanza delle diverse discipline?

Forse una riflessione su questi temi, ci farebbe gustare il film “Don’t Look Up” meno rilassati e più preoccupati. Ma soprattutto, alla fine, ci lascerebbe molto più incazzati!

Riccardo Rifici

 

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