Una premessa: L’agricoltura plurale italiana contiene diverse identità e pratiche: sicuramente una di questa meglio rispecchia le modalità ed i criteri di funzionamento dell’agricoltura contadina del nostro paese, non un residuo economico, storico e culturale, ma un modo di produzione distinto, specifico, che è proprio – con diverse sfumature ed approcci – almeno ad 800.000 aziende agricole.
Qualche elemento critico sulla attuale proposta di riforma
L’attuale PAC ha privilegiato la “competitività” e un orientamento quasi esclusivo al commercio internazionale, la “nuova” che è in dirittura finale[1] per essere definitivamente approvata mantiene questa stessa traiettoria. Già sappiamo che i cosiddetti incentivi per il potenziamento delle aziende agricole, come i pagamenti basati sugli ettari, hanno incoraggiato lo sviluppo di grandi aziende agricole a carattere industriale e hanno spinto fuori dal mercato le piccole aziende familiari. E’ evidente che questa strategia ha conseguenze di ampia portata sull’intero sistema agricolo di un paese.
A causa del crescente predominio di questi attori nel sistema alimentare ed il peso sproporzionato attribuito alle esigenze del settore agroindustriale, le aziende agricole di piccole e medie dimensioni hanno poca scelta: o conformarsi, o cercare mercati di nicchia, o abbandonare il settore del tutto. Per conformarsi occorre sottoscrive contratti di coltivazione o di fornitura con grandi trasformatori o GDO (prodotti a marchio, etc), accettando così una modalità di produzione intensiva in capitali e con uso crescente di input produttivi (chimica, energia, etc). In base alle attuali condizioni di mercato, i piccoli produttori – cioè il motore dell’agricoltura italiana – sono semplicemente incapaci di competere sulla base di prezzi bassi o molto bassi proposti dall’agroindustria e/o dalla GDO.
Di conseguenza, allevamenti industriali e monocolture s’impongono, come risultato di scelte di politica pubblica da cui ricevono anche un fondamentale supporto in denaro. L’accesso a materie prime a basso costo ha permesso alle grandi aziende agroalimentari di sviluppare prodotti dalla qualità mediocre, prodotti alimentari altamente trasformati (artificializzazione del cibo), accelerando ulteriormente il processo di concentrazione in atto nella catena di approvvigionamento.
Mercati ingiusti e liberalizzazione
Prezzi bassi al cancello delle aziende agricole sono la normale e prevedibile conseguenza della liberalizzazione dei mercati senza regole e del processo di concentrazione a valle della produzione agricola stessa. È risaputo che gli agricoltori finiscano per ricevere pagamenti inferiori al loro costi di produzione.
Questa struttura della catena del valore non porta nessun vantaggio ai consumatori. Una parte dei costi vengono anche scaricati sui consumatori stessi (costi nascosti): i prezzi al consumo non riflettono il danno ambientale e sociale creato dalla produzione alimentare industriale. I prezzi alimentari artificialmente bassi creano e mantengono il mito che i sistemi alimentari industriali possano fornire cibo a prezzi accessibili alla popolazione della UE.
In effetti, al contrario, l’insicurezza alimentare e la dipendenza dalle banche del cibo nell’UE è in aumento, in gran parte collegata alle misure di austerità applicate in diversi Stati membri, aggravate dalla pandemia. Non va meglio con i consumi alimentari in Italia, che hanno registrato una sensibile riduzione proprio negli anni più duri della crisi economica, la cui risalita sembra essere ancora impervia. Infatti, i dati ISTAT ci dicono che la media mensile per famiglia della spesa per generi alimentari e bevande, che nel 2011 era di 477,08 euro, è scesa a 436,06 euro nel 2014. Dopo di allora, c’è stata una lenta risalita ma, nel 2019 era ancora pari a 464,27 euro, non riuscendo ancora a raggiungere il livello del 2011.
Ma se questi sono i dati medi, è ovvio che non tutte le famiglie sono uguali. I dati più recenti ci dicono che “La spesa alimentare assorbe il 20,7% del totale tra le famiglie con stranieri (414 euro mensili), il 17,9%, tra quelle di soli italiani (469 euro) e il 21,8% (363 euro) se in famiglia sono tutti stranieri”.[2]
I produttori più ecologicamente sostenibili non vengono ricompensati adeguatamente per la diversità delle loro produzioni, o per gli altri aspetti sociali e funzioni ambientali che svolgono. I loro prodotti – in questo contesto – non sono accessibili a quella larga parte della popolazione che non dispone delle necessarie risorse finanziarie stabili ed adeguate per accedere a questo tipo di consumi alimentari. Per esempio, i beni pubblici forniti dalla pastorizia sono particolarmente trascurati. La “nuova PAC” non va abbastanza lontano nel collegare i pagamenti alla fornitura di beni pubblici.
Cattive condizioni di lavoro
Un altro aspetto nascosto – di cui nella discussione finale in corso e malgrado la proposta della Commissione ed il voto del Parlamento europeo sulla necessità di condizionare i pagamenti al rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori – è la dipendenza del sistema agricolo dominante dal lavoro a basso costo, stagionale e/o giornaliero. Indagini recenti e rapporti dei media rivelano condizioni di lavoro e di vita spaventose dei lavoratori agricoli e alimentari in tutta l’UE; questi fenomeni non possono essere liquidati come casi isolati dovuti alla delinquenza organizzata, ma sono strutturalmente parte della catena del valore su cui vive e prospera l’agroindustria e l’agricoltura industriale. Traffico di esseri umani e condizioni di vera schiavitù moderna sono presenti entrambe sia nella produzione agricola che nell’industria di trasformazione e nella logistica collegata. In questo contesto le donne sono particolarmente vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi.
Anche la concentrazione nei mercati di input sta stimolando una crescita del divario tra costi intermedi e produzione finale, il che significa che i produttori devono anticipare quantità crescenti di risorse finanziarie. Questo marginalizza ulteriormente aziende di piccola e media dimensione e in particolare i giovani agricoltori e le nuove aziende, rendendo quasi impossibile vincere la sfida del rinnovamento generazionale.
La finanziarizzazione dell’agricoltura dell’UE
I seminativi dell’UE e altre risorse agricole sono sempre di più merce nei mercati finanziari. Gli investitori stanno acquisendo terre arabili a buon mercato. Pagamenti per ettaro e una definizione di “agricoltore attivo” debole consentono loro di incassare i sussidi, far gonfiare i prezzi della terra, prima di rivendere il tutto con un bel profitto. Questi processi rappresentano un serio ostacolo per quanti volessero entrare nella produzione agricola, in particolare i giovani agricoltori. A questo proposito, il Parlamento europeo aveva nel 2017 adottato una Risoluzione sulla situazione relativa alla concentrazione dei terreni agricoli nell’UE: come agevolare l’accesso degli agricoltori alla terra.
L’innovazione come digitalizzazione
L’innovazione – ampiamente sostenuta da ingenti risorse pubbliche versate nel settore agroalimentare – viene confusa con “digitalizzazione”, senza che vi sia una proposta risolutiva su chi controlla questi processi, a chi giovano e quale modello agricolo finirà per imporsi. Innovazioni economiche efficaci sviluppate da produttori agroecologici in aziende di piccola dimensione sono totalmente trascurate. Le proposte della PAC post 2020 stanziano – come dicevamo – finanziamenti per ricerca e innovazione con una forte priorità attribuita alla digitalizzazione.
Comunque, la transizione non può essere ignorata dalla PAC ma essa deve condurre a un sistema agroalimentare che fornisca alimenti sani, nutrienti, convenienti e distribuiti localmente; una produzione agricola che nutra il terreno e gli ecosistemi, protegga dal cambio climatico, fornisca prezzi equi, sicuri e dignitosi ai produttori agricoli e compensi giusti e dignitosi al lavoro salariato. Perché questa transizione abbia successo, è necessario collocare i produttori sostenibili di piccola scala – quelli che costituiscono il cuore dell’agricoltura contadina nel nostro paese – al centro della riforma e fornire loro il sostegno di strategie politiche, economiche e sociali di cui hanno bisogno per continuare a produrre. C’è da augurarsi che il Piano strategico nazionale di implementazione della nuova PAC, che è in via di elaborazione al MIPAF, vada in questa direzione.
[1] https://www.reterurale.it/PACpost2020/percorsoUE. Qui è possibile trovare i dettagli del percorso dell’approvazione della nuova PAC (Commissione, Consiglio, Parlamento, Trilogo) che dovrebbe entrare in vigore il primo gennaio 2023
[2] Istat 2020, giugno – https://www.istat.it/it/files//2020/06/Spese-per-consumi-delle-famiglie.pdf