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Un gigante con i piedi di argilla

di Maurizio
Simoncelli

di Maurizio Simoncelli –

L’Unione Europea comprende alcune tra le maggiori potenze industriali ed economiche. Dal punto di vista politico, però, sulla scena internazionale l’UE, in quanto tale, non ha praticamente alcuna rilevanza, pur spendendo quasi 270 miliardi di dollari nel settore della difesa (meno della metà degli USA e cifra analoga a quella cinese, ma quintupla di quella russa). Ciò è dovuto certamente alla frammentazione della base produttiva della difesa, alla ridondanza dei sistemi d’arma e alla persistenza dei diversi eserciti nazionali. Dipende anche però dall’assenza di una politica estera e della sicurezza comune dato che i singoli governi mantengono gelosamente le proprie prerogative in tale ambito, riservandosi di operare autonomamente (il più delle volte) o congiuntamente (assai più di rado), come ha dimostrato in modo drammatico dapprima l’attacco alla Libia di Gheddafi, poi i diversi comportamenti nei confronti dei due leader libici Haftar e al-Serraj.

Peraltro, è opportuno ricordare che da un ventennio l’Unione Europea ha avviato una serie di passi, non solo attraverso appositi summit, ma anche attraverso lo stanziamento di specifici fondi. Dopo il conflitto nell’ex-Jugoslavia, con il vertice bilaterale di St. Malo (dicembre 1998), Francia e Gran Bretagna concordarono sulla necessità che l’Ue potesse acquisire una Politica estera di sicurezza e di difesa – Pesd, che venne poi definita con il Consiglio europeo di Colonia (giugno 1999).

La sua struttura consisteva in un Comitato Politico e di Sicurezza – Cps, presieduto dall’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, di un Comitato militare e di uno Stato maggiore militare dell’Ue. Seguirono poi due documenti strategici “A secure Europe in a better world” (2003) e “Providing security in a changing world” (2008). Quest’ultimo rilevava alcune minacce quali la proliferazione delle armi di distruzione di massa, il terrorismo, la criminalità organizzata e pirateria, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e i cambiamenti climatici. Gli obiettivi strategici delineati erano quelli di creare stabilità all’interno e all’esterno dell’Europa e evidenziando un nesso tra sicurezza e sviluppo (responsability to protect). Con il Trattato di Lisbona si è passati alla Politica di Sicurezza e Difesa Comune – Psdc dal 2009, basata sull’Alto rappresentante per la politica estera e gli affari di sicurezza, con il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (una specie di corpo diplomatico europeo) e l’Agenzia Europea per la Difesa (tesa a sviluppare e sostenere l’industria del settore). Contemporaneamente veniva ampliato anche il ventaglio dell’azione delle missioni militari UE.

In tempi più recenti, l’UE ha cercato un nuovo rilancio della politica di difesa, con la pubblicazione dell’European Global Strategy (2016) seguita poi nel biennio successivo dall’attivazione della Permanent Structured Cooperation (PESCO) e dall’approvazione dell’European Defence Action Plan, fondato, tra l’altro, sul Fondo Europeo per la Difesa (European Defence Fund, con 13 miliardi per il periodo 2021-2027), su un piano di investimento per le piccole e medie imprese (SMEs) e su un complesso di misure per rafforzare il mercato europeo della difesa.

Se da un lato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea comporta una riduzione dei fondi complessivi a disposizione dell’UE, dall’altro lato Londra ha sempre mostrato una preferenza per l’asse con Washington. L’ininfluenza sulla scena internazionale dell’UE (anche nel caso del conflitto siriano) mette in risalto la necessità di una politica estera e della sicurezza comune reale, che dovrebbe incentrarsi su profonde trasformazioni dell’assetto istituzionale con un governo europeo dotato di veri poteri e non soggetto ai veti nazionali. Contemporaneamente non va dimenticato che una PESC efficace (ben al di là del Trattato franco-tedesco di Aquisgrana o dell’European Defence Initiative) deve essere del tutto autonoma da quella della NATO, che ovviamente risente del ruolo leader degli USA, che non a caso, con il loro attuale presidente, hanno apertamente tifato per la disunione europea. Se è pienamente condivisibile il rafforzamento di un’unione effettiva nel settore della difesa, non si possono ignorare quindi sia l’incompatibilità tra NATO e UE (sottaciuta nei discorsi ufficiali), sia ancor più la necessità di definire una linea affinché non si esplichi nel sostenere l’industria della difesa e l’export militare o in una politica di potenza vecchio stile. Il ruolo dell’Europa dovrebbe essere connesso ai suoi valori democratici, culturali ed umani, d’impegno nell’azione multilaterale (in primis nell’ONU) e in antitesi alle spinte sovraniste che di fatto replicano scelte nazionaliste che tanti lutti hanno portato non solo nel Vecchio Continente.

Le missioni militari dell’UE

https://eeas.europa.eu/topics/common-security-and-defence-policy-csdp/430/military-and-civilian-missions-and-operations_en

Le spese per la difesa dei paesi dell’Unione Europea 2010-2018 (mn $)


2010 2018
Austria 3.108 3.140
Belgio 5.026 4.614
Bulgaria 817 1.015
Croazia 902 827
Cipro 407 360
Danimarca 4.149 3.971
Estonia 325 571
Finlandia 3.464 3.615
Francia 55.932 59.542
Germania 42.824 46.192
Grecia 6.989 4.934
Irlanda 1.134 1.140
Italia 29.491 26.082
Lettonia 244 629
Lituania 311 956
Lussemburgo 259 393
Malta 54,9 64,7
Olanda 10.555 10.535
Norvegia 5.442 6.824
Polonia 7.607 10.749
Portogallo 4.364 3.969
Rep. Ceca 2.248 2.446
Romania 1.853 4.258
Slovacchia 1.056 1.186
Slovenia 702 493
Spagna 18.097 17.039
Svezia 5.276 5.733
Ungheria 1.168 1.568
UK 55.407 46.883
totale 269.213 269.726

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