di Nicoletta Pirotta –
Per Il quarto anno consecutivo il movimento femminista di NonUnaDiMeno (NUDM) vuole riempire l’8 marzo di lotta e di parola.
Quest’anno il movimento si fa in due nel senso che moltiplica i luoghi dell’azione collettiva: l’8 marzo ci si mobilita e il 9 marzo si sciopera.
Il movimento femminista di NUDM anche in Italia dunque mantiene tutta intera la propria vitalità.
Ma sopratutto dà visibilità ad un femminismo nel quale in larga parte mi riconosco e mi trovo a mio agio.
Un femminismo che sa cogliere l’intersezionalità dei sistemi di potere costruiti sul genere , sulla classe e sulla “razza” e sa comprendere come essi incidano sull’individualità.
Genere, classe, “razza” non sono categorie separate e reciprocamente esclusive, ma sistemi di potere interconnessi fra loro che hanno prodotto e producono discriminazione e vulnerabilità.
I soggetti all’interno di un sistema si collocano all’incrocio di più connotazioni e questo intreccio ne determina la posizione sociale.
Dimenticarsi del soggetto non permette di riconoscere, per esempio, l’importanza del lavoro domestico e casalingo (il cibo cotto, gli abiti puliti, l’accudimento di bambini ed anziani….) e tutta una massa di lavoro nascosto, penso per esempio a chi si prende cura di persone con disabilità, che consente di vivere e di riprodurre l’umano.
La prospettiva intersezionale, come scrive anche Lea Melandri in un suo articolo, fa sì che “il femminismo oggi rappresenta il principale riferimento per un processo di liberazione comune a molteplici soggetti”. Purtroppo sono ancora in pochi a coglierne l’importanza.
Forte di queste consapevolezze il movimento femminista internazionale ha saputo dotarsi di uno strumento “antico”,per rianimarlo e risignificarlo. Mi riferisco alla pratica dello sciopero globale femminista come manifestazione di lotta generale contro l’oppressione sessista in tutti gli ambiti della vita, “per un’ astensione dai ruoli e dalle attività produttive e di cura e come atto di denuncia radicale dei sistemi globali di sfruttamento e di oppressione che governano le nostre vite”.
Uno sciopero globale che nasce in Argentina come forma inedita di lotta contro uno stupro e poi diventa strumento di lotta contro ogni forma di oppressione.
Uno sciopero globale femminista è capace di tenere insieme tutte le lotte delle donne in ogni parte del mondo : dall’America latina al Medio-Oriente, dall’Africa all’India, dagli Stati Uniti all’Europa.
Grazie a NUDM è tornato in scena dunque un movimento femminista globale capace di raccogliere la sfida dell’oggi per cercare intrecci e legami con l’attivismo antirazzista, ambientalista, per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
E di farlo in una prospettiva che consenta alle differenti contraddizioni ed ai differenti conflitti non semplicemente di unirsi, ma di articolare una visione della realtà per immaginare un destino comune, provando attraverso la pratica dello sciopero globale a darsi struttura ed organizzazione..
Dico per inciso che anche quest’anno il maggior sindacato italiano, attraverso un comunicato asettico, si è chiamato fuori dalla sciopero globale femminista non riuscendo a coglierne, per l’ennesima volta, il potente significato materiale e simbolico. Per fortuna, all’interno della CGIL, sono state molte le voci dissidenti, di iscritte, di delegate, di RSU e di esponenti della minoranza interna. E’ un buon segnale.
Quest’anno però qualcosa di preoccupante ed insidioso rischia di impedire lo svolgimento di tutte le iniziative previste dal movimento femminista.
Mi riferisco alle reazioni di fronte alla diffusione in alcune città italiane del coronavirus.
Alcune di esse sono ispirate, com’è giusto che sia, alla prudenza e alla doverosa necessità di contenere il contagio .
Altre hanno il sapore del panico e dell’irrazionalità, mi riferisco in particolare alla militarizzazione di alcuni territori in Lombardia e in Veneto (ma non solo), alle esagerazioni di alcune regioni del Sud che mettono in quarantena chi arriva dal Nord, ed al divieto di manifestazioni, iniziative culturali, politiche, sindacali con il risultato di produrre, in questo caso, un oggettivo restringimento degli spazi di democrazia e di partecipazione.
Non voglio negare la gravità della situazione concordo però con quanto auspica, opportunamente Massimo Recalcati, in un suo recentissimo articolo e cioè che “ ci attende una grande prova di civiltà: contenere le reazioni irrazionali di panico non significa negare la gravità della situazione, ma provare a trasformare la massa agitata e smarrita del panico in un insieme collettivo civile, capace di reazione razionale alla minaccia che incombe”.
Vedremo nei prossimi giorni l’evolversi della situazione.
Intanto non posso che augurarmi che il prossimo 8 marzo possa riempire di vita, e non di paura, strade, piazze e città.