“Veniamo massacrati, oppressi da questo.
Invece la cosa bella è riuscire a avere un proprio linguaggio di tradizione.
Che proviene dalla tua vita, dalla tua infanzia, dalle cose che hanno ascoltato le tue orecchie. Ma poi è bello andare avanti attraverso i propri sentimenti, le proprie sensazioni.
A un certo punto si tradisce la tradizione per poter andare avanti”.
Per introdurre la Mostra di Massimo Troisi a Napoli, prendo in prestito un altro pezzo di cuore: Luca De Filippo.
Rammento un’intervista da Minà (quanto manca alla tv che non aveva bisogno di essere smart) dove parlava così di Pino Daniele, seduto a fianco quella sera1.
L’Estate nel capoluogo partenopeo viene chiamata la stagione. Anzi, ‘a staggione. La passione, qui, prevede sempre una consonante in più. Che rafforza il concetto. Come un stretta affettuosa. Un abbraccio.
E questa stag(g)ione del 2021 è anche l’Estate di Massimo. In sordina, con successo di pubblico, col giusto disincanto. Come sarebbe piaciuto a lui. “In punta di piedi, senza gridare”, dice Marco Dionisi, il talentuoso Curatore di questa bellezza regalata ai visitatori.
Nel momento storico che viviamo, teso inconsapevolmente all’insulso, alla sciatteria, una passeggiata al Borgo Marinari diventa necessaria.
Se usassi un traslato recente, che rispetto ma non m’appartiene, parlerei degli effetti di Troisi sulla gente.
Perchè quando le persone escono da questo mondo ne parlano col sorriso disteso. Vedo le loro facce. Osservo la loro meraviglia. Che è stata pure la mia. Avvertendo una nostalgia che mi fa soffrire senza dolore.
I costumi rinascimentali indossati con Benigni in “Non ci resta che piangere”, il vestito di Pulcinella de “Il viaggio di Capitan Fracassa” con Scola, la segreteria degli scherzi privati a Verdone, Arbore, Gaetano Daniele, sono appena un accenno.
Si mescola alle foto di scena, ai quadri, ai patchwork artistici, agli oggetti personali, alle foto di Pino Settanni. Che per qualche attimo tolgono persino il respiro. Fino all’oblò navale che ti fa scrutare San Giorgio a Cremano. “Dove tutto iniziò, all’ombra di Napoli”.
L’Archivio Storico Istituto Luce Cinecittà, rappresentato dalla Responsabile del progetto Gabriella Macchiarulo, sa toccare le corde giuste. La supervisione di Stefano Veneruso, Regista e “fratello minore”, chiude l’unicità del racconto.
Con complicità vesuviana, me l’ha detto vis-à-vis: “Era un ufo. Non si prendeva mai sul serio”.
Lo scrissi due anni fa a Roma. Quando ebbi l’onore di esser(n)e coinvolto. Troisi equivale a Eduardo e Totò. Discernere sulle proporzioni sarebbe inutile. Il dovere di tramandarlo resta a noialtri.
Partecipare all’evento, farlo durare col cuore in eterno, contiene una indispensabilità. Perchè la memoria dà senso a ciò che siamo.
A ridosso di Castel dell’Ovo, che Marotta descriveva avvolto da un mare speciale, può aspettarci la vita2. Tutto non poteva che concludersi da queste parti. Sul set naturale del racconto, forse, più moderno3.
Vorrei abbracciarti come quei pescatori che erano troppo sinceri con te. Venirti a trovare, allora, rimane la sola possibilità di replicare quel gesto.
Perchè anch’io pensavo fosse amore. Il poeta finge. Pessoa non mentiva.
“Arriva a fingere che è dolore, il dolore che davvero sente“.
Ripreso da francescodellacalce.com cui rimandiamo anche per le bellissime immagini e i video