- L’Italia, insieme a Grecia, penisola Iberica e Giappone, è uno dei paesi in cui il fenomeno della denatalità è già in atto. Anzi in crescita.
A Trieste, il processo di invecchiamento è più evidente che altrove, dove l’età media supera di quasi tre anni la media nazionale. Le cifre, reperite all’anagrafe parlano chiaro : in data 30/6 /2024 nella fascia d’ età compresa tra i 0 -9 anni si registrano a Trieste 12.991 bambini, dai 10 ai 14 ci sono 7861 dai 15 ai 24 anni contiamo 17.775 unità..over 65, quindi pensionati. . 56.896 unità. Dunque : un’ età media abbastanza alta, in età senile quasi il 40% della popolazione (nella fascia d’ età compresa tra i 50 e i 65 anni abbiamo 47.840 persone) e circa 20mila ultraottantenni . E se è vero che il capoluogo di Regione è primo per il Patrimonio Museale (secondo il Sole24 Ore) e al 12° posto quanto a qualità della vita, è anche vero che si trova al 107° posto per indice di solitudine. Nessuna meraviglia se il prof. De Rita parli nell’ultimo rapporto CENSIS di “malinconia sociale” Dobbiamo preoccuparci o diamo solo credito a falsi allarmismi se esprimiamo la nostra indignazione azione per lo stato di cose presente?
2.No purtroppo, perché è arrivato in questi giorni dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre il report sull’attuale situazione del sistema pensionistico, che impietosamente disvela la realtà di un quadro, in cui si evidenziano più pensioni che stipendi, giovani che lasciano il territorio e molta fragilità sociale; un mercato del lavoro frastagliato, disconnesso e fragile . .quanti lavoratori sono efficacemente tutelati o a quanti viene regolarmente applicato un CCLN? La preoccupazione per la tenuta dell’assetto sociale, economico, produttivo, la svalorizzazione del lavoro, le irrisolte questioni del rilancio del settore industriale nel capoluogo regionale sono fatti evidenti.
Vogliamo vedere la situazione di Trieste? Nel quadro regionale solo Pordenone ed Udine hanno un numero di occupati che supera i pensionati (136mila contro 121mila a PN, 228mila contro 226 mila) mentre a Gorizia questi ultimi sono più di un migliaio rispetto agli occupati. A Trieste siamo in equilibrio (ma forse non è il termine esatto): con 99mila occupati e 99mila pensionati. La CGIA però evidenzia 1) come al Sud si paghino più pensioni che stipendi o salari, 2) che nel 2028 usciranno dal MdL circa tre milioni di lavoratori, di cui due milioni solo al Nord, 3) la crisi demografica non mostra inversioni di tendenza; 4) il più recente aggiornamento di queste cifre (dati ISTAT di maggio 2024) dava 23, 9 milioni di occupati ma 5) mancano i dati aggiornati INPS. Intanto cresce il fenomeno dei BnB fai date o case vacanze per i turisti (oltre settemila in città, ma abusivi circa 2-3 mila secondo Federalbgerghi (da “Il Piccolo” del 25/XI).
Su questo quadro il segretario della CGIA Renato Masson ha fatto rilevare recentemente come : “..con tanti pensionati e pochi operai e impiegati, la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere, e questo trend nel giro di pochi anni minerà l’equilibrio dei nostri conti pubblici :per invertire la tendenza dobbiamo aumentare la platea degli occupati facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione di giovani e donne che in Italia continuano a rimanere i più bassi d’ Europa. Ma appunto politiche vere per il lavoro(dignitoso, tutelato e regolamentato) a Trieste se ne vedono poche.
3. Siamo al capolinea o è prevalso un altro itinerario? Servirebbe avere un quadro completo ed aggiornato della situazione sociale a Trieste, dal Mercato del lavoro ai cantieri aperti, dalle fabbriche al terziario, dalle produzioni di nicchia, alle strutture socioassistenziali, dalle case di riposo all’entertainement, dal mercato nero alla mafia edile ed alla microgeografia degli appalti, attraverso un lavoro di mappatura per poter intervenire.
Certo le organizzazioni sindacali intervengono e svolgono compiutamente il loro ruolo ma un programma politico con una visione di futuro non c’è proprio.
Infine è anche vero che valori e numeri, statistiche o percentuali, servono poco se non vengono tradotti in adeguata proposta politica (per cui i cittadini, i partiti, le associazioni, i tanti comitati di quartiere che si sono formati in città possano far valere le loro ragioni) e per le istituzioni recepirne l’urgenza e la praticabilità non dovrebbe essere difficile ma se l’interesse privato del sindaco e dei ceti sociali che lo sostengono – terziario, commercio, servizi, rendita- impongono altre priorità, e il fenomeno dell’overtourism è la cartina di tornasole, la situazione non potrà che peggiorare. Si è sedimentata negli ultimi anni, dopo le privatizzazioni del settore pubblico, una cultura effimera di tipo postberlusconiano, la Trieste da bere fatta da BnB, dehors, alberghi di lusso, centro storico vetrinato, luccicante, gentrificato, la cultura mercificata e ostentata come orpello decorativo a simulazione di una cultura che non è comprensione o conoscenza della storia complessa e multietnica della città ma una squallida “offerta di mercato” ; si privilegia la logica dell’overtourism, mentre nei quartieri popolari si chiudono i consultori, si privatizzano gli asili nido, si lascia che chiudano gli uffici postali, si “razionalizza” la presenza dei servizi e delle strutture sociosanitarie sul territori, si abbattono alberi ed ecosistemi come la Pineta di Cattinara per inutili cementificazioni ospedaliere e, pure in assenza di una effettiva domanda sociale, si erigono megaimpianti sportivi, rotonde, centri commerciali, ipermercati, di più, si liberalizza l’uso del suolo pubblico a tutto vantaggio dei redditieri e imprenditori delle costruzioni e del commercio nonché della grande distribuzione . In compenso si lasciano i migranti, o chi vive nelle periferie, senza assistenza né servizi, talvolta anche senza una bottega di alimentari, perché la “qualità della vita” sembra sia esigibile solo. altrove. Una scelta “di classe” si potrebbe dire, senza tema di essere smentiti.
4.Così non si vede (o si fa finta di non vedere) l’insorgenza di altri fenomeni.
Non preoccupa nessuno il fatto che il capoluogo di regione sia diventato un hub di raccolta e smistamento della nuova rotta europea del traffico di droga? Eppure sembrerebbe (il condizionale è d’ obbligo) che la droga che abbia trovato approdo anche qui da noi, ne parla un articolo pubblicato da Repubblica il 27 ottobre scorso che ha sì valenza nazionale ma che, nella fattispecie ci tocca da vicino. Se ne è parlato a Trieste in qualche sede istituzionale? Il sindaco è consapevole che la città sta diventando un centro di riferimento per questa attività criminale? Eppure già nel 2022 aveva fatto scalpore la notizia del maxisequestro di 280 kg di eroina, proveniente dalla Turchia e di cocaina dalla Colombia, operato in Dalmazia nel porto di Ploce, mentre l’operazione “Geppo 2021” aveva portato al sequestro di due milioni di euro, all’arresto di 38 persone, tra cui esponenti di spicco della criminalità organizzata calabrese e del Clan del Golfo in Colombia.
Da ben prima però questa attività doveva aver preso piede non solo a Trieste ma più estensivamente in tutta la vasta area nordorientale dell’Adriatico .
Vista infatti la sua particolare posizione strategica, di Porto più a nord dell Adriatico, su Trieste convergevano la rotta occidentale sudamericana (cocaina) , e quella afghana (eroina). Ma viene da chiedersi solo adesso e solo ora si viene a scoprire che la nostra città è diventata un hub dell’economia illegale e centro di spaccio di eroina e cocaina??
Ci si stupisce come a seguito di un improvviso calo di prezzo sul costo di queste sostanze e altre consimili ci sia un surplus da immettere sul mercato e quindi crescano l’attività illegale e le zone d’ ombra che ne offrono lo smercio?
Certo è che gli “ importatori” lo sanno benissimo ed utilizzando le potenzialità delle banchine e delle altre infrastrutture portuali attive nel Porto di Trieste, come in quelli vicini di Venezia e Ravenna i narcotrafficanti (prevalentemente colombiani) hanno di fatto inaugurato una nuova rotta per trasportare la cocaina in Europa.
Secondo un’indagine condotta dal quotidiano “La Repubblica” la nostra città pare quindi essersi sostituita al porto di Gioia Tauro come più affidabile (e conveniente, certo dal punto di vista geografico) punto d‘ approdo del traffico di stupefacenti. Il sindaco Dipiazza non ha niente da dire? Certo che un conto è essere la città dei “cocai” (gabbani), altra cosa è scoprire di essere diventati la città della coca.
5.Riteniamo pertanto che la Città debba reagire e che politiche nuove debbano essere tentate per rivendicare il primato delle esigenze sociali, il lavoro e la qualità della vita dei cittadini : la rotta balcanica, quella dei migranti, che va tutelata con la solidarietà e l’accoglienza, le esigenze dei quartieri, dei cittadini, del mondo del lavoro, l’ambiente e la sanità pubblica .
Nascondere invece la polvere sotto il tappeto e lucidare l’argenteria, come sta facendo il Sindaco, con la sensibilità che gli è propria, concedendo m2 di suolo pubblico per i dehors e i locali pubblici in centro, o rilasciare concessioni edilizie per inutili cementificazioni etc, è certo una scelta politica ma disvela un atteggiamento di sinecura verso le esigenze che da tempo molti quartieri della città rivendicano su cura : si tratta di un lavoro di ordinaria amministrazione, che risponde alle esigenze ed alle richieste dei cittadini per rendere più vivibile la città : Consultori, mobilità, verde pubblico, rigenerazione urbana, investimenti in cultura e sostegno all’associazionismo ed al volontariato.
Quindi, tornando al filo di questa argomentazione Trieste deve rivendicare risposte serie sui problemi che incombono, e l’attuazione di politiche per invertire lo scivolamento verso l’inverno demografico, occorre una correzione di rotta, un cambiamento delle politiche di governo a Trieste e nel paese.
6.Ridescrivere guardando con lenti nuove (e non col binocolo rovesciato) quanto accade oggi nel mercato del lavoro sarebbe auspicabile, tanto più in un contesto come quello che abbiamo descritto, e quindi seguire un’altra strada, in controtendenza, sarebbe doveroso per chi ha la responsabilità politica e sociale di dare espressione e garantire ascolto alle parti sociali che oggi soffrono sotto l’incubo di questa spada di Damocle. (chè tali sono la precarietà lavorativa e l’inverno demografico)
Dobbiamo richiedere al Comune, in sintonia con le rivendicazioni espresse dalla Rete dei Comitati Cittadini di intervenire con politiche e progetti concreti che abbiano come baricentro un programma di piena occupazione per la riqualificazione energetica, ambientale, manutentiva del patrimonio immobiliare ed edilizio, di lavori socialmente utili, di stabilizzazione e di inserimento lavorativo, praticando ascoltando e dialogo sociale finalizzato all’individuazione delle priorità nei quartieri e nei rioni in cui più si manifestano disagi, disservizi, latitanze del presidio pubblico e quindi pensare con le parti sociali più direttamente interessate e coinvolte (l’impresa, il sindacato, il settore dei servizi), ad un percorso di fuoruscita dall’attuale crisi .
Non possiamo non considerare la possibilità di occupazione ed ampliamento della base produttiva, con le attività legate al porto, alle infrastrutture ed alla logistica, alle attività industriali tipiche di una economia del mare anche digitale ed ecocompatibile, quale nuovo volano di sviluppo, di effettiva fuoruscita dall’inverno demografico in cui la città sta precipitando.
- Ma questo orizzonte presuppone una discontinuità, un momento di rottura con l’attuale dialettica politica che nelle istituzioni rappresentative è diventata simulazione di democrazia, brodo di coltura di un neopopulismo autocratico e autoreferenziale con la figura del Sindaco che tende ad assomigliare a quella del Podestà e che agisce di conseguenza. Imponendo alla cittadinanza (come nel caso della variante 15) una soluzione di gestione del territorio e della riqualificazione delle aree urbane senza la partecipazione ed il coinvolgimento della cittadinanza, ma calando dall’alto piani e progetti privatistici di nessuna o dubbia utilità sociale , ma sicuramente utili al profitto privato e come nel caso di ormai molti quartieri in città, praticare scelte impopolari, antiecologiche, come la Cabinovia, magari utilizzando i fondi PNRR , ma senza una logica che prefiguri o almeno asci intravedere delle ricadute positive per futuro della città. Che almeno cresce e si arricchisce della presenza di altre comunità “straniere” che, bene integrate in città, nonostante il nazionalismo straccione degli eredi della fiamma tricolore, aumentano ed arricchiscono la multietnicità triestina, con ritmi e modalità che ricordano quelle di tre secoli fa.
Allora furono i greci gli armeni, gli austriaci i dalmati, i veneti, i boemi, gli sloveni, gli ebrei, i croati, i cici, anche i turchi a garantire lo sviluppo e la rinascita della città, oggi – alcune di queste realtà etniche non ci sono più ma ci sono e rappresentano quasi il 15% della popolazione. Gli stranieri maggiormente presenti nel comune di Trieste oggi sono: serbi, romeni, croati, kosovari, cinesi, ucraini, albanesi, afghani, bosniaci, moldavi, pachistani, turchi, senegalesi, macedoni, sloveni, marocchini, polacchi, colombiani, bengalesi, camerunensi, etc.
Ecco, questo è anche uno dei motivi che, compreso e valutato alla luce di quanto accade, con la guerra alle porte, l’intensificarsi delle migrazioni, su più rotte e direttrici di percorso, non solo su quella balcanica o mediterranea, ma dal cuore stesso dell’Europa dove si fanno strada i peggiori nazionalismi o particolarismi, dovrebbe indurre chi governa il capoluogo di Regione, e per analogia, chi governa a Roma come a Monfalcone, ad agire, come si sarebbe detto una volta, in direzione ostinata e contraria , e non altrimenti.
26 novembre 2024
Marino Calcinari