Quattordici Papi ebbero il nome di Leone, del primo con questo nome sappiamo che era nato nella Tuscia e che era stato consigliere fidato di Papa Sisto, cui subentrò come pontefice nel 440: ebbe il merito di fermare Attila alle porte di Roma nell’anno 451 dopo un lungo, controverso, e mai definito confronto verbale. Nel 455 però nulla poté contro il re dei Vandali Genserico che saccheggiò Roma in modo sanguinario e brutale. Allora il papa scese nelle strade per rincuorare i cittadini, fece opera di conforto ed aiutò concretamente a restaurare i monumenti religiosi oltraggiati, provvide a dare nuovi arredi sacri alle chiese dei quartieri devastati, e si dimostrò ammirevole e capace organizzatore dell’attività religiosa anche nelle remote periferie dell’Impero. Di lui ci restano 96 sermoni autentici che appartengono ai primi anni del suo pontificato, modelli di classica eloquenza che esprimevano, nella loro semplicità il tessuto classico su cui la Città di Dio cominciava a formarsi. Quei testi sono caratterizzati da una eloquenza semplice e solenne, elevata e suggestiva al tempo stesso, memorabili sono i sermoni sui Digiuni e quelli sui Misteri con cui contesta gli eutichiani per riaffermare la duplice natura del Cristo, umana e divina. Amico di Prospero d’Aquitania e di Cassiano, Leone suggerì a quest’ultimo, circa il 430, di scrivere la sua confutazione del nestorianismo che ebbe come titolo “De incarnatione Domini”.
Il nome di Leone fu scelto nel corso da tempo dai seguenti: Leone II, siciliano che mantenne il nome di battesimo, regnò dal 682 al 683 ed è venerato come santo il 28 giugno, Leone III romano, figlio del nobile Apuzio, era “ vestiarius “ cioè capo del tesoro pontificio e successe al Papa Adriano I nel 795; fu lui ad incoronare sacro romano Imperatore Carlo Magno la notte di Natale dell’800; Leone IV, di nobile famiglia romana governò la Chiesa dall’anno 847 all’anno 855, fronteggiò i saraceni, accelerò i lavori di restauro e rafforzamento delle Mura che durarono cinque anni e che oggi nelle guide turistiche sono citate come “ Mura Leonine”; non solo, ma fece anche restaurare la già vasta e dissestata cerchia delle Mura Aureliane, e preccupato per le persistenti minacce saracene fece costruire una nuova cinta che includeva San Pietro e il Borgo – fino allora al di fuori di quella cerchia difensiva, creando così la “Civitas Leonina”; qui nell’anno 850 incoronò Ludovico Re d’Italia, consacrò Re Alfredo, figlio di Etelulfo, futuro Sovrano degli Anglosassoni; Leone V, laziale, fu consacrato nell’agosto del 903 ma durò solo due mesi, travolto dalla lotta cittadina delle fazioni; Leone VI durò otto mesi, tra il 928 al 929, il suo nome è associato a quello di Marozia e di Ugo da Provenza, e rimanda ad un periodo torbido e funesto di Roma ma nonostante le perniciose attenzioni ed intrighi contro la sua nomina, egli mantenne la schiena diritta, e il cronista Flodoardo di Reims ne lodò lo zelo e l’impegno per la pace e la sua scomparsa fu pianta da tutta la città; si conserva di lui un rescritto apostolico inviato ai Vescovi di Trieste e della Dalmazia che invitava all’obbedienza verso l’arcivescovo Giovanni; Leone VII era nato a Roma ed era un monaco benedettino, ricevette la tiara nella prima settimana del gennaio dell’anno 936. Resse il papato sino al 939 e fu uomo di mediazione e riconciliazione tra Alberico II di Spoleto, “padrone” di Roma ed il Re d’Italia Ugo di Provenza. A tal fine egli si servì dell’abilità e della perserveranza dell’abate Odone di Cluny, che seppe intervenire con efficacia e che si trattenne in Italia sino al 942 fondando il monastero di Nostra Signora sull’Aventino a Roma e riformando diversi monasteri tra cui Subiaco e Montecassino. Di Leone VIII la nomina è controversa, si trattava di un laico, protoscriniario delle chiese romane e fu eletto alla fine di un sinodo che era stato convocato in San Pietro dall’Imperatore Ottone I dopo la deposizione incruenta di papa Giovanni XII, e un concilio lateranense, quello del 964 dichiarò nulla la sua elezione perché costui non apparteneva agli ordini ecclesiastici, dovette intervenire d’autorità lo stesso Imperatore per risolvere l’empasse. Leone IX era il rampollo dei conti di Egisheim – Dagsburg, ed era vescovo di Touls nella Lorena; sostenitore della riforma cluniacense fu eletto pontefice nel 1048 e si batté contro la simonia e le ingerenze imperiali, fu inoltre determinato fino all’ostinazione sul riconoscimento del primato di Roma contro Costantinopoli e non seppe opporsi all’intransigenza del Cardinale Umberto di Silva Candida che portò alla rottura definitiva con la chiesa di Costantinopoli nel 1054, allorquando il desiderio di riottenere il controllo della Chiesa del Sud Italia, e di ricevere assistenza militare nella lotta contro i Normanni, innescò quell’ennesimo e ultimo conflitto con il patriarca di Costantinopoli, Michele I Cerulario. Leone X poi fu Giovanni de Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, laureato in diritto canonico e già abate di Montecassino che venne eletto papa nel 1513, dopo il bellicoso pontificato di Giulio II: a differenza di questi egli preferì infatti seguire le strade della diplomazia e delle trattative tra Francesco I e Carlo d’Asburgo. Fu persona mite e quanto ad economia non risparmiò spese su patrocini e sostegno all’arte, fu mecenate di letterati ed artisti ospitando alla sua corte Raffaello Sanzio, il Castiglione, il Bembo, il Guicciardini (ma fu ostile a Machiavelli)… Leone XI, nato nel 1535, divenne Papa con i voti dei cardinali francesi e di quanti avevano saputo apprezzare le sue doti di ambasciatore mediceo a Roma, di vescovo diplomatico, di legato pontificio alla corte francese ed arcivescovo in importanti diocesi della penisola; figlio di Ottaviano e Francesca Salviati svolse un ruolo importante nella pace di Vervins che nel maggio 1598 concludeva la guerra tra Spagna e Francia; il suo ruolo fu notevole ma il pontificato brevissimo, poiché durò solo 26 giorni (e dopo di lui fu eletto col nome di Paolo V un rampollo della famiglia Borghese ).
Prese il nome di Leone XII il cardinale e Vicario di Roma Annibale Sermattei della Genga, vescovo di Tiro e poi nunzio a Lucerna ed a Colonia. Era stato inviato da Roma alla Dieta Germanica del 1805, e nel 1814 fu latore di una lettera di Pio VII al restaurato monarca francese Luigi XVIII, subentrò al papa benedettino nel 1823 e la sua politica di indirizzo conservatore e, spesso, repressivo, sia in materia di ordine pubblico – leggi contro l’ubriachezza- sia in fatto di repressione delle società segrete o massoniche, gli alienò molto del consenso popolare, prova ne furono i moti popolari che scoppiarono nei territori dello Stato Pontificio e che preludevano al Risorgimento. Ci furono molte repressioni in Romagna e la ghigliottina fu usata nel 1825 contro due esponenti della Carboneria, Targhini e Montanari, giustiziati in Piazza del Popolo. Quel papa riconobbe però l’indipendenza delle Colonie americane spagnole in America, organizzò il giubileo in quel stesso anno e rimosse dall’Indice le opere di Galilei messe al bando dall’Inquisizione… due secoli prima.
Leone XIII è il papa dell’Enciclica “Rerum Novarum”. Sostenitore del potere temporale fu eletto dopo due giornate di conclave il 20 febbraio 1878 e sedette 25 anni sul soglio di Pietro, in un contesto dove l’ostilità tra i liberalmassoni da una parte, i socialisti dall’altra determinavano di fatto l’esclusione dei cattolici dalla vita politica ma è appunto con la “Rerum novarum” che la questione sociale in Italia viene affrontata dalla Chiesa, e quello fu solo il primo passo. Ora in direzione ostinata e contraria potremmo dire, noi- credenti o meno, ma non indifferenti a quanto accade globalmente e localmente-, che questo “nuovo” Papa possa anche aver scelto questo nome, non solo per devozione o riferimento valoriale ma perché consapevole dell’esempio di chi lo ha preceduto ed ha riscoperto il valore di una escatologia, che ai piu’sfugge, ma che non andrebbe sottostimata perchè una missione pastorale che si fonda non solo su una concezione religiosa ma su una visione evangelica, rimanda a quella di Giovanni e perciò apocalittica; i tanti messaggi lanciati da Papa Francesco ai potenti della Terra, alla “terza guerra mondiale a pezzi” non potrebbero veramente essere intesi come esagerazioni allarmistiche ma entrano nella realpolitik di oggi e ci impongono una presa di coscienza non formale, ma da tradurre in iniziative esemplari e politiche concrete, per imporre quella “pace disarmata e disarmante” di cui c’è bisogno a livello globale; per far cessare guerre, aggressioni, riarmo, politiche militariste, uso della forza per risolvere le tante contraddizioni ed ingiustizie che una società globale fondata sul profitto sui nazionalismi e sulle logiche di mercato continua a produrre. Quanto può accaddere non dipende solo dalla buona volontà di un Papa ma dipende anche da noi, e se riconosciamo la necessità dell’agire, qui ed ora, per la pace e la giustizia sociale, i motivi non mancano.
Marino Calcinari