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Times are changing

di Paola
Boffo

di Paola Boffo –

Pare che Jeremy Corbyn sia stato colpito da un uovo, lanciato da un contestatore mentre il leader laburista stava visitando la Muslim Welfare House, nel nord di Londra. Il responsabile del gesto è probabilmente un cittadino pro-Brexit. Corbyn aveva infatti annunciato, lo scorso 25 febbraio, di voler sostenere un secondo referendum per evitare di essere costretti ad un pessimo accordo, o addirittura a un no deal, a seguito del negoziato condotto da Theresa May. Secondo quanto sostenuto dal leader laburista, il Regno Unito dovrebbe mantenere maggiori legami con l’UE e, soprattutto, restare nell’Unione doganale. Se questo scenario non è possibile, secondo il capo del Labour sarebbe meglio ripresentarsi agli elettori.
D’altro canto, Tony Blair, sull’Observer di domenica 3 marzo, ha esposto la sua posizione, che parte dalla necessità di combattere l’accordo proposto da May: “I Brexiters si adegueranno al suo accordo perché credono di poter vincere la battaglia successiva e imporre una Brexit dura. I sostenitori della Brexit e quelli che vogliono un nuovo referendum dovrebbero invece unirsi per insistere sul fatto che la Gran Bretagna conosca bene le condizioni delle sue future relazioni con l’Europa, prima di andarsene. Abbiamo imparato molto durante questa debacle della Brexit. È stato un corso di laurea in rischio politico. Ora siamo in uno stato di confusione, dove anche coloro il cui lavoro quotidiano è quello di studiare i dettagli trovano difficile spiegarli”.

Chi sostiene la necessità di un secondo referendum crede che per arrivarci sia necessario giungere ad una scelta, nel Parlamento, fra una uscita hard o soft. Ma i parlamentari, obbligati a scegliere, si renderanno conto che nessuna delle due scelte è migliore dell’altra e soprattutto nessuna delle due è migliore di ciò che è oggi la Gran Bretagna in Europa, e non potranno scegliere alla cieca, fidandosi di una leadership politica così scadente. In ogni caso, un’estensione della scadenza richiede l’accordo dell’Europa, che potrà venire se serve a fare maggiore chiarezza sul quadro futuro. Peraltro, un rinvio potrebbe avere come conseguenza la necessità che in UK si debba votare per il Parlamento europeo, se la data fosse addirittura successiva all’insediamento del Parlamento, prevista per il 20 giugno, e anche il Parlamento si dovrebbe attrezzare, dovendo ricalcolare il totale di seggi assegnati per il voto (705, contro i 751 istituti fino al 2014).

Va detto che a Londra il 59,93% dei votanti aveva scelto di restare in Europa. Sarà per questo che nel mio recente soggiorno ho trovato un’atmosfera più europea del passato, e mi era parso che la nebbia sulla Manica che isolava il Continente si stesse diradando.

Più celeri le procedure di ingresso nel Paese, con il passaporto elettronico (se non fosse che invece di scansionare la prima pagina con foto e informazioni ho cercato di passare con la pagina dove c’era il visto per la Russia…). Le comunicazioni in metropolitana sono molto più comprensibili, espresse in standard english e con una cadenza più lenta.
Alle fermate degli autobus non si fa più la leggendaria fila, i passeggeri sono più rilassati, senza perdere, tuttavia, in efficienza.
Dappertutto una moltitudine di persone, soprattutto giovani, colorate in tutte le sfumature; nelle scolaresche in visita ai musei solo pochi alunni sono bianchi, ma questa cosa bellissima mi pare che ci fosse anche prima.
Nel British Museum, fra le moltissime cose trafugate qua e là, come i fregi del Partenone, e le riproduzioni del David di Michelangelo e della colonna traiana, è sempre conservata la stele di Rosetta. Questa stele egizia riporta l’iscrizione di un decreto tolemaico emesso nel 196 a.C. in tre differenti grafie: geroglifico, demotico e greco antico, e ha offerto per la prima volta, grazie alla parte in greco, una chiave decisiva per la comprensione dei geroglifici. La stele fu ritrovata dai francesi durante la campagna napoleonica d’Egitto progettata per colpire il predominio britannico nel Mar Mediterraneo, ma quando nel 1801 i francesi dovettero arrendersi, nacque una disputa sui reperti rinvenuti dai francesi: questi volevano tenerli, mentre gli inglesi li considerarono loro bottino, in nome del re Giorgio III, e la stele fu portata a Londra per essere conservata nel British Museum dal 1802.
Quando ho visitato il museo la prima volta, ben dopo il 1802, la stele era esposta su un trespolo, senza nessuna protezione, e chiunque poteva toccarla per decifrare meglio i geroglifici: ora invece è conservata in una vetrina, all’ingresso della sala 4, ma devo ammettere che così perde un po’ del suo fascino, che all’epoca mi aveva completamente sedotto.

A differenza dell’ultima volta, quando avevo mangiato solo cucina indiana, araba o polacca, ora ho assaggiato la cucina tipica inglese, ovvero una chicken pie, non male, e ho scoperto che molti pub stanno chiudendo, tanto che i clienti costituiscono cooperative per mantenerli aperti, ed alcuni sperano nella Brexit che dovrebbe abbassare le tasse sulla birra, non so bene perché.

È cambiata la skyline della città, con tanti grattacieli in costruzione, prevalentemente ad est e a sud del Tamigi, dove svetta la torre progettata da un progetto di Renzo Piano, nota come The Shard, nei pressi del London Bridge, che ha raggiunto una quota di 306 metri nel 2012, diventando così il più alto edificio abitabile in Europa.

Ma la cosa più sorprendente è stato il clima, cinque giorni completamente assolati, con una temperatura media nel giorno di 15 gradi, nel mese di febbraio che è stato registrato dai media come il più caldo della storia recente. Il Telegraph ha scritto che il 25 febbraio del 2019 è stato ufficialmente il giorno più caldo di un febbraio in Inghilterra, e la temperatura ha raggiunto i 20,3° C a Ceredigion, nel Galles occidentale. È anche la prima volta che il mercurio ha raggiunto i 20° C in inverno nel Regno Unito. La Gran Bretagna era più calda dell’Algeria, il doppio più calda di Atene, più calda di Ibiza, ed era più fredda Roma che Londra.

Alla National Gallery è esposto un dipinto del 1839 di Joseph Mallord William Turner The Fighting Temeraire, che nel 2020 sarà su una nuova banconota da 20 sterline, insieme ad un ritratto dell’autore. 20 sterline attualmente valgono circa 23 euro, ma un mio amico ha detto che è disponibile a pagarla 10 euro, scommettendo sul crollo del cambio che seguirà la Brexit.

Sono andata a Londra pensando che fosse l’ultima volta prima di dover essere costretta a fare il visto, ma per come si mettono le cose forse potrò tornarci ancora.