La libertà di stampa ed il pluralismo dei media sono tradizionalmente un problema politico per la destra di matrice fascista.
Ogni regime autoritario del resto non ammette critiche al potere e, in una fase in cui il sistema capitalistico si affida nuovamente a democrature, autocrazie e regimi liberticidi per comprimere i diritti sul lavoro, gli stipendi e la redistribuzione equa del reddito, così da concentrare sempre più ricchezza nella classe dominante; la tendenza a limitare il diritto d’informazione è tristemente accessoria a questa deriva.
Nonostante la maggiore accessibilità ai mezzi di divulgazione nell’era digitale; la concentrazione di proprietà editoriali, la selezione politica delle direzioni nelle emittenti pubbliche e la forte dipendenza delle redazioni da finanziatori privati e cordate d’affari caratterizzano alcuni degli aspetti più limitanti della libertà di stampa.
Così dal rapporto europeo sullo Stato di Diritto, pochi giorni fa è arrivata la denuncia delle troppe aggressioni fisiche e delle intimidazioni a corrispondenti della stampa, insieme alla richiesta di correttivi per tutelarne l’operato e l’indipendenza, come nel caso della RAI.
La relazione annuale della Commissione Europea evidenzia infatti l’assenza di qualunque progresso al capitolo sulla protezione dei giornalisti, sollecitando una riforma sulla diffamazione, sulla tutela del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, «evitando ogni rischio di impatti negativi sulla libertà di stampa» nel rispetto delle normative europee, con riferimento in particolare al ‘Media Freedom Act’, regolamento in vigore nell’UE dal maggio scorso.
Un caso emblematico riguarda la campagna di discredito della trasmissione REPORT e delle inchieste sugli accordi per l’immigrazione con l’Albania, che la premiere italiana ha attaccato pubblicamente durante l’ultima edizione del convegno ‘Atreju’ di Fratelli d’Italia. Altrettanto scalpore hanno destato i pizzini del direttore della RAI in occasione dell’ultimo festival di San Remo, con tanto di tentativi di censura su argomenti scomodi come l’immigrazione o il carovita.
In un clima da nuovi “editti bulgari” si è infatti parlato di una governance da “Tele-Meloni” del servizio radiotelevisivo. Del resto in Italia la persistenza del conflitto d’interessi dell’era berlusconiana ha affascinato anche l’attuale governo, erede politico del tele-populismo leaderistico, che dopo l’esaltante sconfitta – o se si vuole la relativa tenuta di consensi – alle ultime elezioni europee, è fiduciosamente avviato al declino. In questo senso le raccomandazioni della Commissione Von der Leyen, da cui il gruppo di Conservatori europei di Meloni è stato escluso, rappresentano l’ultimo schiaffo politico agli avventurismi di una destra nazionalista e xenofoba.
Alle critiche della Commissaria per i Valori e la trasparenza, Vera Jurova, sono seguite quelle del Commissario alla Giustizia, Didier Reynders, che parte dalle restrizioni alla pubblicazione di intercettazioni telefoniche, per contestare la proliferazione di decreti e le ricadute delle riforme del governo nazionalista italiano sulla separazione dei poteri, fino all’assenza di progressi anche sui diritti umani con l’eccessiva repressione di manifestazioni di dissenso da parte delle forze di polizia.
In definitiva sono sei le raccomandazioni che l’Unione Europea indirizza all’Italia: insieme ad ulteriori garanzie sulla tutela della libertà di stampa, anche la digitalizzazione di tribunali penali e procure, l’adozione della proposta legislativa in sospeso sui conflitti di interessi, l’istituzione di un registro operativo per le lobby, la regolamentazione delle informazioni sui finanziamenti a partiti e campagne elettorali, la creazione di un’Istituzione nazionale per i diritti umani in linea con i principi Onu.
A distanza di giorni è stata però l’accusa di pregiudizio alla libertà di stampa ad aver infiammato il dibattito politico con reazioni parossistiche da parte di esponenti del governo. Al rientro dal viaggio in Cina, Meloni in una lettera di risposta al dossier europeo ha infatti tacciato la Commissione Europea di essere istigata da ‘portatori d’interesse’, apparentemente confondendo secondo ‘Il Fatto Quotidiano’ la Relazione sullo Stato di Diritto dell’UE con il report del consorzio Media Freedom Rapid Response. Quest’ultima pubblicazione prodotta proprio dai contributi delle diverse testate giornalistiche è stata infatti il pretesto per stilare una vera e propria lista di proscrizione di redazioni come Manifesto, Radio Popolare, Repubblica, il Domani, La Stampa, Il Fatto e altri ‘accenti critici’ e detrattori del governo in carica.
Altrettanto significativo poi è che un simile attacco ai “giornalisti anti-Meloni”, rei di aver “collaborato alla stesura dell’atto d’accusa” sia partito proprio dai quotidiani di proprietà di Antonio Angelucci, imprenditore della sanità privata, decano della destra e parlamentare della Lega, che vanta un primato di assenteismo, pari solo alla proliferazione delle proprietà editoriali, fra cui di recente si inscrive anche la manifestazione d’interesse per l’acquisto di AGI.
I casi registrati da Mapping Media Freedom sono molteplici, circa 193 dall’inizio del governo Meloni e almeno 75 solo nei primi sei mesi del 2024 con 57 azioni legali nei confronti di corrispondenti stampa, la maggior parte delle quali perpetrate da funzionari governativi, come per le querele “temerarie” contro opinionisti, ad esempio nel caso di Roberto Saviano. Il richiamo a “casi di aggressioni fisiche, minacce di morte e altre forme di intimidazione che continuano a sollevare preoccupazioni sulla sicurezza dei giornalisti in Italia” fa poi immediatamente pensare agli attacchi al giornalista Paolo Berizzi da parte di organizzazioni neofasciste e più di recente all’aggressione del corrispondente della Stampa, Andrea Joly, da parte di Casapound a Torino.
Secondo molti commentatori si assiste quasi ad una deriva tipicamente fascistoide con l’aggressione in doppiopetto, ‘di strada e di palazzo’, alla libertà d’informazione, in un contesto in cui l’arroganza del potere esecutivo limita l’indipendenza della stampa, mentre garantisce coperture politiche agli attacchi perpetrati contro singoli giornalisti da organizzazioni di estrema destra.
Forse anche per questo durante la Cerimonia del Ventaglio sull’argomento era tornato poco prima del rapporto europeo anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, definendo simili azioni come “atto eversivo”. Da più parti insomma monta l’insofferenza per un governo fortemente reazionario, la cui Presidente del Consiglio mostra con crescente nervosismo tutte le difficoltà di uscita dall’isolamento europeo, di gestione della persistente crisi socio-economica, oltre che di superamento della frammentazione interna fra le compagini di maggioranza.
Se da un lato l’auspicio è che questa tendenza risulti a breve irreversibile, anche sulla scorta della mobilitazione popolare dell’imminente stagione referendaria; dall’altro è dirimente tenere il punto politico, per scongiurare il ricorso al massiccio euroscetticismo della destra nazionalista, come pretesto per la riabilitazione di FdI con l’individuazione del solito ‘nemico esterno’, in caso di elezioni anticipate.
Tommaso Chiti